C’è un’ombra che aleggia da anni sulla cupola di San Pietro, lo abbiamo scritto pochi giorni fa su queste stesse pagine. Oggi puntiamo i riflettori su uno dei personaggi che agisce in sinergia con Mauro Gambetti: Alessandro Diddi, nominato Promotore di Giustizia dello Stato della Città del Vaticano il 22 settembre 2022.

Avvocato romano, noto per aver seguito casi di cronaca giudiziaria legati a tematiche del tutto particolari come la mafia, Diddi è attualmente indagato dalla Procura per comportamenti tenuti durante alcune udienze in Calabria. Un profilo che già da solo solleva interrogativi.

Silere non possum ha più volte denunciato, in modo preciso e documentato, l’inadeguatezza di quest’uomo al ruolo che ricopre. Non si è trattato di attacchi gratuiti, ma di critiche fondate su elementi concreti: l’assenza di competenze in diritto canonico e vaticano nel suo curriculum, clamorose gaffe durante interrogatori e nella redazione degli atti, che evidenziano una totale ignoranza del sistema giudiziario vaticano e delle sue dinamiche interne. Più volte abbiamo spiegato come la sua figura sia incompatibile non solo con l’incarico, ma con la stessa immagine della Santa Sede, che ne esce profondamente danneggiata.

Intimidazioni contro Silere non possum

Nel tempo, qualcuno ha provato a difenderlo accusando Silere non possum di portare avanti una crociata personale. Ma basta leggere i nostri articoli, non solo quelli su Diddi, per capire quanto queste affermazioni siano infondate. Non ci muoviamo sulla base di opinioni, ma di fatti, documenti, atti ufficiali. Non abbiamo alcun interesse personale nel mettere in evidenza questi elementi perchè Diddi non ha alcun potere su di noi. Inoltre, diverse delle prove di cui siamo in possesso, dimostrano come in questi anni, si sia comportato come un bulletto di borgata, arrivando perfino a provocare alcuni avvocati e imputati con frasi del tipo: “Dite a quelli di Silere non possum di venire qua”.

Non contento, ha anche avviato un procedimento evidentemente intimidatoriocontro questo portale, passando gli atti a giornalisti di corte per cercare l’appoggio dei media, proprio come ha fatto con Sloane Avenue. Peccato che il boomerang gli sia tornato in faccia: la stampa ha tentato di fare il titolo, ma dopo poco i giornalisti si sono dovuti arrestare comprendendo che quel procedimento non aveva alcun senso ed era evidentemente montato ad arte con l’unico scopo di intimidire.

Il frate querelatore

Del resto, Mauro Gambetti non è stato da meno: negli anni ha promosso azioni mirate a diffondere paura e silenziare chi osava pubblicare verità scomode. Perché ciò che Silere non possum scrive lo infastidisce. E allora qual è la strategia? Fare processi ai sampietrini, accusandoli – falsamente – di essere le fonti di queste informazioni, oppure far presentare denunce da soggetti totalmente estranei al Vaticano, ma utili perché laici, così da non metterci la faccia direttamente.

Il risultato? Il “politicante in cerca di soldi in Vaticano” ha perso su tutta la linea: Tribunale, Corte d’Appello e perfino Cassazione gli hanno dato torto, arrivando a deridere Diddi con la frase: “Essere Gentiluomo di Sua Santità non significa essere pubblico ufficiale”. E sì, perché Diddi, in un delirio interpretativo, sosteneva che quel tribunale avesse competenza in un gravissimo (sic!) caso di diffamazione solo perché il querelante si era fatto nominare Gentiluomo di Sua Santità. Come se questo, per l’ignorante Diddi, fosse sinonimo di pubblico ufficiale.

Ma la definizione di pubblico ufficiale, per il nostro avvocatello romano, è una fonte inesauribile di confusione. Al punto da contestare tale qualifica perfino ai sampietrini. Un sampietrino! Gente sfruttata, presa in giro, spesso analfabeta – e ora sarebbero pubblici ufficiali? Sarebbero diventati strumenti di accusa solo perché fa comodo al francescano “umile e povero” di Assisi e al suo fedele esecutore Diddi?

