Città del Vaticano – «È possibile essere amici nella Curia Romana? Avere rapporti di amichevole fraternità?» La domanda che Leone XIV ha posto alla Curia nel suo primo discorso natalizio non era ma un vero e proprio appello a una conversione personale che riguarda il linguaggio, le relazioni, il modo di servire. Perché se davvero - come ha ricordato – vogliamo che «nelle nostre relazioni possa trasparire l’amore di Cristo che ci rende fratelli», allora certe parole e certi comportamenti non sono semplici scivoloni: sono una sconfitta morale e un tradimento del ministero presbiterale. 

E invece, mentre Leone XIV invoca l’amicizia e tenta di guidare la Curia verso una sincera conversione, le stesse dinamiche che hanno segnato lo scorso pontificato tornano a emergere con una brutalità che non lascia alibi. Chi pensava di non dover più ascoltare, nei corridoi e negli ambienti vicini al Papa, espressioni e registri che hanno avvelenato anni di vita ecclesiale - comprese parole d’odio contro le persone omosessuali come “frociaggine” – è chiamato a ricredersi. Il punto non è il folklore curiale, né la battuta di cattivo gusto. Il punto è che attorno a Leone XIV permane un organico di figure e di abitudini che hanno già dimostrato di saper degradare la dignità altrui e di saper profanare perfino i luoghi in cui si dovrebbe custodire il timore di Dio. E oggi quel nodo va sciolto: con decisione, senza esitazioni, senza protezione alcuna. 

Agostini: amore per i merletti e linguaggio riprovevole

Negli scorsi anni qualcuno si è domandato come mai papa Francesco non avesse allontanato, fra i tanti, anche un cerimoniere pontificio che è in servizio anche in Segreteria di Stato. Si tratta di mons. Marco Agostini, presbitero della diocesi di Verona. Negli ambienti tradizionalisti è conosciuto per uno stile celebrativo improntato all’apparenza: tricorni, mantelline, pizzi e merletti elevati a cifra identitaria. Un presbitero che, mentre sotto il pontificato di Bergoglio la Santa Messa Vetus Ordo veniva colpita a suon di Motu Proprio difficilmente giustificabili sul piano pastorale e giuridico, ha continuato a celebrarla indisturbato, senza che da nessuna parte giungesse un richiamo. «Come è possibile che ha silurato tutti, si è accanito contro tutti e Agostini resta al suo posto?», si domandavano in molti anche in Vaticano. Eppure, qualcuno non ha mai capito che Bergoglio alcuni soggetti velenosi se li è sempre tenuti in casa perché gli facevano comodo. Sono quei medesimi personaggi che sono le fonti principali di blog e psico blog che fanno battaglie contro il Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Mons. Diego Ravelli e contro il Papa stesso. 

In Curia, però, e anche fuori a motivo del suo servizio nell’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice, molti lo ricordano soprattutto per un “punto di forza” che non ha nulla di liturgico: il linguaggio. Seminaristi e diaconi riferiscono che, durante le prove delle celebrazioni pontificie, a pochi passi dall’altare del Papa, Agostini si lascia spesso andare ad allusioni e battute a sfondo sessuale. Non si tratta di episodi sporadici, né di “sciocchezze” da archiviare con una scrollata di spalle: sono uscite che in molti descrivono come sgradevoli, umilianti, talvolta persino vomitevoli. Il fatto che questo comportamento sia stato notato anche da membri del clero curiale e abbia infastidito più di un superiore rende ancora più pesante ciò che viene dopo: la sua tenuta, la sua protezione, la sua permanenza. A Silere non possum, in questi anni, sono arrivate diverse registrazioni: materiale imbarazzante, che conferma quanto da tempo circola sottovoce.

Gli auguri alla Curia Romana: «Culattoni tutti insieme»

Durante gli auguri natalizi alla Curia Romana, Vatican News - con quella “professionalità” che da anni segnaliamo su questo portale e con un servizio capace di consegnare in mondovisione ciò che, per semplice decenza, avrebbe dovuto almeno essere silenziato - ha permesso di ascoltare una frase di gravità estrema pronunciata da mons. Marco Agostini, mentre l’Aula della Benedizione era gremita: il Sacro Collegio, arcivescovi e vescovi, e l’intera macchina curiale raccolta in attesa dell’arrivo di Leone XIV.

