Saint-Maurice - A pochi giorni dalla conferma della sua elezione, padre Alexandre Ineichen C.R.A., nuovo abate dell’Abbazia territoriale di San Maurizio d’Agauno, ha rilasciato un’articolata intervista al portale cattolico svizzero Cath.info. In un dialogo franco e misurato, il successore di S.E.R. Mons. Jean Scarcella, C.R.A., ha affrontato alcuni temi che attraversano oggi la storica comunità vallesana L’abate Ineichen ha chiarito che la benedizione abbaziale avverrà all’inizio del 2026, mentre la presa di possesso avverrà a breve in forma riservata, “senza cerimonia ufficiale”.
Lei figurava come il favorito di questa elezione. La comunità non aveva davvero scelta?
P. Alexandre Ineichen: Al contrario, la comunità aveva tre possibilità: rinunciare all’elezione e chiedere a Roma un amministratore apostolico; eleggere un canonico di una delle comunità sorelle della Confederazione dei Canonici Regolari di Sant’Agostino; oppure scegliere una persona interna.
Questo è stato discusso in capitolo e si è optato per la terza via. Credo che il rinnovamento della fiducia e dell’unità dovesse venire dall’interno.
Non è stata quindi una sorpresa.
P. Alexandre Ineichen: Per me è comunque un cambiamento di vita, poiché lascio la direzione del collegio per quella dell’Abbazia. Non avevo affatto “un piano di carriera”. Ricevo questo incarico con serenità, forte della fiducia concessami dai miei 25 confratelli e confermata dal Papa.
“La fiducia, interna ed esterna, è da ricostruire”
P. Alexandre Ineichen: La fiducia passa attraverso la trasparenza e la responsabilità, anche se sono consapevole che una trasparenza assoluta è illusoria.
La comunità ha deciso di dotarsi di una commissione di consulenza per la governance, composta da persone esterne, per accompagnare l’Abate e il Consiglio abbaziale nel governo dell’istituzione. Questo consiglio sarà presieduto da Mari-Carmen Avila, delegata per la prevenzione del diocesi di Losanna, Ginevra e Friburgo. Penso che sia positivo avere una sorta di “contro-potere”, per poter decidere in modo condiviso. La scelta di una donna esperta in materia di abusi mi sembra molto opportuna.
In questo modo l’Abate non viene forse messo da parte?
P. Alexandre Ineichen: No, il governo resta quello dell’Abate. È lui che prende le decisioni. Le nostre costituzioni non sono cambiate. Come rettore del collegio, ho sempre ritenuto positivo lavorare insieme e non decidere da solo. Riconosco che questo è mancato finora.
L’Abbazia è stata fortemente scossa dal rapporto sugli abusi sessuali commessi al suo interno. Teme che emerga ancora qualcosa?
P. Alexandre Ineichen: Penso che il rapporto Aubert, che copre un periodo di settant’anni, sia piuttosto esaustivo, anche se bisogna considerare che il rischio zero non esiste. Ora si tratta di gestire le conseguenze. Ci sono state condanne penali, e alcuni procedimenti ecclesiastici sono ancora in corso. Sono favorevole a una giustizia severa nei confronti degli autori di abusi e a pene giuste, ma sempre nel rispetto dei diritti della difesa. Bisogna rispettare la proporzionalità e vigilare, quando possibile, su una reintegrazione umana nella comunità dei confratelli che hanno mancato. Ma ciò dipende da ogni singolo caso.

La lettura del rapporto lascia intendere che molti canonici abbiano preferito non vedere, non sapere…
P. Alexandre Ineichen: Sì. A mio avviso, bisogna rimettersi nel contesto sociale dell’epoca, in cui non si parlava di certe cose e ci si arrangiava internamente. Credo si sia trattato più di ingenuità e incompetenza di fronte a tali situazioni. La cultura del silenzio prevaleva. Ritengo che i problemi debbano essere condivisi il più rapidamente possibile, per raccogliere punti di vista diversi. Volevano risolvere tutto tra l’Abate e l’autore dell’abuso: non basta più. Gli abusi, di qualsiasi tipo, non possono essere affrontati da soli. Il dialogo genera fiducia. Ognuno deve poter esprimersi. È questo il vero senso della parola Abate, cioè Padre, che talvolta è stato interpretato nel senso del pater familias romano, depositario di un’autorità assoluta su tutta la sua famiglia, capace di decidere tutto senza consultazione.
