Città del Vaticano – Tra i molti nomi finiti nel mirino del processo sul palazzo di Londra, quello di mons. Mauro Carlino è stato forse uno dei più ingiustamente esposti. Per anni ha ricoperto il delicato incarico di segretario del Sostituto per gli Affari Generali della Segreteria di Stato, ruolo che lo ha posto al centro delle dinamiche curiali ma che, nel dibattito processuale, è stato trasformato in un bersaglio facile per accuse poi rivelatesi infondate.
Il Promotore di Giustizia, Alessandro Diddi, aveva insinuato a suo carico responsabilità pesanti: estorsione, abusi d’ufficio, omissione di denuncia, persino il coinvolgimento in una richiesta di finanziamento allo IOR. Accuse che hanno costretto Carlino a vivere per anni sotto il peso di un procedimento penale, con il marchio di sospetti falsi che ne hanno infangato il nome e la vita sacerdotale.
Eppure, la sentenza del tribunale vaticano è stata chiara: Carlino non ha commesso alcuno dei reati contestati. Per l’estorsione, i giudici hanno stabilito che non ebbe alcun ruolo nelle pressioni esercitate da Gianluigi Torzi. Per gli abusi d’ufficio, hanno riconosciuto che le condotte contestate non avevano alcuna rilevanza penale: “il fatto non costituisce reato”. Quanto all’omissione di denuncia, la Corte ha spiegato che Carlino non aveva alcun obbligo giuridico di segnalazione. Infine, sulla vicenda del finanziamento allo IOR, è stato chiarito che non vi era nulla di penalmente rilevante.
In altre parole, ciò che Diddi aveva presentato come prova di colpevolezza si è rivelato inconsistente: un castello accusatorio che si è dissolto davanti all’analisi dei giudici. Non solo Carlino non ha partecipato ad alcuna manovra illecita, ma non aveva nemmeno il ruolo decisionale che l’accusa gli aveva attribuito.
Oggi, con l’inammissibilità dell’appello dichiarata dalla Corte d’Appello, quella verità diventa definitiva: la sentenza di primo grado passa in giudicato e mons. Mauro Carlino esce del tutto, e per sempre, da questo processo kafkiano.
Resta l’amarezza di anni trascorsi sotto il peso di accuse infondate, ma anche la certezza che la giustizia – almeno su questo fronte – gli ha restituito dignità e libertà. Una dignità e una libertà che l’Arcivescovo di Lecce e il suo presbiterio non hanno mai posto in dubbio. Questa vicenda, che rimane una delle pagine più tristi della storia vaticana recente, ha avuto però un effetto evidente: ha spinto un intero presbiterio a guardare con disprezzo lo Stato del Papa, che ha scelto di condurre questa storia con modalità ben lontane da ciò che si potrebbe definire autenticamente cristiano.
d.E.R.
Silere non possum