Città del Vaticano - Mentre i Pontefici – prima Francesco e ora Leone XIV – parlano di Giubileo della Speranza, con l’auspicio che sia un tempo di fede, preghiera e conversione, c’è chi nel Giubileo vede altro: non grazia, ma business.

Del resto, vi abbiamo già raccontato di Mauro Gambetti, francescano che quando ritorna ad Assisi indossa saio e sandaletti, ma in Vaticano impeccabile in clergyman stirato e croce pettorale, intento a organizzare raffinati buffet sulle terrazze di San Pietro e conferenze stampa sulla fraternità. La Basilica di San Pietro è da anni terreno di turismo aggressivo, una fiera del marketing religioso. Preghiera, adorazione, silenzio? Miraggi evaporati dal 2020. Gambetti ha aperto negozi in Via della Conciliazione, ha stretto accordi con gente ricca, ha speso milioni di euro per i suoi capricci, ecc…

Ma il contagio non si è fermato sotto il baldacchino del Bernini. Anche la Basilica di San Paolo fuori le mura, dove dimora la comunità dei benedettini di Donato Ogliari (già protagonista di un arido epilogo a Montecassino, dopo il fuggi fuggi da Noci dove i suoi confratelli non ne volevano più sentir parlare), sembra aver deciso di battere cassa.

La Messa col tariffario

Come è noto, i pellegrini che giungono a Roma seguono il percorso delle basiliche papali, segnando le tappe della fede e venerando le reliquie dei santi. Ma a San Paolo, con il Giubileo alle porte, la fede è diventata una questione di preventivi. Un vescovo, di ritorno con la sua diocesi dal pellegrinaggio in Urbe, ha commentato amaramente: «Alla faccia del Giubileo! Per andare a pregare e celebrare a San Paolo abbiamo dovuto lasciarci mezzo conto bancario della diocesi!»

La Basilica ha fornito ai gruppi istruzioni precise: “Per gli aspetti strettamente liturgici della celebrazione potrete fare riferimento alla sagrestia gestita dai monaci di san benedetto. Per quanto concerne l'animazione musicale della Santa Messa, ed i relativi aspetti tecnici, potrete prendere direttamente contatto con il Maestro ****”

Il preventivo, redatto con una precisione quasi maniacale, non tralascia nulla. Si parte dalle sedie, che non sono più semplici arredi ma diventano una voce di bilancio: ogni fedele, per poter prendere posto, deve pagare il proprio. Un euro e trenta a sedia, moltiplicato per il numero dei pellegrini. Poi c’è la musica: l’organista non suona per devozione ma dietro compenso (e che compenso!), e per una sola celebrazione la cifra sale già a diverse centinaia di euro. Sfogliando ancora il documento, compaiono altre voci curiose: lo straordinario del personale fuori orario, il consumo di energia elettrica calcolato in modo forfettario – e qui il vescovo, con un sorriso amaro, domanda: «Ma perché, se non ci fossimo noi starebbero al buio?».

Non basta. Si aggiungono il servizio della sagrestia, l’assistenza tecnica all’impianto acustico, l’uso dei maxischermi, persino il riscaldamento. Ogni parola del preventivo sembra voler trasformare la liturgia in un evento aziendale, con il suo listino prezzi e le sue clausole. E come se non bastasse, alla fine della lunga nota spese compare anche l’indicazione che «alla somma totale andrà aggiunto il costo del servizio prestato dal Corpo della Gendarmeria Vaticana del Governatorato S.C.V.». Ma come, non sono già stipendiati? 

Il tutto, naturalmente, non può essere saldato dopo: bisogna pagare in anticipo, prima ancora di mettere piede nella Basilica.

Pellegrini respinti

Mentre ci troviamo nel Cortile del Pappagallo, un monsignore racconta: «Capita spesso che, per presunte esigenze di forza maggiore, vengano cancellati pellegrinaggi già programmati. Anche a San Pietro. E magari si tratta di gruppi giunti dall’estero, che hanno prenotato alberghi e ristoranti e non possono annullare nulla, pena la perdita totale dei soldi. Loro inviano semplicemente una comunicazione e poi, chi si è visto si è visto». Una gestione che più che pastorale sembra aziendale, con le conseguenze amare che ne derivano.

Offerta o fattura?

Che le basiliche abbiano spese da sostenere, nessuno lo nega. Ma fra il chiedere una offerta libera e presentare un listino prezzi, c’è un abisso. Il vescovo lo dice senza mezzi termini: «Le sedie sembra che le dobbiamo comprare. Vengono usate e riusate, non acquistate. 1,30 € a sedia per ogni pellegrino? Le ricomprano ricoperte d’oro alla fine del Giubileo!» Tradizionalmente, i pellegrini hanno sempre lasciato offerte generose, soprattutto confraternite, diocesi e comunità ecclesiali. Ma trasformare la Santa Messa, un evento giubilare, in una fattura dettagliata – che fattura, peraltro, non è – appare come l’ennesima conferma di un clima dove la spiritualità cede il passo alla ragioneria.

d.S.V.
Silere non possum