Perché se il sampietrino è un pubblico ufficiale, allora può essere accusato di aver passato materiale riservato. Se invece non lo è, il reato semplicemente non sussiste. Peccato che Diddi non abbia capito una cosa fondamentale: quando noi abbiamo iniziato il nostro ministero in queste mura, lui era ancora nei campi a raccogliere patate – luogo in cui, forse, avrebbe fatto meglio a studiare la procedura penale vaticana. Cosa che, evidentemente, non ha mai fatto.

Noi non abbiamo bisogno di sampietrini che ci passano informazioni. E il nostro lavoro non si fermerà neppure se lui decidesse di piazzare telecamere nelle docce di questi poveri cristi. Se ne facciano una ragione – lui e Mauro Gambetti.

Le azioni di Diddi ai danni della Santa Sede

Negli ultimi anni, Silere non possum ha acceso ripetutamente i riflettori su quelle che sono anomalie gravi e sistemiche nel processo noto come Sloane Avenue. Si tratta di una vicenda giudiziaria che ha arrecato numerosi danni alla Santa Sede 

Al centro di queste denunce non c’è solo l’operato del Promotore di Giustizia Alessandro Diddi, ma l’intero sistema giudiziario che ha agito oltre i limiti della legalità. A preoccupare è una macchina guidata da ambizioni personali e trame opache, in cui Diddi è solo uno degli ingranaggi. Basti pensare a tutte le figure cresciute alla scuola del comandante Domenico Giani, un uomo che ha instaurato nello Stato vaticano un clima asfissiante, fatto di sorveglianza, telecamere, perquisizioni e coinvolgimenti opachi di forze di polizia straniere. Ha trasformato la Gendarmeria Vaticana in un corpo repressivo, privo di qualsiasi ispirazione evangelica.

La scelta di personale proveniente dalla Guardia di Finanza italiana, evidentemente, non ha prodotto buoni risultati. Solo in seguito si scoprirà – come denunciato con chiarezza dall’ex Revisore dei Conti Libero Milone – che lo stesso Giani aveva utilizzato fondi della Gendarmeria Vaticana per ristrutturare la propria abitazione.

Fra i pupilli di Giani c’era Stefano De Santis, attuale Commissario, il quale ha scambiato il Corpo della Gendarmeria per un film poliziesco. Tutte queste persone in questi anni hanno agito contro il Papa, la Santa Sede e la Chiesa Cattolica. Perchè le loro azioni sono chiaramente contro la figura del Papa, come istituzione, ed è finalizzata a convincere Bergoglio a fare determinate scelte e lo hanno esposto a queste macchinazioni. Se Francesco ha accusato i suoi predecessori di essere vittime dei loro segretari, Jorge Mario Bergoglio è oggi in mano ad un gruppo di laici assetati di potere e stelline che neppure ha idea. 

Chaouqui: il cancro di un Pontificato

Questo Pontificato è partito sin dall’inizio con il piede sbagliato. Tra le decisioni più discutibili prese da Papa Francesco nei primi mesi, spicca quella di affidare un incarico delicatissimo a una donna priva di competenze e rivelatasi una millantatrice: la calabrese Francesca Immacolata Chaouqui. Quest’ultima è stata condannata per reati gravissimi dal Tribunale dello Stato Vaticano. La sentenza fu emessa sotto la presidenza del Dott. Giuseppe Dalla Torre – un magistrato di ben altro spessore rispetto a figure come Pignatone – e risultò così solida e inequivocabile da non essere nemmeno appellata da alcuna delle parti coinvolte.

In un messaggio inviato su Facebook al cardinale Angelo Becciu, Francesca Immacolata Chaouqui dichiarava di essere amica di Domenico Giani e Stefano De Santis. Si tratta di una lunga serie di messaggi, dal tono insistente e persecutorio, attraverso i quali la Chaouqui – già condannata in via definitiva – tentava disperatamente di ottenere la Grazia dal Papa per le sue gravissime azioni ai danni del Papa.

