Città del Vaticano – Alle ore 9 di questa mattina, nell’Aula Paolo VI, si è aperto ufficialmente il cammino di Avvento della Curia Romana con la prima meditazione predicata da p. Roberto Pasolini OFM Cap., Predicatore della Casa Pontificia, alla presenza di Leone XIV. Il tema scelto - «Attendendo e affrettando la venuta del giorno di Dio (2Pt 3,12). La speranza giubilare tra attesa del Signore e universalità della salvezza» - ha introdotto un percorso che accompagnerà la Chiesa nelle settimane che precedono la chiusura del Giubileo ordinario. Proprio un anno fa, Pasolini iniziava questo incarico con la prima predica di Avvento che portava la Curia ad entrare nell’anno giubilare e ad attraversare la porta santa. Le prossime prediche sono previste per venerdì 12 e venerdì 19 dicembre.

Sin dall’inizio di questo incontro Pasolini ha chiarito il significato profondo di questo Avvento, che non guarda soltanto alla memoria dell’Incarnazione, ma all’orizzonte ultimo della storia: «L’Avvento è il tempo in cui la Chiesa riaccende la speranza», ha affermato, ricordando che la fede cristiana vive protesa verso «il ritorno del Signore alla fine dei tempi». È in questa attesa che ogni credente riscopre di essere «pellegrino verso una patria», chiamato a leggere il presente non come smarrimento, ma come cammino abitato da una promessa.

La Parusia e il rischio di non accorgersi del vero tempo

Entrando nel cuore della meditazione, Pasolini ha introdotto la nozione evangelica di Parusia: un termine che, ricorda, significa insieme “venuta” e “presenza”, simile alla visita di un sovrano. In questa luce ha illustrato il richiamo ai giorni di Noè, un passaggio centrale del Vangelo e della sua predica. Mentre tutti erano impegnati nelle attività quotidiane, «non si accorsero di nulla» finché il diluvio li travolse. Questa cecità, avverte Pasolini, riguarda anche la nostra epoca: «Di cosa dobbiamo accorgerci, senza distrarci dalle questioni che ogni giorno siamo chiamati ad affrontare?» La risposta - afferma - è decisiva: dobbiamo riconoscere il movimento silenzioso del Regno nella storia e non perdere la capacità di cogliere l’agire di Dio, perché «accorgerci di tutto questo non basta a convertire il cuore». A guidare questa coscienza è la grazia, «quel dono di salvezza universale» che libera dalla paura e illumina la storia dell’uomo. È questo il primo passo della vigilanza cristiana.

Il diluvio: comprendere il male e la pazienza di Dio

Il predicatore dedica una lunga sezione di questa prima meditazione di Avvento al racconto del diluvio universale, letto non come semplice catastrofe, ma come rivelazione dell’amore ostinato di Dio per l’umanità ferita. Il male, ricorda, non può essere semplicemente tollerato: «Il male non va semplicemente perdonato: deve essere cancellato», perché la vita ritrovi bellezza e verità. Ma questa “cancellazione” non è annientamento: è il gesto con cui Dio salva ciò che può ancora rifiorire. Per questo chiede a Noè di costruire un’arca, che la meditazione interpreta come simbolo del tempio, cioè del luogo in cui si ristabilisce la vera immagine di Dio nel cuore dell’uomo. Uno dei passaggi più penetranti riguarda il significato dell’arcobaleno, letto in una chiave sorprendente: «Il segno che Dio pone tra il cielo e la terra… è lo strumento di guerra utilizzato da un arciere». Dio depone l’arco: non un gesto poetico, ma una dichiarazione di non-violenza definitiva, con cui il Creatore rinuncia per sempre a colpire l’uomo.

Vigilanza e responsabilità: il cuore dell’attesa

L’ultima parte della predica mette a fuoco il tema della vigilanza, presentato da Pasolini come l’atteggiamento essenziale del tempo cristiano. «Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà», ricorda citando Matteo. Non conoscere il momento esatto, spiega, è parte della pedagogia divina: serve affinché «ogni generazione viva nell’attesa del ritorno di Cristo».

Pasolini mette in guardia da due tentazioni molto attuali: quella di dimenticare di aver bisogno di essere salvati e quella di curare solo l’immagine, indebolendo la radicalità del Vangelo.

La prima forma di salvezza, afferma con chiarezza, non consiste nell’attivismo ma nel ritorno alla sequela, alla fatica e alla gioia della vita evangelica: «Come nei giorni di Noè, la prima forma di salvezza a cui dobbiamo dedicarci non consiste nel compiere o organizzare qualche attività pastorale, ma nel tornare alla gioia della sequela». L’Avvento diventa così un invito a riconoscersi sentinelle nella notte del mondo, illuminate dalla promessa che «presto possa sorgere la Stella del Mattino». Questo tempo santo, come oggi il Predicatore ha ricordato, non è solo memoria della nascita di Cristo, ma attesa viva del suo ritorno: un’attesa che trasforma il presente, se la grazia è accolta e custodita.

f.G.E.
Silere non possum