Città del Vaticano - Tra pochi giorni avrà inizio il secondo grado di giudizio del processo più discusso degli ultimi anni all’interno delle mura leonine: quello legato al palazzo di Sloane Avenue a Londra.
Un procedimento che ha scosso la Curia romana, travolto un cardinale e messo a nudo tutte le fragilità di un sistema giudiziario che non trova paragoni in nessun altro Stato al mondo. In Vaticano, infatti, l’accusa e i giudici possono esercitare pur non avendo alcun titolo specifico per farlo; le norme sono state modificate su misura per colpire determinate persone; gravano ombre pesanti sui rapporti opachi tra pubblica accusa, organi di polizia e una donna pregiudicata dalla storia problematica; c’è un uomo che ha originato lo scandalo londinese ma non è mai stato perseguito, avendo offerto in cambio alla magistratura il suo superiore con accuse mai dimostrate; e, infine, il medesimo Procuratore sostiene l’accusa in tutti e tre i gradi di giudizio.
In Vaticano questo è possibile perché Papa Francesco ha scelto di modificare la normativa penale, affidandosi a un uomo che non ha mai mostrato alcuna competenza né in diritto canonico né in diritto vaticano: Alessandro Diddi. Avvocato romano, senza alcun percorso accademico o formativo negli ambiti richiesti, fu scelto dal Pontefice per guidare l’Ufficio del Promotore di Giustizia, dopo le dimissioni di Giampiero Milano, che aveva chiesto con ostinazione l’ingresso nell’organismo giudiziario del più piccolo Stato del mondo del legale che aveva difeso gli attori di Mafia Capitale. Una decisione che ha segnato un cambio di passo, ma che oggi mostra tutte le sue contraddizioni.

Il profilo di Francesca Immacolata Chaouqui
Per comprendere fino in fondo la vicenda Sloane Avenue, occorre ripercorrere la storia di Francesca Immacolata Chaouqui, una delle figure più controverse del pontificato bergogliano. Il suo ingresso in Vaticano avviene grazie alla vicinanza con il cardinale Jean-Louis Tauran, ma è nel 2013 che Papa Francesco decide di conferirle un incarico ufficiale, inserendola nella Pontificia commissione referente di studio e di indirizzo sull’organizzazione della struttura economico-amministrativa (COSEA). Una scelta che si rivelerà presto un clamoroso errore. Furono Giovanni Angelo Becciu e altri collaboratori, a dire a Jorge Mario Bergoglio: “Chi ci stiamo mettendo in casa? Non è la persona giusta, basta guardare ciò che posta sui social”. Detto, fatto. Quelle previsioni si sono avverate.
La Chaouqui, infatti, sarà protagonista del caso Vatileaks 2: la pubblicazione non autorizzata di documenti riservati della commissione. Il processo che ne seguì portò alla sua condanna definitiva nel 2016 per concorso nella divulgazione illecita di notizie e documenti. Il Vaticano la dichiarò “persona non gradita”, negandole in seguito la grazia più volte richiesta. Nonostante ciò, la donna non ha mai smesso di orbitare attorno all’universo vaticano, costruendo per sé un personaggio alimentato da narcisismo, millanterie e un incessante bisogno di visibilità. Anche recentemente la Sala Stampa della Santa Sede è stata obbligata a smentire voci che lei aveva messo in giro facendo intendere di aver incontrato Leone XIV. Cosa del tutto falsa.
Perché citare questa donna pregiudicata a proposito del processo Sloane Avenue? Perché fu proprio la Chaouqui a minacciare il cardinale Angelo Becciu promettendogli che “gliel’avrebbe fatta pagare”: lo accusava infatti di aver convinto il Papa a negarle la grazia e di averne ordinato l’arresto ai tempi del processo Vatileaks.