Nel corso degli anni, Chaouqui si è distinta per una costante sete di visibilità e potere. Ha spesso millantato contatti e relazioni che nella realtà non possedeva, rappresentando uno dei tanti esempi di chi ambisce a entrare nei circuiti vaticani non per vocazione, ma per puro desiderio di affermazione personale. Casi simili non mancano, come abbiamo documentato più volte su Silere non possum: dai giovani che inviano lettere false a nome del Segretario di Stato, a sacerdoti allontanati dalle loro diocesi che fingono di avere accesso alla Città del Vaticano, fino a uomini che si fanno fotografare con ogni cardinale esistente per darsi importanza, o professionisti che usano queste connessioni per promuoversi.

Questi personaggi rappresentano un pericolo concreto per la missione autentica dello Stato della Città del Vaticano. Colpisce che proprio Papa Francesco – venuto dalla “fine del mondo” per richiamarci a umiltà e misericordia – si sia lasciato ingannare da figure ambigue, permettendo alla Chaouqui di tessere relazioni influenti. È bene chiarire che oggi non ha più accesso a Casa Santa Marta, ma grazie all’appoggio di uomini come Stefano De Santis, Alessandro Diddi e altri, ha continuato a ricevere informazioni riservate, dando l’impressione di avere un ruolo che in realtà non le spetta.

Molti hanno definito Francesca Immacolata Chaouqui una millantatrice, e a buon diritto. Tuttavia, sorprende come, nonostante ciò sia noto, ci siano ancora persone che – per ragioni poco chiare – continuano a darle credito e informazioni riservate. Anche nel caso Sloane Avenue, la sua influenza è stata evidente: gran parte degli articoli pubblicati da testate che oggi preferiscono tacere sono stati costruiti su informazioni fornite proprio da lei, spesso infondate o del tutto false.

Le conversazioni che pubblichiamo oggi in esclusiva – anticipate da alcuni quotidiani, ma mai rese effettivamente pubbliche – mostrano chiaramente come la Chaouqui abbia mentito anche durante la sua audizione in aula. Una falsità grave, che costituisce un reato e che il Tribunale non potrà ignorare.

Torneremo su questo punto in modo più approfondito. Intanto, è opportuno sottolineare che quando la Chaouqui dichiara di essere vicina a figure come Stefano De Santis, non mente. Lo dimostra un episodio emblematico: il “baciamano” concesso da Papa Francesco nell’agosto del 2022. Nonostante le fosse stato esplicitamente vietato dal Papa stesso di accedere al territorio vaticano, il 17 agosto 2022 Chaouqui è riuscita comunque a varcare i confini dello Stato e a essere ricevuta dal Pontefice. A condurla dinanzi al Papa per quel gesto pubblicitario? Proprio Stefano De Santis.

Come ha correttamente evidenziato Loris Zanatta nella sua recente “Biografia politica” di Bergoglio, Francesco ha sempre agito in questo modo al fine di “sparigliare le carte”, creare confusione. Il modo migliore per governare, infatti, è “Divide et Impera”. 
Quando c’è un lavoro sporco Bergoglio manda avanti altri, come in questo caso il cardinale Giovanni Angelo Becciu, quando ancora era Sostituto. 

Avendo visto la pregiudicata Chaouqui davanti al Papa, Becciu scrisse subito una e-mail dicendo: 
"Santo Padre, Sono spiacente, ma non posso non manifestarLe la mia profonda costernazione di fronte alla pubblicazione delle foto che ritraggono la sig.ra Chaouqui ammessa al baciamano nell'udienza di ieri - scriveva Becciu il 19 agosto scorso -. 

Ecco i motivi del mio disappunto:

1. Quando nel 2017 Le presentai, caldeggiandola, la domanda di grazia di detta signora per condonarle i pochi mesi che le mancavano all'estinzione della pena, Lei mi rispose, in un tono severo che mai Le avevo visto, in questi termini: 'La mia risposta è negativa e Lei non mi deve mai più menzionare questo nome. Inoltre rimane valido per sempre il divieto di farla entrare in Vaticano'. In tali termini, come Sostituto, io risposi a nome Suo alla signora. Questa reagì pesantemente accusandomi di essere stato io ad oppormi alla grazia e minacciandomi vendetta crudele nei miei confronti. La vendetta la sto pagando da due anni ed è sotto gli occhi del mondo intero.

