Harissa (Libano) - Dopo la tappa mattutina al Santuario di Nostra Signora del Libano ad Harissa, l’agenda del Santo Padre si è spostata verso uno dei momenti centrali del suo primo Viaggio Apostolico Internazionale: l’incontro con il corpo ecclesiale e pastorale del Paese dei Cedri. Lasciato il Monastero di San Maroun ad Annaya, Leone XIV ha raggiunto il Santuario di Nostra Signora del Libano - Harissa, accolto dai rappresentanti della Chiesa latina e delle congregazioni missionarie presenti sul territorio.
Al Buongiorno, pronunciato in arabo, Leone XIV ha fatto seguire la sua gratitudine e la sua gioia per l’incontro, definendo la Chiesa in Libano «icona» delle parole evangeliche del viaggio. Il Papa ha citato il messaggio del predecessore Giovanni Paolo II, ricordando l’affermazione: «voi siete responsabili della speranza», e ne ha ripreso anche l’invito a creare un clima fraterno nei luoghi del vivere e del lavorare, a dare fiducia con realismo e ad essere creativi perché trionfino la forza del perdono e la misericordia, senza ingenuità e senza paura.
Prevost ha poi ringraziato il Patriarca di Cilicia degli Armeni per il saluto di benvenuto e ha indicato nella grotta silenziosa di San Charbel e nel Santuario di Harissa il segno di una tenacia che nasce dalla preghiera, vissuta con Maria presso la Croce di Gesù. In questo stare orante, ha detto il Papa, la preghiera diventa il «ponte invisibile che unisce i cuori» e dona la forza di sperare e di lavorare anche quando attorno «tuona il rumore delle armi» e la vita quotidiana si fa sfida. È da questo stesso spirito che Francesco, ricordato dal suo successore, parlava dell’ancora nel cielo: la fede che non lascia la Chiesa in balìa dell’oscurità ma la spinge oltre, verso quella riva certa a cui aggrapparsi con la corda della speranza. Leone XIV ha ripreso quel simbolo come bussola spirituale del viaggio, legandolo alla vocazione libanese a non arrendersi: ancorarsi al Cielo per costruire la pace, amare senza paura di perdere ciò che è effimero, donarsi senza trattenere nulla, senza misura, senza calcoli. In Libano, ha ricordato il Papa, queste radici hanno la forma dei cedri, solide e profonde: un’immagine botanica che diventa antropologia spirituale, perché è dalle radici che parte la linfa delle opere, non dalle parole e basta. Le testimonianze ascoltate nella navata del Santuario hanno concretizzato il senso di quell’ancora. Padre Youhanna ha raccontato Debbabiyé, un villaggio in cui, nonostante i bombardamenti, la convivenza tra cristiani e musulmani e la solidarietà reciproca non si sono spezzate. Il Papa ha voluto fermarsi su un dettaglio: la moneta siriana trovata nella borsa delle elemosine insieme a quelle libanesi. Perché per Leone XIV la carità non è flusso a senso unico ma reciprocità: ognuno ha qualcosa da dare e ricevere, e nel dono reciproco la comunità si arricchisce e si avvicina a Dio. Leone, citando Benedetto XIV, ha ricordato l’amore che vince l’odio, l’unità che supera la divisione, il servizio più forte del dominio, la sofferenza trasformata in grido d’amore e in misericordia operosa.
Leone XIV ha poi allargato l’orizzonte ai giovani, tornati nel discorso come grandi destinatari della pace non come capitolo a parte, ma come criterio permanente della ricostruzione. Ha chiesto alla Chiesa libanese di favorire la loro presenza nelle strutture ecclesiali, riconoscendo nell’apporto di novità una componente non accessoria ma necessaria per non lasciare la speranza macerare tra le macerie. Prospettive concrete e praticabili, ha ripetuto, per una rinascita che non sia illusione ma cammino realistico di crescita e futuro.
Loren, anch’essa migrante, ha dato voce al dramma della guerra negli occhi di James e Lela. Leone XIV ha fatto sue le parole del «benvenuto a casa», raccogliendole non come formula sociale ma come sacramento laico della accoglienza, perché la Chiesa non sia mai porta chiusa a chi cerca un avvenire possibile. La testimonianza di suor Dima sulla scuola aperta ai profughi ha condotto il Papa a ribadire l’inscindibilità di mente e cuore nell’atto educativo: istruzione come campo storico della Chiesa libanese, ma cuore come prima vera scuola, cioè la Croce, Cristo unico Maestro.
Il rito della Rosa d’oro ha infine offerto al Papa l’immagine conclusiva: essere profumo di Cristo, pluralità di aromi su una mensa generosa a cui «tutti attingono». Una comunità che vive unita nell’amore non perché uniforme, ma perché riconciliata; non perché ingenua, ma perché radicata; non perché indenne, ma perché sostenuta dalla preghiera, ancorata al Cielo, e nutrita da una carità reciproca capace di resistere e rilanciare.
G.V.
Silere non possum