Caracas – Ieri mattina, 10 dicembre 2025, il cardinale Baltazar Enrique Porras Cardozo, arcivescovo emerito di Caracas, è stato fermato ai controlli di frontiera dell’aeroporto di Maiquetía mentre stava per imbarcarsi su un volo per Madrid, dove era atteso per impegni ecclesiali fino al 21 dicembre. Le autorità gli hanno impedito di viaggiare, lo hanno costretto a firmare alcuni documenti e hanno trattenuto il suo passaporto, senza fornirgli motivazioni chiare né indicazioni su tempi e modalità di restituzione.
Il fatto non riguarda un cittadino qualsiasi. Porras è uno dei porporati più autorevoli dell’episcopato venezuelano: già arcivescovo di Mérida, presidente della Conferenza episcopale, amministratore apostolico e poi arcivescovo di Caracas fino al 2024. Nel 2016 è stato creato cardinale da papa Francesco. Proprio in quanto cardinale di Santa Romana Chiesa, impegnato in missioni affidate dalla Santa Sede, egli è normalmente destinatario di tutele specifiche del diritto internazionale, tra cui l’utilizzo di passaporto diplomatico e un particolare riguardo quanto a immunità e libertà di movimento. Il fatto che una figura di questo rango venga bloccata in frontiera e privata del documento è, di per sé, un segnale politico e istituzionale.
Nella lettera indirizzata ai «fratelli vescovi del Venezuela», datata 10 dicembre, Porras ricostruisce nel dettaglio l’accaduto: l’ufficiale di migrazione prende il passaporto «per verificare», parla di presunti «problemi» del documento e lo rimanda all’ufficio centrale del Saime a Caracas. Dopo oltre un’ora e mezza, un soldato gli notifica che non può viaggiare; lo segue perfino quando chiede di andare in bagno, e poco prima della partenza lo porta al piano superiore per fargli firmare un atto in cui si parla genericamente di «inosservanza delle norme di viaggio». Il cardinale tenta di fotografare il documento, ma gli viene vietato con toni minacciosi: se avesse insistito, gli dicono, sarebbe stato arrestato. Alla fine, Porras ottiene solo la carta d’imbarco per recuperare il bagaglio; del passaporto nessuna traccia. Viene accompagnato fino all’uscita dei passeggeri internazionali e lasciato solo, senza che nessuno gli spieghi cosa debba fare. «È qualcosa che fa male – scrive ai confratelli – perché lede i diritti che abbiamo come cittadini, diritti sui quali non si dà alcuna risposta».
L’episodio avviene, paradossalmente, nel giorno in cui il mondo celebra la Giornata dei diritti umani, con lo slogan «senza informazione non ci sono diritti». Porras lega questa coincidenza alla situazione del Paese: senza uguaglianza di diritti e senza la possibilità di essere informati, osserva, «difficilmente possono esistere giustizia ed equità». In Venezuela, da anni al centro delle denunce di organismi internazionali per violazioni sistematiche dei diritti fondamentali, il caso del cardinale mette in luce un dato ancora più inquietante: se possono essere calpestati i diritti di chi gode di riconoscimento internazionale e – per rango e ruolo – di protezioni assimilabili all’immunità diplomatica, quanto meno sono tutelati quelli dei cittadini senza volto, senza voce e senza protettori?
Questo è il punto che il porporato sembra voler mettere a fuoco. Non trasforma quanto accaduto in una battaglia personale, ma chiede che «questo spiacevole episodio non diventi il pane quotidiano di chi non ha volto né protettori», indicando alla Chiesa venezuelana una responsabilità etica: continuare a rischiarare il cammino del popolo proprio quando il potere mostra di poter restringere, senza spiegazioni, il diritto fondamentale alla libertà di movimento, perfino nei confronti di chi ricopre un ruolo così importante.
M.L.
Silere non possum