2. Con il baciamano di ieri io sono stato smentito púbblicamente e la signora acquisterà maggiore forza per continuare a demolirmi con tutti i satanici mezzi di cui e capace - proseguiva Becciu -. 3. Il fatto più grave é il seguente e si inserisce nel contesto del Processo penale in corso nei miei confronti. Con il gesto di ieri Lei, Santo Padre, ha rotto il tanto conclamato Suo impegno di neutralità nel Processo.

Lei saprà che detta signora appare dagli atti giudiziari come una delle mie accusatici, ora ricevendola Lei ha manifestato solidarietà con essa e indiretto sostegno alle sue tesi accusatorie nei miei confronti. In termini processuali il Suo atto non sarà visto come promanante dal Papa ma dal Primo Magistrato dell'ordinamento giuridico dello Stato del Vaticano, e quindi come un'ingerenza nel Processo Tanto mi sono sentito in dovere di comunicarLe e nel mentre Le porgo devoti ossequi.”

Il Pontefice rispose lo stesso giorno: 

"Caro Fratello, Grazie tante per la sua e-mail. Mi dispiace che questo gesto di saluto possa fare del male. Mi hannno domandato se la Signora poteva venire con i suoi figli alla Udienza Generale ed avere un baciamano…, e pensai che se le farà bene, che venga". "Poi, le dico che ho quasi dimenticato la 'avventura' di questa Signora. Neppure so che è immischiata nel giudizio (non entro in quello) - proseguiva Francesco -. Le chiedo scusa e perdono se questo l'ha offesa e lastimata. È solo colpa mia, anche dell'abitudine di dimenticare le cose brutte. Per favore mi perdoni se l'ho offesa. Prego per lei, per favore lo faccia per me".

Strano, Francesco dimentica solo ciò che gli pare, questo è noto. Quando il 19 luglio 2013 il Papa nominò questa tizia nella Pontificia commissione referente di studio e di indirizzo sull'organizzazione della struttura economico-amministrativa molte persone importanti gli dissero: “Questa tizia non è a posto” e gli mostrarono diversi documenti per dissuaderlo da questa decisione. Foto, chat, tweet, ecc… Una marea di documenti che evidenziavano l’inopportunità di questa nomina.

Lui continuò imperterrito e ne pagò le conseguenze. Chaouqui ha creato uno scandalo enorme arrecando alla Santa Sede un danno incredibile, sembra strano che il Papa ora non se ne ricordi. La verità è un’altra e la sveliamo oggi con le carte alla mano.

Una Chaoqui usata

Papa Francesco è perfettamente consapevole che Francesca Immacolata Chaouqui rappresenta un problema serio. Le sue azioni hanno arrecato danni non solo all’istituzione, ma anche alla sua stessa figura. Tuttavia, nonostante ne conoscesse la pericolosità, l’ha comunque utilizzata per liberarsi di una figura che ormai considerava scomoda.

La rabbia della Chaouqui nei confronti del cardinale Angelo Becciu ha raggiunto livelli patologici. La sua è un’ostilità viscerale, carica di rancore. Ricorda la reazione immatura di chi, una volta ottenuto il “giocattolo”, non tollera di vederselo sottratto. Essere stata scoperta, processata e condannata è stato per lei uno smacco intollerabile, una ferita al suo ego.

Lo stesso schema lo vediamo ripetersi anche nel caso di Davide Barzan: personaggi che si muovono nell’ombra, alimentando ambiguità e opacità, e che, una volta smascherati, reagiscono con rabbia e isteria. Da anni, Chaouqui utilizza la minaccia e il ricatto come strumenti di pressione. Fa continui riferimenti a presunte rivelazioni, sostiene di sapere molto più di quanto realmente sappia, e costruisce attorno a sé un’aura di potere fondata su illusioni e intimidazioni. I giornali continuano a chiamarla “la papessa” ma il termine corretto è “la millantatrice”. 

