Pope Francis responds to the dubia formulated by some cardinals.

Lunedì 2 ottobre 2023, alle soglie del Sinodo sulla Sinodalità, gli eminentissimi signori cardinali Walter Brandmüller, Raymond Leo Burke, Juan Sandoval Íñiguez, Robert Sarah e Joseph Zen Ze-Kiun, S.D.B., hanno reso pubblici alcuni “dubia” inviati al Sommo Pontefice il 10 luglio 2023.

Il medesimo giorno il prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede ha comunicato quanto il Santo Padre Francesco ha voluto chiarire in merito alle preoccupazioni dei porporati.

1° Dubium circa l’affermazione che si debba reinterpretare la Divina Rivelazione in base ai cambiamenti culturali e antropologici in voga. 

Dopo le affermazioni di alcuni vescovi, che non sono state né corrette né ritrattate,  si chiede se nella Chiesa la Divina Rivelazione debba essere reinterpretata secondo i cambiamenti culturali del nostro tempo e secondo la nuova visione antropologica che questi cambiamenti promuovono; oppure se la Divina Rivelazione sia vincolante per sempre, immutabile e quindi da non contraddire, secondo il dettato del Concilio Vaticano II, che a Dio che rivela è dovuta “l’obbedienza della fede”(Dei Verbum 5); che quanto è rivelato per la salvezza di tutti deve rimanere “per sempre integro” e vivo, e venire “trasmesso a tutte le generazioni” (7) e che il progresso della comprensione non implica alcun mutamento della verità delle cose e delle parole, perché la fede è stata “trasmessa una volta per sempre” (8), e il Magistero non è superiore alla parola di Dio, ma insegna solo ciò che è stato trasmesso (10).


Risposta del Sommo Pontefice:

Cari fratelli,
vi scrivo in riferimento alla vostra lettera del 10 luglio scorso. In essa avete voluto portare alla mia attenzione alcuni dubia che, a vostro avviso, sono in qualche misura legati al processo in corso in vista del prossimo Sinodo dei Vescovi sul tema della sinodalità.
A questo proposito, vorrei condividere con voi alcuni aspetti molto importanti. Con il prossimo Sinodo ho fortemente voluto realizzare un processo che preveda la partecipazione di una parte veramente significativa di tutto il popolo di Dio.
In questo percorso, con l’aiuto e l’ispirazione dello Spirito Santo, abbiamo potuto raccogliere «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono» e abbiamo potuto, ancora una volta, sperimentare che queste gioie, queste speranze, queste tristezze e angosce «sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla Vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore» (Gaudium et spes, 1).
Per rispondere pienamente a tutto ciò, questo processo – che durerà fino all’ottobre 2024 – ha incluso anche domande e consultazioni sulla struttura (partecipazione e comunione) e sulla missione della Chiesa nel tempo in cui viviamo.
Con grande sincerità, vi dico che non è molto bello avere paura di queste domande e di questi interrogativi. Il Signore Gesù, che ha promesso a Pietro e ai suoi successori un’assistenza indefettibile nel compito di prendersi cura del popolo santo di Dio, ci aiuterà, anche grazie a questo Sinodo, a mantenerci sempre più in costante dialogo con gli uomini e le donne del nostro tempo e in totale fedeltà al santo Vangelo.
Ora, anche se non sempre trovo opportuno rispondere alle domande che mi vengono rivolte direttamente (perché sarebbe impossibile rispondere a tutte), in questo caso mi sembra opportuno farlo per la vicinanza del Sinodo.
In particolare:

a) La risposta dipende dal significato che si dà alla parola “reinterpretare”. Se si intende “interpretare meglio” l’espressione è valida. In questo senso il Concilio Vaticano II ha affermato che è necessario che attraverso il lavoro degli esegeti – aggiungerei dei teologi – “il giudizio della Chiesa sia portato a maturazione”.
(Concilio Ecumenico, Costituzione dogmatica Dei Verbum, 12).
b) Pertanto, se è vero che la Rivelazione divina è immutabile e sempre vincolante, la Chiesa deve essere umile e riconoscere che non esaurisce mai la sua insondabile ricchezza e ha bisogno di crescere nella sua comprensione.
c) Di conseguenza, essa matura anche nella comprensione di ciò che essa stessa ha affermato nel suo magistero.
d) I cambiamenti culturali e le nuove sfide della storia non modificano la Rivelazione, ma possono stimolarci a rendere più espliciti alcuni aspetti della sua straripante ricchezza, che offre sempre di più.
e) È inevitabile che questo porti a una migliore espressione di alcune affermazioni passate del Magistero, come del resto è avvenuto nel corso della storia.