Le nuove rivelazioni
Da anni Silere non possum denuncia il ruolo determinante giocato da questa donna e, al tempo stesso, l’assoluta inadeguatezza di Alessandro Diddi nel gestire una vicenda che lo supera di gran lunga. Un avvocato abituato a trattare processi di mafia e criminalità organizzata non può avere gli strumenti per comprendere la complessità del sistema vaticano. Per quanto questo Stato sia segnato da dinamiche di familismo amorale, chi non conosce dall’interno il funzionamento del mondo clericale può anche pontificare, ma resterà sempre incapace di leggere davvero la realtà che si consuma dietro queste mura.
Ciò che avevamo denunciato trova oggi conferma nelle chat che pubblichiamo integralmente e in esclusiva. Si tratta dei messaggi scambiati tra Francesca Immacolata Chaouqui e Genevieve Ciferri, dai quali emerge con chiarezza non solo un quadro segnato da evidenti fragilità psicologiche, ma anche il tentativo sistematico di manipolare prelati che hanno cercato in tutti i modi di circuire. Del resto, se da anni Silere non possum denuncia la presenza di “ragazzetti” attorno al mondo clericale, non mancano nemmeno le donne assetate di potere, pronte a tutto pur di ottenere qualcosa in cambio. E Chaoqui di cose in cambio ne ha sempre cercate molte: soldi, incarichi e visibilità.
Dalle chat emergono anche violenti attacchi contro quei giornalisti liberi che hanno avuto il coraggio di raccontare la verità, nonostante le intimidazioni, le false querele e gli insulti che la Chaouqui posta e lancia regolarmente dai suoi profili social. Il riferimento a Silere non possum ricorre con rancore e sete di vendetta: la “colpa” è quella di aver avuto il coraggio di scoperchiare il vaso di Pandora sull’operato di una donna che da anni minaccia giornalisti, blogger, prelati e chiunque osi ostacolare i suoi giochi di potere. Così, nelle chat, le due si lanciano in ricostruzioni tanto false quanto grottesche sulla vita privata di chi fa semplicemente il proprio lavoro, infastidite dal fatto che qualcuno abbia messo nero su bianco le loro manovre. Da una parte la Chaouqui, che ha circuìto la Ciferri arrivando persino a fingersi magistrato — del resto, è nota da sempre come millantatrice. Dall’altra la stessa Ciferri, intenta a proteggere “il suo monsignore” (Alberto Perlasca), terrorizzata all’idea che questi possa pagare per le proprie responsabilità.
Le chat surreali
Oggi, Silere non possum pubblica in esclusiva le chat che gettano nuova luce sul ruolo della Chaouqui e sulle sue relazioni dentro e fuori le mura.
Dalle conversazioni emerge chiaramente un intreccio inquietante: Francesca Immacolata Chaouqui e Genevieve Ciferri hanno agito in combutta per orientare e orchestrare il processo Sloane Avenue. Non solo. Le stesse comunicazioni mostrano che la Ciferri scriveva direttamente a Alessandro Diddi, il Promotore di Giustizia, il quale non solo non ha impedito tali contatti, ma ha permesso che il flusso di informazioni rimanesse attivo.
In parallelo, la Chaouqui intratteneva legami con Stefano De Santis, commissario della Gendarmeria Vaticana, rafforzando quella rete di connivenze e relazioni oscure che ha inciso profondamente sull’andamento del procedimento. Quando questi rapporti e queste attività sono emersi ed è stato possibile depositarli in tribunale, Alessandro Diddi non ha scelto di farsi da parte per garantire la regolarità del procedimento; al contrario, ha secretato le chat depositate, impedendo alle difese di accedervi e conoscerne il contenuto. Un comportamento che, in qualsiasi altro Stato, avrebbe comportato l’apertura immediata di un procedimento penale e disciplinare nei confronti del magistrato. In Vaticano, invece, tutto scorre come se fosse normale: nessuno solleva obiezioni sul fatto che, alle porte del secondo grado di giudizio, proprio l’uomo su cui gravano queste ombre continuerà a rappresentare l’accusa. Un’anomalia inconcepibile in uno Stato di diritto, dove un magistrato ha il dovere di astenersi da procedimenti che potrebbero anche solo potenzialmente mettere in discussione la sua attività.