Un processo orchestrato

Il processo Sloane Avenue è stato oggetto di forti polemiche sin dall’inizio. I media si sono presto divisi in due fazioni: da una parte, le giornaliste che difendevano il cardinale Angelo Becciu, spinte da legami personali con il porporato; dall’altra, quelle che lo attaccavano ferocemente, definendolo un criminale, per la loro vicinanza ad Alessandro Diddi. Una polarizzazione che non ha giovato a nessuno, tanto meno alla verità.

A un certo punto della vicenda, Silere non possum ha scelto di intervenire con l’obiettivo di fare chiarezza. Come sempre accade quando ci occupiamo di un caso, abbiamo deciso di raccontarlo in modo diretto, senza partigianerie o filtri ideologici. E, puntualmente, i documenti iniziano a fare verità. Grazie a noi, infatti, sono venuti fuori i Rescritti segreti, i documenti nascosti, ecc… È questo ciò che interessa davvero alle persone: i fatti, non le opinioni di giornalisti legati a dinamiche opache, a volte persino a rapporti compromettenti con personaggi discutibili. Alcuni di loro sono finiti a processo insieme a questa millantatrice: cosa ci si può aspettare?

Del resto, come possiamo pensare che chi non conosce nemmeno la differenza tra Vaticano e Santa Sede sia in grado di spiegare un caso così complesso, incastonato in un pontificato segnato da continue contraddizioni? Eppure, questa è la realtà: si leggono certi articoli sui grandi giornali e ci si sorprende che l’opinione pubblica non reagisca. Ma forse si dimentica un dettaglio fondamentale: quei giornali non li legge quasi più nessuno. E, soprattutto, la fiducia nelle loro firme è ormai evaporata.

In queste ore abbiamo ricevuto decine di messaggi, anche da cardinali e vescovi, che ci chiedono: “Ma è tutto vero? Perché non dite nulla?”.

La verità è che, di solito, preferiamo osservare in silenzio. Fino a quando non arriva il momento di sorridere di fronte a certe dinamiche ridicole. Silere non possum, pur essendo nato solo quattro anni fa, è ancora poco compreso da chi pensa di poter manipolare l’informazione. Ma la nostra linea è sempre la stessa: niente ricostruzioni parziali, solo documenti.

È successo con il caso Bianchi: siamo stati noi a pubblicare gli atti integrali. Sta accadendo ora con il caso Gambetti: stiamo facendo luce con i documenti, non con interpretazioni. Lo stesso vale per il caso del Vicariato di Roma. E l’elenco potrebbe continuare.

Ecco le chat: “tutto organizzato”

Durante il processo svoltosi in Vaticano, è emerso un fatto di straordinaria gravità: Alessandro Diddi, Promotore di Giustizia, risultava coinvolto nella vicenda su cui egli stesso era chiamato a indagare. Una circostanza che, alla luce del codice di procedura penale che lui non ha mai studiato, avrebbe dovuto comportare la sua immediata ricusazione e la nomina di un sostituto. Ma ciò non è accaduto.
Il coinvolgimento di Diddi era stato ipotizzato già all’epoca, sulla base di alcune conversazioni tra Francesca Immacolata Chaouqui e Genoveffa Ciferri – quest’ultima vicina a Mons. Alberto Perlasca – nonché di messaggi che la stessa Ciferri avrebbe poi indirizzato a Diddi. La millantatrice Chaouqui, infatti, iniziò a scrivere a Ciferri fingendosi “un magistrato in pensione”. 
Il nodo è tutt’altro che secondario: Genoveffa Ciferri ha per lungo tempo affiancato e consigliato Perlasca, l’uomo che – più di altri – avrebbe dovuto sedere sul banco degli imputati, poiché era lui a eseguire materialmente le operazioni finanziarie per conto della Segreteria di Stato. Il Sostituto, al contrario, si limitava ad autorizzarle. Ma così non andò. Perlasca fu trasformato in testimone-chiave e strumentalizzato per colpire il cardinale Angelo Becciu.