f)  D’altra parte, è vero che il Magistero non è superiore alla Parola di Dio, ma è anche vero che sia i testi della Scrittura che le testimonianze della Tradizione hanno bisogno di un’interpretazione che permetta di distinguere la loro sostanza perenne dai condizionamenti culturali. Ciò è evidente, ad esempio, nei testi biblici (come Es 21,20-21) e in alcuni interventi magisteriali che tollerano la schiavitù (cfr. Niccolò V, Bolla Dum Diversas, 1452). Non si tratta di una questione secondaria, data la sua intima connessione con la verità perenne della dignità inalienabile della persona umana. Questi testi hanno bisogno di essere interpretati. Lo stesso vale per alcune considerazioni del Nuovo Testamento sulle donne (1 Cor 11, 3-10; 1 Tim 2, 11-14) e per alcune considerazioni del Nuovo Testamento sulle donne (1 Cor 11, 3-10; 1 Tim 2, 11-14) e per altri testi della Scrittura e testimonianze della Tradizione che non possono essere materialmente ripetuti oggi.

g) È importante sottolineare che ciò che non può cambiare è ciò che è stato rivelato “per la salvezza di tutti” (Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione dogmatica Dei Verbum, 7). La Chiesa deve quindi discernere costantemente tra ciò che è essenziale per la salvezza e ciò che è secondario o meno direttamente collegato a questo obiettivo. A questo proposito, vorrei ricordare quanto affermato da San Tommaso d’Aquino: “quanto più si scende al particolare, tanto più aumenta l’indeterminatezza” (Summa Theologiae 1-1, q. 94, art. 4).
h) Infine, una singola formulazione di una verità non può mai essere adeguatamente compresa se viene presentata in modo isolato, isolata dal contesto ricco e armonioso dell’intera Rivelazione. La “gerarchia delle verità” implica anche la collocazione di ogni verità in un’adeguata connessione con le verità più centrali e con la totalità dell’insegnamento della Chiesa. Questo può portare, in ultima analisi, a diversi modi di esporre la stessa dottrina, anche se “a coloro che sognano una dottrina monolitica difesa da tutti senza sfumature, questo può sembrare una dispersione imperfetta. Ma la realtà è che questa varietà aiuta i vari aspetti dell’inesauribile ricchezza del Vangelo a manifestarsi e svilupparsi meglio” (Evangelii Gaudium, 49). Ogni linea teologica ha i suoi rischi ma anche le sue opportunità.


2° Dubium circa l’affermazione che la diffusa pratica della benedizione delle unioni con persone dello stesso sesso, concorderebbe con la Rivelazione e il Magistero (CCC 2357).

Secondo la Divina Rivelazione, attestata nella Sacra Scrittura, che la Chiesa “per divino mandato e con l’assistenza dello Spirito Santo piamente ascolta, santamente custodisce e fedelmente espone” (Dei Verbum 10): “In principio” Dio creò l’uomo a sua immagine, maschio e femmina li creò e li benedisse, perché fossero fecondi (cfr Gen 1, 27-28), per cui l’Apostolo Paolo insegna che negare la differenza sessuale è la conseguenza della negazione del Creatore (Rom 1, 24-32). Si chiede: può la Chiesa derogare a questo “principio”, considerandolo, in contrasto con quanto insegnato da Veritatis splendor 103, come un semplice ideale, e accettando come “bene possibile” situazioni oggettivamente peccaminose, come le unioni con persone dello stesso sesso, senza venir meno alla dottrina rivelata?


Risposta del Sommo Pontefice:

a) La Chiesa ha una concezione molto chiara del matrimonio: un’unione esclusiva, stabile e indissolubile tra un uomo e una donna, naturalmente aperta alla generazione di figli. Solo questa unione si chiama “matrimonio”. Altre forme di unione sono solo “parzialmente e analogicamente” (Amoris laetitia 292), e quindi non possono essere rigorosamente chiamate “matrimonio”.

b) Non è solo una questione di nomi, ma la realtà che chiamiamo matrimonio ha una costituzione essenziale unica che richiede un nome esclusivo, non applicabile ad altre realtà. È certamente molto di più di un semplice “ideale”.

c) Per questo motivo la Chiesa evita qualsiasi tipo di rito o sacramento che possa contraddire questa convinzione e dare l’impressione che venga riconosciuto come matrimonio qualcosa che non lo è.

d) Tuttavia, nei rapporti con le persone non dobbiamo perdere la carità pastorale che deve permeare tutte le nostre decisioni e i nostri atteggiamenti. La difesa della verità oggettiva non è l’unica espressione di questa carità, che è fatta anche di gentilezza, pazienza, comprensione, tenerezza e incoraggiamento. Non possiamo quindi diventare giudici che si limitano a negare, respingere ed escludere.

