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Città del Vaticano - Nei giorni scorsi, molti hanno notato che il portale Vatican News ha improvvisamente rimosso alcune immagini dell'artista ed ex gesuita Marko Ivan Rupnik. Un gesto che, seppur compiuto nel silenzio più totale, ha suscitato una serie di interrogativi e polemiche, alimentando un clima di crescente insofferenza nei confronti della leadership attuale del Dicastero per la Comunicazione, guidato da Paolo Ruffini, Andrea Tornielli e Andrea Monda. La tempistica di questa rimozione, a ben 923 giorni dalle rivelazioni esclusive di Silere non possum del 1° dicembre 2022, appare particolarmente imbarazzante.
Non dimentichiamo che Rupnik è incappato nella scomunica latae sententiae, ha disobbedito a tutte le prescrizioni imposte e, infine, è stato espulso dall'ordine dei gesuiti. A questo si aggiunge un processo che non ha mai avuto luogo, bloccato dalla protezione che Papa Francesco ha continuato a garantire a Rupnik. Sebbene poi siano circolate voci, alimentate dalle veline passate ai giornalisti, che suggerivano che Bergoglio avesse tolto la prescrizione e quindi avesse dato il via libera per il processo, la realtà è ben diversa. Quel processo, infatti, è stato ostacolato internamente da Francesco, che ne ha impedito la celebrazione fino alla sua morte. Eppure, nonostante tutte queste vicissitudini, le immagini di Rupnik sono rimaste visibili sul sito del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede, adornando ricorrenze liturgiche e commenti al Vangelo.
La domanda sorge spontanea: come mai questa rimozione avviene solo ora, e in modo così discreto, dopo anni di discussioni e attacchi alla figura di Rupnik? Quello che possiamo affermare con certezza è che, finalmente, dentro le mura leonine qualcuno ha deciso di alzare la voce e battere i pugni, facendo arrivare il messaggio forte e chiaro a Piazza Pia.
L'imbarazzante paradosso del Dicastero per la Comunicazione
In queste ore molti chierici si sono chiesti: come può il Dicastero per la Comunicazione, un'istituzione creata proprio per garantire chiarezza, trasparenza e una gestione adeguata del flusso di informazioni riguardanti la Santa Sede, non prendere una posizione chiara e comunicativa sulla vicenda Rupnik? È un paradosso, se non una vera e propria contraddizione, che la comunicazione ufficiale della Santa Sede operi nel silenzio, rimuovendo le immagini senza fornire alcuna spiegazione, mentre tutte le altre istituzioni, anche all'interno della stessa Santa Sede, hanno preso pubblicamente le distanze da Rupnik.
Il Dicastero, che dovrebbe essere il punto di riferimento per la trasparenza, appare incapace di affrontare il proprio compito, limitandosi a un’azione segreta e senza offrire una giustificazione pubblica. Le implicazioni di questa decisione vanno ben oltre il semplice gesto di cancellare delle immagini.

Rupnik e i suoi protetti (che ora lo proteggono)
La vicenda di Rupnik non si esaurisce con l’apertura di un finto processo o con il ritiro delle sue immagini. Anzi, essa si inserisce in un contesto più ampio che coinvolge figure centrali all'interno della Santa Sede, come Monsignor Dario Edoardo Viganò, noto per la controversa vicenda delle lettere falsificate del Papa Emerito Benedetto XVI. Rupnik stesso è stato un protettore di Viganò, e la sua influenza all'interno del Dicastero sembra aver avuto un peso rilevante anche nella creazione di ruoli che sembrano più legati a dinamiche politiche e di potere che a una reale esigenza pastorale. Il caso Rupnik, dunque, non riguarda soltanto la sua figura, ma si intreccia con una rete di relazioni che sembra mettere in discussione l’efficacia e la credibilità di un intero sistema che coinvolge anche i diversi vescovi creati grazie al prete sloveno. L'ingresso di Nataša Govekar, collaboratrice di Rupnik, al Dicastero per la Comunicazione, evidenzia un’altra contraddizione. Nomine come questa sollevano dubbi sulla competenza e l'integrità delle scelte fatte all’interno del Dicastero, dove la priorità sembra essere più quella di garantire uno stipendio a persone legate a determinati ambienti piuttosto che una gestione realmente efficace delle risorse.

