Città del Vaticano - Il 17 ottobre 2025, alla Pontificia Università Lateranense, il corrispondente di The Pillar, Edgar Beltrán, è stato aggredito mentre cercava di porre una domanda a S.E.R. Mons. Edgar Peña Parra, sostituto per gli Affari Generali della Segreteria di Stato.
Il giornalista ha raccontato di essere stato assalito fisicamente da un uomo venezuelano non identificato che, gridando in dialetto sudamericano, lo avrebbe accusato di “fare domande sul governo” e lo avrebbe spinto, afferrato per il colletto e strappato il telefono di mano.
Beltrán ha descritto la scena con lucidità e un pizzico di amara ironia: «Forse ho iniziato a ridere per nervosismo. Ma mi sono reso conto che non eravamo in Venezuela: qui un uomo come lui non può farmi del male. Gli ho detto: “Siamo in un Paese libero. Non siamo più in Venezuela.”»
Solo l’intervento di alcuni presenti ha evitato che la situazione degenerasse. Poi il giornalista si è avvicinato di nuovo all’arcivescovo Peña Parra, che - a suo dire - era “sconvolto e con gli occhi sbarrati”, e ha proseguito l’intervista con compostezza.
Le parole di Parolin: una lezione mal posta
Questa mattina il cardinale Pietro Parolin commentando l’attentato subito in Italia dal giornalista Sigfrido Ranucci, ha dichiarato: «È fonte di grande preoccupazione che ci possano essere atti di intimidazione nei confronti della libera stampa… Noi vogliamo che tutti possano esprimersi senza essere oggetto di questo tipo di minacce». Parole condivisibili, certo. Ma anche dissonanti, se lette alla luce dei numerosi episodi di intimidazione ai giornalisti avvenuti proprio in Vaticano o nel suo perimetro di influenza. Come può la Santa Sede condannare le minacce contro la stampa quando nel suo stesso territorio - e sotto la responsabilità della Segreteria di Stato - accadono episodi che ne minano la credibilità morale?
Una lista che si allunga
Non si tratta, purtroppo, di un caso isolato. Il 18 maggio 2022, nell’aula del Tribunale Vaticano, il Promotore di Giustizia Alessandro Diddi attaccò pubblicamente una giornalista, rivelando in aula nome e cognome di una sua fonte - un atto gravissimo, che in qualunque altro Stato avrebbe comportato sanzioni disciplinari e un’indagine per violazione del segreto professionale. La stessa giornalista, intervistata da Silere non possum, raccontò come il presidente dell’AIGAV, Loup Besmond de Senneville, avesse scelto il silenzio: «Non ha preso posizione perché è frenato dai vaticanisti italiani, che hanno paura di risultare antipatici al potere. Sono acquiescenti».
Nel 2023, poi, un dipendente della Fabbrica di San Pietro fu accusato falsamente di essere la fonte di Silere non possum e sottoposto a procedimento penale su iniziativa del cardinale Mauro Gambetti e dello stesso Diddi. Non solo quell’uomo non aveva alcun contatto con il portale di informazione, ma - come hanno raccontato alcuni testimoni – sia Diddi che De Santis hanno più volte rivolto minacce dirette ai giornalisti del portale durante i colloqui con avvocati e parti.
Libertà di stampa sotto tutela
E allora viene spontaneo chiedersi: il cardinale Parolin si è guardato allo specchio prima di pronunciare quelle parole? La condanna delle intimidazioni all’estero è legittima, ma resta ipocrita se non accompagnata da una seria autocritica interna.
Perché prima di ergersi a paladino della libertà di stampa nel mondo, la Segreteria di Stato dovrebbe garantire che il Vaticano stesso sia un luogo sicuro per chi fa giornalismo. E ricordiamo un dettaglio che non è marginale: secondo la Legge sull’ordinamento giudiziario vaticano, tutti i magistrati sono nominati dal Papa su proposta della Segreteria di Stato. Ciò significa che la responsabilità politica e morale delle loro azioni ricade, inevitabilmente, anche sul Segretario di Stato.
Il vero scandalo
Il caso Beltrán non è solo un episodio di cronaca. È uno specchio. Mostra il volto di un sistema che favorisce forme di controllo e pressione sulla stampa quando il giornalismo diventa scomodo. Un sistema che preferisce i comunicati preconfezionati alle domande libere, i rapporti di complicità al dovere di cronaca. Eppure, come ha ricordato lo stesso Beltrán, non siamo in Venezuela. O almeno - ci si augura - non ancora.
d.C.T.
Silere non possum