Roma - Nella solennità della Natività di San Giovanni Battista, martedì 24 giugno 2025, Sua Eccellenza Reverendissima Mons. Mario Enrico Delpini, Arcivescovo di Milano, ha presieduto la Santa Messa nella Basilica di San Andrea della Valle in occasione del Giubileo dei seminaristi.

Alla Santa Messa hanno preso parte numerosi giovani che stanno compiendo il loro cammino di discernimento nei diversi seminari della penisola. Mons. Delpini ha saputo cogliere e puntare lo sguardo sulle inquietudini più frequenti che possono abitare il cuore di chi sta discernendo la propria chiamata al sacerdozio. Ha intitolato il suo intervento: “I tre sospetti dei seminaristi”, individuando altrettanti timori che spesso si insinuano nella coscienza dei giovani in cammino vocazionale.

Il sospetto di perdere la propria libertà

L’Arcivescovo ha descritto con finezza psicologica il timore che la vocazione sia vissuta come una sorta di “predestinazione”, un’invadenza divina nella libertà dell’uomo. Ispirandosi alle parole del profeta Isaia, ha ricordato come l’essere chiamati “dal seno materno” possa essere percepito, in una generazione molto attenta alla propria autonomia, non come benedizione ma come imposizione. La domanda che sorge è inevitabile: “E se io non ne ho voglia?”.

Il sospetto di essere destinato alla solitudine

Richiamando la figura di Giovanni Battista e la scelta del suo nome, Mons. Delpini ha evidenziato la bellezza e la fatica dell’originalità. Essere chiamati per nome da Dio è certamente un onore, ma può suscitare anche il timore di essere “diversi”, non conformi, destinati a camminare da soli. Nella cultura contemporanea, che valorizza più la compagnia che lo scopo, si insinua la domanda: “Che sarà di me, se non troverò amici, affetti, compagnia?”.

Il sospetto di essere destinato al fallimento

L’ultimo sospetto ha il sapore dell’amarezza: quello di vivere in una Chiesa in difficoltà, in una società che sembra non avere più bisogno di Dio. L'Arcivescovo ha citato le parole del profeta: “Invano ho faticato, per nulla e invano ho consumato le mie forze”, sottolineando come una generazione incline allo scoraggiamento possa vedere la vocazione come un cammino verso l’insuccesso.

Oltre i sospetti: la forza di una relazione

Il cuore dell’omelia è stato però la risposta a questi sospetti. “C’è una parola che può vincere i sospetti e le paure?”, si è chiesto Delpini. E con decisione ha risposto: “No. Non c’è una parola. C’è una relazione.”

La vocazione, ha spiegato, non è eseguire un compito già scritto, non è una mappa da seguire, ma è vivere una relazione con Gesù. È in questa relazione che si configura l’identità del discepolo, si forma la comunione, nasce la missione. La sequela non è obbedienza cieca, ma amicizia condivisa. Non si tratta di diventare qualcosa (prete, sposo, profeta), ma di restare con Lui.

E anche nei confronti degli altri sospetti, Mons. Delpini ha indicato risposte profonde: alla solitudine risponde l’appartenenza al presbiterio, alla fraternità concreta nella Chiesa. Al fallimento risponde la promessa di Cristo: “Io sarò con voi, fino alla fine del mondo.” Il messaggio conclusivo è stato carico di speranza: Seguire Gesù significa partecipare anche della sua impopolarità, vivere i fallimenti e subire ingiustizia. Ma noi non misuriamo i risultati come il mondo. Ci affidiamo alla promessa. E per questo, siamo pellegrini di speranza.”

Un’omelia densa e profonda, capace di toccare il cuore dei giovani chierici, offrendo non solo parole di verità, ma soprattutto una visione di speranza. I seminaristi, che in questi giorni stanno vivendo con intensità il dono della preghiera e della fraternità nella Città eterna, hanno accolto con gratitudine le parole dell’Arcivescovo Mario. Insieme alle parole che questa mattina hanno ricevuto da Papa Leone XIV, faranno tesoro di quanto ascoltato per alimentare il dialogo comunitario e la riflessione personale.

d.D.B.
Silere non possum