e) La prudenza pastorale deve quindi discernere bene se esistono forme di benedizione, richieste da una o più persone, che non trasmettano una concezione errata del matrimonio. Infatti, quando si chiede una benedizione, si esprime una richiesta di aiuto a Dio, una supplica per un modo di vivere migliore, una fiducia in un Padre che può aiutarci a vivere meglio.

f) D’altra parte, anche se ci sono situazioni che non sono moralmente accettabili da un punto di vista oggettivo, la stessa carità pastorale esige che non si trattino semplicemente come “peccatori” altre persone la cui colpa o responsabilità può essere attenuata da vari fattori che influiscono sull’imputabilità soggettiva (cfr. Giovanni Paolo II, Reconciliatio et Paenitentia, 17).

g) Le decisioni che, in determinate circostanze, possono rientrare nella prudenza pastorale, non devono necessariamente diventare una norma. Non è cioè opportuno che una Diocesi, una Conferenza Episcopale o qualsiasi altra struttura ecclesiale autorizzi costantemente e ufficialmente procedure o riti per ogni tipo di questione, poiché tutto “ciò che fa parte di un discernimento pratico in una situazione particolare non può essere elevato alla categoria di norma”, perché questo “darebbe luogo a una casistica insopportabile” (Amoris Laetitia 304).  Il Diritto Canonico non deve e non può coprire tutto, né le Conferenze Episcopali possono pretendere di farlo con i loro vari documenti e protocolli, perché la vita della Chiesa si svolge attraverso molti canali diversi da quelli normativi.


3° Dubium circa l’affermazione che la sinodalità è “dimensione costitutiva della Chiesa” (Cost.Ap. Episcopalis Communio 6), sì che la Chiesa sarebbe per sua natura sinodale.

Dato che il Sinodo dei vescovi non rappresenta il collegio episcopale, ma è un mero organo consultivo del Papa, in quanto i vescovi, come testimoni della fede, non possono delegare la loro confessione della verità, si chiede se la sinodalità può essere criterio regolativo supremo del governo permanente della Chiesa senza stravolgere il suo assetto costitutivo voluto dal suo Fondatore, per cui la suprema e piena autorità della Chiesa viene esercitata, sia dal Papa in forza del suo ufficio, sia dal collegio dei vescovi insieme col suo capo il Romano Pontefice (Lumen gentium 22).


Risposta del Sommo Pontefice:

a) Pur riconoscendo che la suprema e piena autorità della Chiesa è esercitata, sia dal Papa in virtù del suo ufficio sia dal collegio episcopale insieme al suo capo, il Romano Pontefice (cfr. Conc. Ecumen. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, 22). Inoltre, con questi dubia voi stessi manifestate il vostro bisogno di partecipare, di esprimere liberamente il vostro parere e di collaborare, e quindi rivendicate una qualche forma di “sinodalità” nell’esercizio del mio ministero.

b) La Chiesa è un “mistero di comunione missionaria”, ma questa comunione non è solo affettiva o eterea, ma implica necessariamente una partecipazione reale: che non solo la gerarchia, ma tutto il popolo di Dio, in modi e a livelli diversi, possa far sentire la propria voce e sentirsi parte del cammino della Chiesa. In questo senso possiamo dire che la sinodalità, come stile e dinamismo, è una dimensione essenziale della vita della Chiesa. Su questo punto, San Giovanni Paolo Il ha detto delle cose molto belle nella Novo Millennio Ineunte.

c) Altra cosa è sacralizzare o imporre una particolare metodologia sinodale che piace a un gruppo, per farne la norma e il canale obbligato per tutti, perché questo porterebbe solo a “congelare” il cammino sinodale, ignorando le diverse caratteristiche delle varie Chiese particolari e la variegata ricchezza della Chiesa universale.


4° Dubium circa il sostegno di pastori e teologi alla teoria che “la teologia della Chiesa è cambiata” e quindi che l’ordinazione sacerdotale possa essere conferita alle donne.

In seguito alle affermazioni di alcuni prelati, che non sono state né corrette né ritrattate, secondo cui col Vaticano II sarebbe cambiata la teologia della Chiesa e il significato della Messa, si chiede se è ancora valido il dettato del Concilio Vaticano II, che “il sacerdozio comune dei fedeli e quello ministeriale differiscono essenzialmente e non solo di grado” (Lumen Gentium 10) e che i presbiteri in virtù del “sacro potere dell’ordine per offrire il sacrificio e perdonare i peccati” (Presbyterorum Ordinis 2), agiscono in nome e nella persona di Cristo mediatore, per mezzo del quale è reso perfetto il sacrificio spirituale dei fedeli? Si chiede, inoltre, se è ancora valido l’insegnamento della lettera apostolica di san Giovanni Paolo II Ordinatio Sacerdotalis, che insegna come verità da tenere in modo definitivo l’impossibilità di conferire l’ordinazione sacerdotale alle donne, per cui questo insegnamento non è più soggetto a cambiamento né alla libera discussione dei pastori o dei teologi.