Pochi istanti prima che Leone XIV rivolgesse alla Curia la sua domanda sull’amicizia, mons. Agostini - visibilmente in tensione per il momento in cui avrebbe dovuto pronunciare il suo «Surgant omnes», una di quelle formule latine che sono diventate il feticcio per determinati personaggi che il latino neppure lo capiscono - vicino al microfono si lascia andare ad un’espressione che, per contenuto e intenzione, assume il peso di un insulto omofobo collettivo di estrema gravità(nel video: «culattoni tutti insieme», riportato qui sotto).





È una frase che porta in superficie un nodo che la Curia finge spesso di non vedere: la doppiezza che si maschera di sacro e poi parla come il peggiore dei bar. È la banalità del male in abito talare: l’idea che si possa servire l’altare e, nello stesso respiro, sputare disprezzo sulle persone e sulle loro storie e il loro ministero. 

Un porporato, a cui quel video abbiamo sottoposto, ha commentato con amarezza: «È il meccanismo di chi proietta sugli altri le cose che non accetta di sé. Quel meccanismo che tenta di spostare l'attenzione sugli altri». Ma anche questa lettura - pur vera - non basta più. Perché il problema non è soltanto psicologico: è ecclesiale, è istituzionale, è disciplinare. Quando il Papa richiama la Curia alla conversione e alla trasparenza delle relazioni, sta dicendo che la comunione non si costruisce con i comunicati, ma «mediante gesti e atteggiamenti concreti» e che «talvolta, dietro un’apparente tranquillità, si agitano i fantasmi della divisione». E un linguaggio che offende e degrada non è una “diversità di stile”: è uno di quei fantasmi. È una divisione seminata deliberatamente.

Azioni necessarie a tutela del Pontefice

Qui non si tratta di moralismo. Si tratta di tutelare la figura stessa del Papa da personaggi che, negli anni, hanno seminato veleno dentro e attorno all’apparato curiale. E si tratta anche di capire - una volta per tutte - che questi soggetti sono il male delle stesse comunità tradizionaliste: perché alimentano un cortocircuito devastante, che molti ancora fingono di non vedere. Quando certi personaggi si presentano come i paladini della “Messa antica”, della “Messa vera”, della “devozione vera”, e poi parlano e agiscono così, l’effetto è inevitabile: si crea un collegamento improprio e però potentissimo nell’opinione pubblica e negli ambienti ecclesiali. “Se questi sono quelli della tradizione, allora la tradizione è questo”. E da lì il passo è breve: delegittimare tutto, gettare via tutto, usare le loro porcherie come pretesto per azzerare ciò che, invece, meriterebbe rispetto e discernimento. In questo senso, non sono un incidente: sono un’arma perfetta nelle mani di chi vuole colpire la Tradizione. 

Leone XIV ha le idee chiare e vuole una Curia come un luogo in cui «cadono maschere e sotterfugi», in cui non ci si usa e non ci si scavalca, in cui ci si aiuta e ci si riconosce. Perché l’amicizia di cui parla il Papa non è un sentimento vago: è un criterio di vita. È incompatibile con il sarcasmo osceno, con il dileggio, con l’insulto sistematico, con la volgarità impunita. E soprattutto è incompatibile con quella cultura di coperture per cui tutto resta al suo posto finché “conviene”.

Se la Curia deve essere una scuola di comunione, allora certe presenze non possono essere più giustificate. Se il servizio al Papa e alla Chiesa deve essere credibile, allora chi riduce gli altri a oggetto di scherno - tanto più in contesti liturgici e istituzionali - non può continuare a essere parte del meccanismo senza conseguenze. 

Leone XIV ha ricordato che «abbiamo bisogno di una Curia Romana sempre più missionaria» e che la comunione è un compito urgente ad intra. E allora la domanda diventa inevitabile: quale missione può reggere se, nel cuore dell’istituzione, sopravvive un linguaggio di disprezzo che smentisce il Vangelo? Quale comunione può nascere se il veleno continua a circolare con la tranquillità di chi si sente coperto, intoccabile, protetto? E, in ultima analisi, come è possibile essere amici in una Curia Romana dove le vipere non stentano a morire?

p.M.M.
Silere non possum