Tra quattro giorni Leone XIV si trasferirà a Castel Gandolfo per un periodo di riposo. Questa notizia, come al solito, è stata affrontata dai media e dai commentatori con il feticcio del vaticano con la solità superficialità che contraddistingue tutto il loro operato. Eppure, diversamente da quanto racconta qualcuno ovvero che andare a Castel Gandolfo sarebbe sinonimo di ricchezza, superbia o altre sciocchezze, non c’è nulla di più normale per una persona di andarsi a ritirare e a riposarsi durante il tempo estivo per un periodo di vacanza e rigenerazione anche spirituale. Anche il Papa ha bisogno di riposo. Anche lui, come ogni uomo, è chiamato a “vacare”.
Viviamo in una società che idolatra l’efficienza, la visibilità, la produzione continua. Anche nella Chiesa, purtroppo, sembra a volte che conti solo ciò che “si fa”: conferenze, viaggi, discorsi, apparizioni pubbliche. Ma la vita spirituale — quella vera, profonda, feconda — cresce in un altro ritmo. Come diceva il cardinale Carlo Maria Martini: «La vita spirituale non è una corsa, ma un pellegrinaggio a tappe, con pause, soste, silenzi».
Il riposo è umano, e quindi è sacro. Lo ricorda spesso Enzo Bianchi: “Imparare a riposare non è perdere tempo, ma abitare il tempo. Non è fuggire, ma sostare.” In un tempo in cui la vacanza è spesso una forma di consumo o una corsa a nuove prestazioni (sportive, sociali, fotografiche), la scelta del Papa di ritirarsi nel silenzio di Castel Gandolfo è un atto profetico. Non è evasione, ma testimonianza. Dice che il corpo conta, che la mente va rigenerata, che l’anima ha bisogno di rifiatare.
Lo stesso Agostino, tanto caro a Prevost, ci insegna che il cuore umano è inquieto finché non riposa in Dio. Ma questo “riposo in Dio” non è un’astrazione: si costruisce anche nel ritmo sabbatico della vita, nella capacità di fermarsi, di stare, di ascoltare. Il monachesimo lo ha sempre saputo: “Otia sancta non sunt vacua”, diceva Gregorio Magno — il riposo santo non è vuoto, ma è abitato dalla presenza.
Anche San Bernardo di Chiaravalle, nel suo De Consideratione scritto a un Papa (Eugenio III), ammoniva: “Occupato da mille impegni, rischi di perdere te stesso. Rientra in te, prendi tempo per Dio, per la tua anima.” Parole che sembrano rieccheggiare oggi per Leone XIV il quale si è trovato a dover accogliere anche una eredità, se di eredità si può parlare, molto controversa. Il suo spostamento a Castel Gandolfo non è “un andare via”, ma un ritornare dentro. Il teologo Dietrich Bonhoeffer, dal carcere, ricordava che «la solitudine non è vuoto, ma piena relazione con Dio». E Papa Benedetto XVI, nel suo magistero così spesso inascoltato, ci aveva avvertiti: “Chi non sa fermarsi, non saprà mai ascoltare”. Fermarsi è una forma alta di resistenza spirituale.
E allora, lasciamo che il Papa riposi. Non pretendiamo che sia sempre visibile, attivo, in prima linea. La Chiesa ha bisogno anche di Padri che riposano, non solo di capi che lavorano. Perché nella quieta fedeltà quotidiana, nello stare davanti a Dio senza fare nulla, si custodisce quel mistero che fa della Chiesa un corpo e non una macchina, una Sposa e non un’azienda.
Il Papa si ritira, i faccendieri si agitano
Tanto più che Leone XIV, in questi ultimi mesi, ha vissuto una vera e propria rivoluzione personale che mai avrebbe potuto immaginare. Il tempo a Castel Gandolfo sarà prezioso non solo per il necessario riposo, ma anche per prepararlo a una stagione di cambiamenti e spostamenti che inizieranno a settembre. Cambiamenti reali, necessari. Non quelli inventati da certi faccendieri frustrati che, col favore dell’anonimato, mettono su carta straccia le confidenze di qualche cardinale altrettanto represso, sperando che qualcuno – magari anche il Papa – ci caschi.
I cambiamenti in arrivo sono fisiologici: c’è chi deve andare in pensione e c’è bisogno di creare attorno al Papa un ambiente più affine, con persone con cui possa collaborare in modo sereno e proficuo per il bene della Chiesa. Eppure, in questi giorni, qualcuno ha persino attribuito a Leone XIV frasi mai pronunciate, ovviamente “in gran segreto”. Dal Palazzo Apostolico, però, non solo non si perde tempo con queste idiozie partorite da ragazzetti repressi in giacca e cravatta – gli stessi che inseguono vescovi e cardinali come fanno con i parlamentari – ma si sottolinea anche come certe espressioni non appartengano neppure allo stile sobrio e al linguaggio essenziale di un uomo umile come Prevost.
Del resto, lo abbiamo detto più volte: certi personaggi non hanno alcun interesse per la verità. Scrivono falsità sistematiche solo per far passare la loro visione delle cose. E non lo fanno per amore della Chiesa, ma per vendetta. Vendetta per non essere stati messi in prima fila durante un’udienza. Patetico.
Quaerere deum
E se anche il Papa si ritira, forse possiamo imparare a farlo anche noi. Imparare a sospendere l’affanno, a spegnere – almeno per un po’ – il cellulare, ad allentare i ritmi imposti dai social che ci vogliono sempre connessi, sempre produttivi, sempre presenti. Imparare a non dover dire nulla. A non dover fare nulla. Il riposo, in fondo, è un comandamento divino: Dio stesso, il settimo giorno, si è fermato. Non perché fosse stanco, ma per insegnarci la bellezza del non fare, della contemplazione, del semplice godere.
Anche questo gesto di Leone XIV è un messaggio. È un invito rivolto in particolare ai sacerdoti, spesso travolti da un’agenda frenetica: oratori, grest, celebrazioni, riunioni, appuntamenti… Il Papa indica una via diversa. Invita a rallentare, a ritrovare Dio nel silenzio, a riscoprire il valore della solitudine abitata, per ricalibrare l’anima. Anche stavolta, Leone XIV non pensa solo a sé stesso. È consapevole che ogni suo gesto è anche un segno. Un esempio. Un richiamo.
Che queste vacanze, allora, possano essere davvero un tempo benedetto. Per fermarsi. Per respirare. Per ritrovarsi in Dio.
p.E.F.
Silere non possum