Città del Vaticano - «Mentre una porta visibile si richiude, si afferma con forza che la salvezza di Cristo resta definitivamente aperta a tutti». Con questa immagine Padre Roberto Pasolini, OFM Cap., Predicatore della Casa Pontificia, ha guidato la terza e ultima meditazione di Avvento 2025, intitolata L’universalità della salvezza. Una speranza senza condizioni, legando il cammino verso il Natale alla conclusione del Giubileo e alla solennità dell’Epifania.

Una Porta che si chiude, una salvezza che resta aperta

Il filo conduttore è netto: Natale e Giubileo - letti insieme - chiedono alla Chiesa di riconoscere la venuta di Cristo come «una luce da accogliere, dilatare e offrire al mondo». Qui Pasolini colloca il tema decisivo della cattolicità: pienezza di Cristo e invio «alla totalità del genere umano, senza eccezioni né esclusioni». È la tesi di fondo: la salvezza non è per pochi né “a condizioni”, ma ha un respiro realmente universale.

La “luce vera” e la resistenza dell’uomo

Per entrare nel mistero dell’Incarnazione, Pasolini sceglie il Vangelo di Giovanni, che non racconta la scena della mangiatoia ma descrive l’arrivo del Verbo come irruzione di una «luce vera», quella che «illumina ogni uomo». La potenza di questa luce, però, si scontra con un paradosso: «venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto». La ragione non sta nella luce - «per sua natura illumina e vivifica» - ma nella nostra disponibilità ad accoglierla. Pasolini insiste: la luce è anche “esigente”, perché «smaschera le finzioni» e «mette a nudo le contraddizioni». Per questo l’uomo, come spiega Gesù a Nicodemo, può arrivare ad «amare più le tenebre che la luce».

Non “fare il bene”, ma “fare la verità”

Un passaggio centrale della meditazione ribalta un moralismo sempre in agguato nei giorni di festa. Gesù - osserva Pasolini - non contrappone chi fa il male a chi fa il bene, ma chi fa il male a chi «fa la verità». Tradotto: per accogliere l’Incarnazione non serve presentarsi “già a posto”, ma iniziare a non nascondersi, «accettare di essere visti per ciò che si è». Da qui l’affondo ecclesiale: in un Natale segnato dal Giubileo, alla Chiesa non è chiesto anzitutto di moltiplicare appelli alla bontà, ma di compiere «un cammino di maggiore verità». Non “facciata”, non rivendicazione di purezza: piuttosto l’umiltà - e il coraggio - di riconoscersi bisognosi di salvezza. Una Chiesa così, afferma Pasolini, non diventa più fragile ma «più credibile», perché lascia emergere l’identità nella forma evangelica dell’autenticità.

I Magi, la legge del desiderio e la libertà dello sguardo

La seconda parte della sua ultima predica di questo tempo santo, Pasolini l’ha costruita sui Magi: uomini “da lontano” che si mettono in cammino seguendo «la legge del desiderio». In loro Pasolini legge una lezione per tutti, anche per chi è “al centro” della vita ecclesiale: la familiarità con ruoli e urgenze può restringere lo sguardo; talvolta è proprio ciò che viene da lontano - «una voce periferica, una domanda inattesa» - a restituire verità. Epifania, in questa prospettiva, non è un bagliore che impone: è una presenza che «si lascia riconoscere» da chi accetta di «uscire da sé» e cercare. E qui la frase-chiave è evangelica e programmatica: «Chi cerca trova» (Mt 7,8). Ma cercare implica restare in ricerca, custodire lo spazio dell’attesa, non chiudere le domande troppo in fretta.

La tentazione di “restare seduti”

Pasolini identifica poi un rischio sottile: non opporsi a Cristo, ma non muoversi. È la tentazione di «restare fermi» nellazona rassicurante di abitudini e certezze. Nel racconto dei Magi, gli scribi sanno indicare Betlemme, Erode interroga e pianifica, ma nessuno compie il passo decisivo: andare. È l’atteggiamento di chi «vuole sapere tutto senza esporsi». Qui l’aggancio al presente è diretto: viviamo un flusso continuo di informazioni, ma «raramente» a tanto sapere corrisponde un coinvolgimento reale. Il pericolo, anche ecclesiale, è conoscere dottrina e tradizione e tuttavia rimanere seduti, senza lasciarsi condurre là dove il Signore continua a farsi presente: «nelle periferie, tra i poveri, nelle ferite della storia».

“Àlzati” e poi inginocchiati: il movimento della fede

La risposta è nel comando profetico proclamato a Epifania: «Àlzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce… su di te risplende il Signore». Alzarsi significa uscire dai rifugi interiori, accettare l’incertezza del cammino; rivestirsi di luce significa vivere «come se la luce stesse arrivando» anche quando non se ne vedono ancora i segni: custodire fiducia, sperare mentre la notte non è finita. Ma il cammino non culmina nell’affermazione di sé: culmina nell’adorazione. «Si prostrarono e lo adorarono». Il Predicatore insiste: l’accesso all’altro - diverso, fragile, inatteso - avviene «dal basso, mai dall’alto». La fede, allora, è un doppio movimento: «Alzarsi e poi inginocchiarsi». Ci si alza per uscire da sé, non per mettersi al centro; ci si abbassa perché ciò che si incontra non è controllabile. E questo vale per la Chiesa: chiamata a uscire e, insieme, a riconoscere che non tutto le appartiene.

L’universalità come stile missionario: offrire, non imporre

Nell’ultima parte, il religioso cappuccino ci ha offerto un’immagine potente: la visita dei Magi diventa la prova della forza universale dell’Incarnazione. Cercando Cristo, essi «hanno trovato anche se stessi»: nel volto del Dio fatto uomo intravedono che la dignità è promessa anche alla loro vita. Da qui una conseguenza missionaria molto concreta: la missione non è forzare l’incontro, ma «renderlo possibile». Evangelizzare non significa “portare qualcosa che manca” come se la Chiesa avesse un’esclusiva; significa aiutare l’altro a riconoscere la luce che già lo abita, perché Cristo compia l’umano, non lo cancelli. Il quadro finale richiama ancora Isaia: «Cammineranno le genti alla tua luce». Una Chiesa fedele alla propria vocazione non trattiene la luce, la riflette; non domina, attrae; non si pone al centro per possedere, ma per lasciare che ciascuno, avvicinandosi a Cristo, ritrovi «il senso della propria vita». E così - ha concluso Pasolini - potrebbe accendersi davvero «una speranza senza condizioni» non solo nella Chiesa, ma anche nel mondo.

p.J.C.
Silere non possum