Le conversazioni che pubblichiamo oggi dimostrano chiaramente che a muovere i fili, dietro le quinte, c’era ancora una volta Francesca Immacolata Chaouqui. Nelle sue chat, arriva persino a promettere che Perlasca non avrebbe subito alcuna conseguenza legale.

Ci si chiede: com’è possibile che nello Stato del Papa, sotto gli occhi di Francesco e con lui costantemente informato, accadano simili distorsioni della giustizia? Dov’è finita la Chiesa povera, misericordiosa e trasparente di cui parlava all’inizio del pontificato?

Dai messaggi che ora rendiamo pubblici, risulta evidente che Stefano De Santis e Alessandro Diddi condividevano informazioni riservate con Francesca Immacolata Chaouqui. A confermarlo è il fatto che Chaouqui anticipava sistematicamente a Genoveffa Ciferri le mosse del Promotore di Giustizia, al punto che la stessa, preoccupata, scrisse in una chat: “Se viene fuori che eravamo tutti d’accordo, è la fine.”

Gli atti di cui parliamo erano stati secretati proprio da Alessandro Diddi, il Promotore di Giustizia coinvolto direttamente nella vicenda. Una decisione gravissima, che solleva interrogativi urgenti: com’è possibile che il Tribunale vaticano abbia consentito tutto questo? Com’è possibile che un promotore possa secretare atti, fingendo di aver avviato un procedimento di cui, a distanza di tempo, non si conosce ancora nulla? E, soprattutto: chi starebbe conducendo le indagini in questo presunto procedimento? Ancora Diddi? Dunque, l’indagato indaga su sé stesso? O forse le indagini sono in mano a Stefano De Santis, lo stesso che ha passato documenti riservati a Francesca Immacolata Chaouqui?

Poiché sembra che Alessandro Diddi abbia dimenticato cosa significhi essere un pubblico ufficiale, glielo ricordiamo: il Promotore di Giustizia vaticano lo è a tutti gli effetti. Se un pubblico ufficiale condivide atti di un’indagine delicatissima con una millantatrice o con una giornalista di cui presenta i libri, oppure – peggio ancora – li consegna a un settimanale come L’Espresso, siamo davanti a un reato di estrema gravità. I dipendenti vaticani non sono pubblici ufficiali. Lo è lui.

Eppure, da quando la stampa ha iniziato a sollevare domande su questo caso, Diddi ha scelto il silenzio – un atteggiamento in netto contrasto con la sua consueta prontezza nel rilasciare dichiarazioni contro tutto e tutti. La Sala Stampa della Santa Sede, da parte sua, si è trincerata in un mutismo assordante. Nel piccolo Stato vaticano, le voci però non si fermano. Anche Vatican News e l’intera macchina “non comunicativa” di Piazza Pia restano muti, nonostante la portata senza precedenti di quanto sta accadendo.

Stupisce, in particolare, il silenzio di Andrea Tornielli, abitualmente prolifico nel commentare tutto, dai migranti ai senzatetto in Italia. Eppure ora, di fronte a una vera e propria bomba che esplode all’interno del Vaticano, tace. Non dimentichiamo che fu proprio lui, forte delle sue “profonde competenze giuridiche”, a definire quello di Sloane Avenue “un processo giusto”.

Ora però le alternative sono due: o Alessandro Diddi si dimette immediatamente, oppure si apre una fase che porterà seri grattacapo. Chiunque abbia un procedimento penale in corso in Vaticano non può più essere costretto a subire questo teatrino da processo kafkiano. E fino a quando Diddi non sarà sbattuto fuori da Porta Sant’Anna, continueremo a pubblicare, punto per punto, tutto ciò che sta accadendo all’interno dell’Ufficio del Promotore di Giustizia. Perché la legalità non è un’optional. Neppure qui in Vaticano.

d.L.V, A.C. e F.P.
Silere non possum

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