Risposta del Sommo Pontefice:

a) “Il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale differiscono essenzialmente” (Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione dogmatica Lumen Gentium, 10). Non è opportuno mantenere una differenza di grado che implica considerare il sacerdozio comune dei fedeli come qualcosa di “seconda categoria” o di minor valore (“un grado inferiore”). Entrambe le forme di sacerdozio si illuminano e si sostengono a vicenda.
b) Quando San Giovanni Paolo II ha insegnato che l’impossibilità di conferire l’ordinazione sacerdotale alle donne deve essere affermata “definitivamente”, non stava in alcun modo denigrando le donne e dando il potere supremo agli uomini. San Giovanni Paolo Il ha affermato anche altre cose. Ad esempio, che quando si parla di potere sacerdotale “siamo nell’ambito della funzione, non della dignità o della santità” (San Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 51). Sono parole che non abbiamo recepito a sufficienza. Ha anche chiarito che, mentre il sacerdote presiede da solo l’Eucaristia, i compiti “non danno luogo a superiorità dell’uno sull’altro” (San Giovanni Paolo II, Christifideles laici, nota 190; cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione Inter Insigniores, VI).
Ha anche affermato che se la funzione sacerdotale è “gerarchica”, non deve essere intesa come una forma di dominio, ma “è totalmente ordinata alla santità delle membra di Cristo” (San Giovanni Paolo II, Mulieris dignitatem, 27). Se non si comprende questo e non si traggono le conseguenze pratiche di queste distinzioni, sarà difficile accettare che il sacerdozio sia riservato ai soli uomini e non si potranno riconoscere i diritti delle donne o la necessità che esse partecipino, in vari modi, alla guida della Chiesa.
c) D’altra parte, per essere rigorosi, riconosciamo che una dottrina chiara e autorevole sull’esatta natura di una “dichiarazione definitiva” non è ancora stata sviluppata in modo esaustivo. Non è una definizione dogmatica, eppure deve essere rispettata da tutti. Nessuno può contraddirla pubblicamente, eppure può essere oggetto di studio, come nel caso della validità delle ordinazioni nella Comunione anglicana.


5° Dubium circa l’affermazione “il perdono è un diritto umano” e l’insistere del Santo Padre sul dovere di assolvere tutti e sempre, per cui il pentimento non sarebbe condizione necessaria per l’assoluzione sacramentale.

Si chiede se sia ancora vigente l’insegnamento del Concilio di Trento, secondo cui, per la validità della confessione sacramentale è necessaria la contrizione del penitente, che consiste nel detestare il peccato commesso con il proposito di non peccare più (Sessione XIV, Capitolo IV: DH 1676), cosicché il sacerdote deve rimandare l’assoluzione quando sia chiaro che questa condizione non è adempiuta


Risposta del Sommo Pontefice:

a) Il pentimento è necessario per la validità dell’assoluzione sacramentale e implica il proposito di non peccare. Ma qui non c’è matematica e ancora una volta devo ricordarvi che il confessionale non è una dogana. Non siamo proprietari, ma umili amministratori dei Sacramenti che nutrono i fedeli, perché questi doni del Signore, più che reliquie da custodire, sono aiuti dello Spirito Santo per la vita delle persone.
b) Ci sono molti modi di esprimere il pentimento. Spesso, in persone che hanno un’autostima molto ferita, dichiararsi colpevoli è una tortura crudele, ma l’atto stesso di avvicinarsi alla confessione è un’espressione simbolica di pentimento e di ricerca dell’aiuto divino.

c) Vorrei anche ricordare che “a volte è molto difficile per noi fare spazio nella pastorale all’amore incondizionato di Dio” (Amoris laetitia 311), ma dobbiamo imparare a farlo. Seguendo San Giovanni Paolo II, sostengo che non dobbiamo esigere dai fedeli propositi di emendazione troppo precisi e sicuri, che alla fine finiscono per essere astratti o addirittura egoistici, ma che anche la prevedibilità di una nuova caduta “non pregiudica l’autenticità del proposito” (San Giovanni Paolo II, Lettera al cardinale William W. Baum e ai partecipanti al corso annuale della Penitenzieria Apostolica, 22 marzo 1996, 5 marzo 1996, 5).

d) Infine, deve essere chiaro che tutte le condizioni solitamente legate alla confessione non sono generalmente applicabili quando la persona è in stato di agonia, o con capacità mentali e psichiche molto limitate, e quando la persona è in stato di agonia, o con capacità mentali e psichiche molto limitate.

Cari fratelli, credo che con queste risposte potrete soddisfare le vostre domande.
Vi prego di non dimenticare di pregare per me. Io lo faccio per voi.
Fraternamente, Francesco

Il testo originale