Dall’esterno, l’Abbazia non appare come una comunità.
P. Alexandre Ineichen: Siamo canonici, non monaci. Viviamo sempre una tensione tra vita monastica e vita apostolica: è una tensione fondatrice. Ma è vero che dobbiamo rafforzare la vita comunitaria, anche con i confratelli che operano all’esterno o nelle parrocchie. Penso che non dovremmo più avere ministeri isolati, dove il confratello è da solo. È anche una forma di prevenzione: in due ci si sostiene nei momenti difficili. È ciò che fa Gesù quando manda i discepoli a due a due, ed è anche ciò che prescrive la Regola di sant’Agostino. La missione appartiene all’Abbazia, non al singolo canonico. Serve un giusto equilibrio di vita comune, con più spazi e momenti di incontro oltre il capitolo e le riunioni istituzionali.
L’altro aspetto è quello della preghiera liturgica.
P. Alexandre Ineichen: Certo. Una delle missioni dell’Abbazia è la continuità della lode sulla tomba dei martiri e la pastorale attorno alla basilica. Molte iniziative esistono già; alcune vanno rivitalizzate, altre forse soppresse, perché non rispondono più alle attese dei fedeli. Il pellegrinaggio resta importante, specialmente lungo la Via Francigena. In questo ambito c’è sicuramente un’accoglienza da sviluppare.

Negli ultimi anni ci sono state alcune nuove vocazioni, ma la comunità resta anziana.
P. Alexandre Ineichen: Rimango fiducioso nella promessa di Gesù: «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine dei tempi». Il reclutamento non dipende prima di tutto da noi, ma da Dio che chiama. La crisi delle vocazioni riguarda tutta la Chiesa in Occidente, non solo l’Abbazia.
La comunità deve essere accogliente e formativa, per mostrare ai giovani la ricchezza e la bellezza della vita religiosa. Bisogna però resistere alla tentazione di abbassare le esigenze per chi si presenta. Per me contano soprattutto le qualità umane e la capacità di assumersi responsabilità.
L’immagine dell’Abbazia è stata fortemente compromessa. Come ricostruirla?
P. Alexandre Ineichen: Il nostro primo messaggio deve essere quello di vivere autenticamente la vita religiosa, in ogni attività, dentro e fuori l’Abbazia. Non attraverso campagne pubblicitarie o di marketing, ma tramite l’esempio concreto. Oltre a questo, restano centrali le attività legate al pellegrinaggio e al patrimonio storico. Il modo migliore per ricostruire l’immagine è agire concretamente dove necessario.
L’Abbazia è anche una piccola impresa.
P. Alexandre Ineichen: In questo ambito, la prima cosa è la professionalità. Le nuove comunità hanno spesso mostrato che la sola buona volontà non basta a evitare le derive. Bisogna rispettare le regole e le norme sociali. La seconda cosa è il rispetto per i circa 50 dipendenti, anche sul piano umano, nello spirito evangelico.
Lascerà la carica di rettore e sarà sostituito da un laico. È una pagina che si chiude per il collegio?
P. Alexandre Ineichen: Sì, ma va ricordato che Saint-Maurice è sempre stato un collegio statale, fondato dalla Dieta vallesana nel 1806 in accordo con l’Abbazia. Dal 2020 è interamente gestito dallo Stato, compresi edifici e personale. Ora siamo solo due canonici a lavorarvi. Ho presentato le dimissioni, ma resto a disposizione. È un cambiamento naturale.
p.F.S.
Silere non possum