In ogni stagione storica la qualità della vita civile dipende dalla qualità della comunicazione. Le crisi politiche, economiche e sociali sono quasi sempre accompagnate da un’altra crisi, più silenziosa ma decisiva: quella della parola pubblica. Quando la parola smette di essere affidabile, quando perde la sua funzione di costruire legami, la società si ritrova senza bussola.
La parola come fondamento della convivenza
Una comunità vive di relazioni e le relazioni vivono di parole che abbiano un peso. Nella città del presente, attraversata da una comunicazione istantanea, da linguaggi frammentati e da un circuito mediatico che trasforma tutto in slogan, emerge una domanda fondamentale: come possiamo ritrovare la verità nella parola pubblica?
Il Papa, incontrando i rappresentanti dei media di tutto il mondo, ha collegato con forza questa riflessione al proprio magistero: «dobbiamo dire “no” alla guerra delle parole e delle immagini, dobbiamo respingere il paradigma della guerra». La parola, se diventa arma, non costruisce più comunità ma la sbriciola dall’interno.
Per questo, ha ricordato, comunicare vuol dire anche essere “operatori di pace”: non un compito accessorio, ma una responsabilità radicale che riguarda lo sguardo, l’ascolto, il modo in cui parliamo degli altri. La comunicazione è un atto morale prima che un atto tecnico.
Il degrado della parola e le sue conseguenze politiche
Quando la comunicazione scivola verso slogan aggressivi, narrazioni preconfezionate, sensazionalismo, la politica smette di essere lo spazio del confronto razionale. La parola perde precisione e diventa uno strumento di contesa, non di ricerca della verità. Questo degrado ha effetti concreti: genera polarizzazione, indebolisce la fiducia reciproca, rende l’opinione pubblica manipolabile. È ciò che accade quando la comunicazione non cerca la verità ma “il consenso a tutti i costi”, come ha denunciato Leone XIV. Una società che si abitua a un linguaggio distorto si abitua anche a decisioni distorte. La verità pubblica non può essere affidata né alla retorica né alla velocità, ma soltanto a una parola capace di rispettare la realtà.
Comunicare non è intrattenere, ma responsabilizzare
Ogni forma di comunicazione - giornalismo, istituzioni, dibattito pubblico - dovrebbe nascere da un principio semplice: dire solo ciò che si è disposti ad assumersi la responsabilità di sostenere. Questo richiede coraggio. Richiede sobrietà. Richiede, come ha detto il Papa, di «disarmare la comunicazione da ogni pregiudizio, rancore, fanatismo e odio; purificarla dall’aggressività». Significa abbandonare la spettacolarizzazione del conflitto per tornare alla verità dei fatti e alla dignità delle persone. La comunicazione, infatti, «non è solo trasmissione di informazioni, ma è creazione di una cultura», di ambienti in cui si impara a dialogare, non a vincere.
La formazione dell’opinione come processo educativo
Una città matura non subisce la comunicazione: la elabora. La formazione dell’opinione è un processo educativo che richiede: criteri di verità, coscienza critica, capacità di interpretare i fatti, e dialogo reale, non simulato. Papa Leone ha ricordato che viviamo «tempi difficili da percorrere e da raccontare», tempi che esigono di non cedere alla mediocrità e di non abbandonare il compito di raccontare ciò che accade con onestà e profondità. Una comunicazione fedele ai fatti non tutela solo la democrazia: tutela la dignità dell’umano. Ecco perché ha rivolto un appello accorato: «solo i popoli informati possono fare scelte libere». Informare è un atto di libertà e un atto che genera libertà: per questo la Chiesa si schiera accanto ai giornalisti incarcerati, perseguitati e minacciati, testimoni di una verità che non può essere zittita.
La sfida: restituire dignità alla parola
Ricominciare da una parola sobria, precisa, responsabile è il primo passo per sanare una comunità. Per questo motivo Leone XIV ha esortato tutti a una comunicazione capace di «ascolto, di raccogliere la voce dei deboli che non hanno voce». È un programma culturale ed etico, non solo editoriale. Richiede che ogni comunicatore - e, nel proprio piccolo, ogni cittadino - si alleni alla verità, alla misura, alla giustizia.
Dove la parola viene custodita, la convivenza si rigenera; dove viene usata come arma, tutto il sistema si deteriora. Ecco perché la comunicazione, oggi, è uno spazio decisivo: disarmare le parole significa contribuire a disarmare la realtà. Una società che accetta questa sfida non si limita a informare: forma coscienze.
d.P.A.
Silere non possum