I laici e la trasparenza (quando riguarda i preti)
Il tema della trasparenza all'interno delle istituzioni ecclesiastiche è ormai diventato un argomento in grado di attirare click e consensi anche sui media internazionali. Da più fronti, anche in Svizzera, la Chiesa è stata accusata di non fare sufficiente chiarezza riguardo ai casi di abuso, alimentando una narrazione di "copertura" che, tuttavia, non trova corrispondenza nei fatti e nei documenti ufficiali. Questo è uno degli argomenti più ricorrenti nelle critiche alla gerarchia ecclesiastica, accusata di concentrarsi più sulla protezione della propria reputazione che sull'affrontare in modo trasparente le problematiche emerse.
Tuttavia, osservando il comportamento del Dicastero per la Comunicazione, non possiamo fare a meno di rilevare una forte incoerenza. Da una parte, ascoltiamo Andrea Tornielli denunciare l'influenza del clericalismo e le sue dinamiche di potere, ma dall'altra assistiamo a decisioni che vengono prese dai laici nel silenzio e nell'ombra, senza una spiegazione adeguata delle ragioni che ne sono alla base. Il Dicastero, che dovrebbe incarnare la voce della Santa Sede, soprattutto in momenti delicati e affrontare temi complessi con chiarezza e competenza, finisce invece per apparire come un'entità che difende posizioni consolidate e rende difficili gli accessi alla verità, più che impegnarsi sinceramente per una comunicazione autentica.
Il parallelo con ciò che accade nei palazzi del potere a pochi chilometri di distanza, in Italia, non è affatto lontano. Lì, come qui dentro, vediamo una fitta rete di laici che si proteggono reciprocamente per mantenere il proprio potere e la propria posizione. In un certo senso, la scelta di Papa Francesco di rinominare le Congregazioni potrebbe avere avuto un fondamento più profondo: le nostre istituzioni, in fondo, si sono secolarizzate e abbiamo messo nelle mani di laici assetati di potere, piuttosto che in quelle di figure leali e fedeli, la gestione dei destini della Chiesa.

Verso dove stiamo andando?
Il silenzio che ha avvolto la rimozione delle immagini di Marko Ivan Rupnik da Vatican News è l'ennesima dimostrazione di un laicato incapace di essere trasparente, che non si assume la responsabilità di comunicare in modo chiaro e diretto. È l'ennesima gaffe di Andrea Tornielli e del suo team, che in questi anni hanno collezionato più errori di quanti successi possano vantare. Se queste persone, che sono preposte alla supervisione e alla gestione del lavoro dei loro collaboratori, non adempiono ai loro compiti, per che cosa li paghiamo? Per scrivere editoriali di venti righe copiando il lavoro di altri direttori di siti cattolici ben più seguiti?
Quando il Dicastero per la Comunicazione, che dovrebbe essere il faro di trasparenza e chiarezza per tutta la Santa Sede, cade nella trappola del silenzio, è legittimo chiedersi quale futuro attenda la comunicazione vaticana. Vogliamo davvero continuare su questa strada? Mettendo nelle posizioni di potere persone che vi arrivano solo grazie alle influenze dei potenti di turno, persone che, anche se cadute in disgrazia, possono contare su chi è in debito con loro e li proteggerà? Quando capiremo che l'unica strada per riacquistare credibilità è promuovere persone veramente competenti, e non facilmente "ricattabili"?
In un momento in cui la fiducia verso la Chiesa è già compromessa, non c'è più spazio per ulteriori oscuramenti o omertà. Se l'istituzione che riceve milioni di euro ogni anno e ha il compito di comunicare non è in grado di farlo con la necessaria chiarezza, chi, allora, sarà capace di farlo?
d.T.A.
Silere non possum