Roma - Dal 2026 il 4 ottobre tornerà a essere festa nazionale in Italia. La decisione è diventata legge dopo il via libera definitivo della Commissione Affari costituzionali del Senato, in sede deliberante. La Camera aveva già approvato il testo in prima lettura il 23 settembre con una larga maggioranza: 247 voti favorevoli, 8 astenuti e solo 2 contrari.

Il provvedimento, presentato da Noi Moderati, ha raccolto un sostegno trasversale. Alla Camera, l’on. Maurizio Lupi aveva spiegato che l’idea nasceva da una proposta del poeta Davide Rondoni, presidente del Comitato nazionale per le celebrazioni dell’ottavo centenario della morte del Santo, che ricorrerà proprio nel 2026: «Proclamare un giorno di festa nazionale nel suo nome come richiamo alla pace, alla coesione e alla lezione di fede e spiritualità».

Dal Senato, il presidente della Commissione, Alberto Balboni (FdI), ha sottolineato il valore di questa scelta: «San Francesco è il protagonista del 4 ottobre, giorno in cui morì nella sua Assisi, divenuta poi “Città della pace”. La sua figura risponde alle esigenze più profonde della società contemporanea: innanzitutto al bisogno di pace. Nessuno meglio del Patrono d’Italia può incarnare questo desiderio di unità in una fase burrascosa del mondo». Balboni ha anche ricordato che la festività fu soppressa nel 1977, durante gli anni di piombo, quando lo Stato intervenne riducendo le giornate non lavorative.

Le ombre del dibattito politico

Non sono mancate, però, voci critiche. Dal Partito Democratico, Gian Antonio Girelli ha ammonito che la ricorrenza rischia di restare «un’operazione simbolica» se non accompagnata da scelte concrete: «Il linguaggio e l’atteggiamento del governo Meloni non rispecchiano lo spirito di San Francesco, che richiama all’attenzione verso gli ultimi, al dialogo come metodo di superamento dei conflitti e al rispetto per l’ambiente. Sono valori non solo religiosi, ma civili e costituzionali, patrimonio di tutti i cittadini».

La voce della Chiesa

Un commento di ampio respiro è arrivato dal presidente della CEI, cardinale Matteo Maria Zuppi, che ha accolto la decisione come un’occasione di rinnovata memoria e impegno: «Celebrare San Francesco significa credere che si può dialogare con tutti e che la pace inizia quando si considera l’altro un fratello. La sua testimonianza evangelica prende forma perché si sentiva fratello del sole, del mare e del vento, sapeva di essere unito a quanti erano della sua stessa carne. Dappertutto seminò pace e camminò accanto ai poveri, agli abbandonati, ai malati, agli scartati, agli ultimi».

Zuppi ha ricordato che la vita del poverello di Assisi continua a parlare «a un tempo lacerato dalle divisioni, dalle tensioni internazionali e da una drammatica escalation di violenza globale». La sua eredità diventa allora stimolo a «un amore politico, capace di mettere al centro il bene comune, al di sopra degli interessi di parte».

P.A.
Silere non possum