Un processo senza credibilità
Alla vigilia del secondo grado di giudizio è necessario porre alcune domande:
Come può un Promotore di Giustizia che intratteneva rapporti con persone coinvolte nella vicenda garantire serietà e imparzialità?
Come è possibile che, nonostante la condanna e la dichiarazione di “persona non grata”, Francesca Chaouqui abbia continuato a esercitare influenza nelle dinamiche interne e a mantenere rapporti con il commissario Stefano De Santis? È stato proprio lui, infatti, a favorire la nota udienza generale in cui la Chaouqui riuscì a presentarsi davanti a Papa Francesco, scatenandone l’ira.
Quale credibilità può avere un processo in cui l’accusa è incarnata dalla stessa figura per tutti i gradi di giudizio, senza alcuna parvenza di imparzialità?
La giustizia, per definizione, dovrebbe essere terza, imparziale e trasparente. Invece, nel cuore del Vaticano, questa si è trasformata in un gioco di potere dove ci sono personaggi che hanno giocato non solo con la vita di un singolo cardinale ma con l’intero apparato curiale che è stato chiamato davanti ad un tribunale nel quale sono stati portati fogli, questioni riservate, documenti, fotografie, faldoni, protocolli, che in realtà avrebbero dovuto restare riservati per tutelare anche la credibilità della Santa Sede.
Oggi, mentre emergono prove che dimostrano come l’iter che ha portato al processo sia stato profondamente viziato, diventa urgente affrontare le gravi lacune lasciate dal pontificato precedente, sia in questa vicenda sia nell’intero impianto del diritto vaticano. Servono decisioni coraggiose, capaci di tutelare la Curia romana da rischi ben più seri delle critiche costruite ad arte da giornali compiacenti e da personaggi vicini a una millantatrice pregiudicata.
Ciò che occorre ora è che il Papa riprenda direttamente la competenza sulle cause che riguardano i cardinali di Santa Romana Chiesa, sottraendole al Tribunale Vaticano. Allo stesso tempo, sulla vicenda di Sloane Avenue e sul traffico di influenze legato a Chaouqui deve essere istituita una commissione cardinalizia di inchiesta, che faccia piena chiarezza senza zone d’ombra. È necessario inoltre avviare una stagione di responsabilità: rimuovere chi ha guidato la Gendarmeria Vaticana trasformandola in un corpo da “Texas Rangers”, eliminare coloro che hanno fatto i “commissari” a forza di dossier e indagini illegali su singoli prelati e personaggi di rilievo e sostituire coloro che hanno esercitato funzioni requirenti senza alcuna competenza in diritto vaticano e canonico.
Dal momento che Alessandro Diddi ha impedito l’accesso a questi documenti anche agli avvocati delle parti e non ha dato alcun seguito concreto al procedimento che afferma di aver aperto sui messaggi, abbiamo deciso di rendere pubblica una parte delle chat — una minima sezione di una serie ben più ampia e sconcertante. In questo modo tutti potranno leggere con i propri occhi cosa si scambiavano Francesca Immacolata Chaouqui e Genevieve Ciferri mentre lo Stato della Città del Vaticano finiva sulle prime pagine dei giornali per accuse infondate contro un cardinale.
Il caso Sloane Avenue, già di per sé complesso, si trova ora a un bivio: continuare su una strada che porta dritta alla delegittimazione del sistema giudiziario vaticano, oppure fermarsi, prendere atto delle anomalie e ristabilire quelle regole minime di trasparenza che ogni Stato di diritto dovrebbe garantire.
d.G.A. e M.G.
Silere non possum