Città del Vaticano - Venerdì 25 aprile 2025, nella penombra solenne della Basilica Vaticana si è compiuto uno dei riti più carichi di significato delle Esequie del Sommo Pontefice: la chiusura della bara. Alle ore 20, Sua Eminenza Reverendissima il Signor Cardinale Kevin Joseph Farrell, Camerlengo di Santa Romana Chiesa, ha presieduto questo gesto secondo quanto previsto dall’Ordo Exsequiarum Romani Pontificis.

Intorno alla bara, raccolti in preghiera e in rispettoso silenzio, vi erano: il Cardinale Giovanni Battista Re, Decano del Collegio Cardinalizio. Il Cardinale Roger Mahony, il Cardinale Dominique Mamberti, Protodiacono, e il Cardinale Mauro Gambetti, Arciprete della Basilica Vaticana. Il Cardinale Pietro Parolin, che da Segretario di Stato ha camminato accanto a Francesco lungo i sentieri tortuosi di questo Pontificato. Il Cardinale Baldassare Reina, Vicario per la Diocesi di Roma, e il Cardinale Konrad Krajewski, Elemosiniere di Sua Santità. Presente anche S.E.R. Mons. Edgar Peña Parra, Sostituto della Segreteria di Stato, e Monsignor Ilson de Jesus Montanari, Vice Camerlengo. Insieme a loro, il Reggente della Casa Pontificia Monsignor Leonardo Sapienza, i Canonici del Capitolo Vaticano, i Penitenzieri Minori Ordinari, i segretari personali del Papa e alcuni parenti.

Prima che la cassa venisse sigillata, vi è stato deposto il Rogito, il documento che accompagna il Pontefice nell’eternità, quasi a voler dire: “Questo è ciò che sei stato, questo il dono lasciato alla Chiesa e al mondo.” Insieme al rogito, anche le monete coniate durante il suo pontificato: simboli concreti, visibili, della sua presenza nella storia. Il testo del Rogito ha risuonato come una narrazione sacra, riassumendo un’intera esistenza vissuta nell’orizzonte del dono e della missione.

“Con noi pellegrino di speranza”, dice il Rogito. Afferma: Pastore venuto dalla fine del mondo, nato in Argentina da genitori piemontesi, cresciuto e formato nella Compagnia di Gesù, Jorge Mario Bergoglio fu uomo di preghiera e di azione, insegnante e rettore, vescovo e poi Papa. Scelse il nome di Francesco per incarnare lo spirito del poverello di Assisi, e non lo tradì mai. Dalla sua prima apparizione sulla Loggia delle Benedizioni, con il semplice saluto “Fratelli e sorelle, buonasera”, al suo ultimo Urbi et Orbi nel giorno di Pasqua, il 20 aprile 2025, tutto nel suo pontificato fu improntato alla prossimità, alla tenerezza, all’evangelica semplicità.

Il Rogito racconta, in toni entusiastici, gli eventi della sua vita: l’elezione il 13 marzo 2013, la scelta di abitare a Santa Marta, le Messe del Giovedì Santo celebrate tra i carcerati e i dimenticati, l’attenzione ai poveri, agli scartati, ai piccoli. Ricorda i momenti più simbolici: la preghiera solitaria sotto la pioggia in Piazza San Pietro durante la pandemia, le encicliche come Laudato si’ e Fratelli tutti, i gesti di riforma della Curia, l’impegno per la sinodalità e per una Chiesa più missionaria. Ma racconta anche il dolore degli ultimi anni, la fragilità, la lunga degenza al Gemelli, il ritorno a Santa Marta per l’ultima Pasqua vissuta nella pienezza del suo ministero, anche se nel corpo ormai provato. Francesco ha guidato la Chiesa per dodici anni, un mese e otto giorni. Un tempo che è sembrato lunghissimo soprattutto per i sacerdoti, i quali ovviamente non sono stati una sua preoccupazione positiva e infatti non compaiono nel Rogito. È vissuto ottantotto anni, quattro mesi e quattro giorni. Ma questi numeri non dicono tutto. È la sua voce, il suo stile, la sua profezia ad aver lasciato il segno. Il rogito lo afferma con enfasi: “Ha lasciato a tutti una testimonianza mirabile di umanità, di vita santa e di paternità universale.”

Ora, nella quiete del sepolcro e nel silenzio orante della Chiesa, il suo corpo riposa. Domani, con le Esequie, si chiuderà un capitolo. Semper in Christo vivas, Pater Sancte!


A.M.
Silere non possum