Diocesi di San Benedetto del Tronto

San Benedetto del Tronto - In un tempo in cui la Chiesa si proclama sinodale, cioè aperta al discernimento condiviso, all’ascolto reciproco, alla responsabilità diffusa, è sempre più urgente interrogarsi su una piaga spesso ignorata: l’abuso spirituale e di potere da parte di alcuni vescovi, che agiscono violando la coscienza altrui, spesso nel silenzio complice di strutture ecclesiali incapaci di porre limiti. A farne le spese sono i sacerdoti che spesso vengono usati per legittimare l’operato dell’ordinario semplicemente perché questi non possono liberamente dissentire senza vedersi emarginati dalla gerarchia.

Quando l’autorità diventa manipolazione

Secondo numerosi studi psicologici — tra i quali si segnalano quelli di Lisa Oakley e Justin Humphreys, autori di Escaping the Maze of Spiritual Abuse, nonché le ricerche del Royal Commission into Institutional Responses to Child Sexual Abuse in Australia — l’abuso spirituale si verifica quando una figura religiosa utilizza la fede o il potere ecclesiastico per controllare, soggiogare o zittire l’altro. È una forma di coercizione emotiva, spesso subdola, che mina la libertà interiore e l’integrità della persona. Un tipico comportamento dell’abusatore, documentato anche da esperti come Boz Tchividjian (GRACE), è quello di delegittimare pubblicamente chi pone domande scomode, attribuendogli intenti divisivi, accusandolo di essere “il diavolo” o “un nemico dell’unità”.

Il caso Palmieri: spiritualizzare l’autoritarismo

Nel contesto italiano, un esempio emblematico è quello di S.E.R. Mons. Gianpiero Palmieri, Arcivescovo-Vescovo di Ascoli Piceno e San Benedetto del Tronto – Ripatransone - Montalto. Silere non possum ha più volte denunciato comportamenti che sollevano interrogativi gravi e che, nelle ultime ore, hanno esasperato molti, spingendo la redazione a intraprendere un’azione legale contro la diocesi di Ascoli Piceno, trascinandola dinanzi all’autorità giudiziaria. Palmieri — secondo diverse testimonianze raccolte — non ascolta i preti, li tratta con sufficienza, li umilia con atteggiamenti paternalistici, ma soprattutto non risponde mai nel merito delle critiche, preferendo invece gettare discredito su chi ha il coraggio di dire le cose come stanno.

Quando è stato fatto notare che ha incardinato in diocesi padre Ivan Bresciani, un ex gesuita che ha disobbedito e coperto Marko Rupnik, Palmieri non ha spiegato né motivato, ma ha semplicemente diffamato Silere non possum, tacciandolo di “attacchi personali” e chiedendo ai preti riuniti a Santa Severa durante la recita della Liturgia delle Ore di pregare per gli attacchi che lui riceve da Silere non possum. Questo è esattamente il meccanismo denunciato dalla psicologia dell’abuso: trasformare una legittima domanda di trasparenza in un’aggressione spirituale.

A differenza di Palmieri, che ha diffuso comunicazioni riservate all’insaputa dei diretti interessati, Silere non possum ha scelto la via della trasparenza: il comunicato è stato trasmesso a tutti, diocesi compresa, dopo aver inviato una diffida formale e successivamente citato in giudizio la diocesi stessa. Un simile comportamento non sorprende, alla luce del passato di Palmieri e della sua appartenenza a quella corrente ecclesiale che si riempie la bocca di parole come sinodalità e corresponsabilità, salvo poi agire con modalità autoritarie, stigmatizzando e screditando chiunque osi rivolgergli critiche dirette.

Nella giornata di ieri Palmieri è tornato all’attacco con i propri preti: “Sono momenti difficili per me, ma io non mi dimentico di voi. Non dividiamoci.” Frasi apparentemente spirituali, ma in realtà funzionali a evitare qualunque confronto vero, qualunque dovere di rendere conto delle proprie decisioni. Si crea così una narrazione vittimistica, dove il vescovo è perseguitato da forze oscure che vogliono dividere la Chiesa. Ma chi divide, in realtà, è proprio chi rifiuta il dialogo e lo sostituisce con la demonizzazione dell’altro. Continuare a sostenere che Silere non possum sia una voce esterna alla Chiesa è semplicemente falso, così come lo sono molte delle affermazioni con cui Palmieri tenta di difendersi.

Che piaccia o no, Silere non possum è a pieno titolo una delle (tante) voci che appartengono alla Chiesa — e non certo tra le più marginali.  Anche questa reazione rivela molto del legame di Gianpiero Palmieri con la vicenda di Marko Ivan Rupnik. Non si può dimenticare quanto affermava Maria Campatelli — che Palmieri ha scelto di invitare a parlare all’intera diocesi — nel refettorio del Centro Aletti, mentre Silere non possum cominciava a far emergere i retroscena delle accuse rivolte all’ex gesuita. In quell’occasione, sia lei che Rupnik arrivarono ad accusare di essere “demoniaci” perfino i vertici della Compagnia di Gesù.

Chi denuncia è il diavolo

Palmieri, che negli incontri con il clero ha più volte fatto riferimenti stizziti a Silere non possum, dimentica che i preti che ridono con lui non ridono di chi denuncia, ma dell’assurdità di un vescovo che pensa di liquidare tutto con lo sberleffo. Perché la maggior parte dei suoi sacerdoti sanno bene che ciò che Silere non possum scrive è vero. Ed è proprio qui che nasce l’abuso spirituale: quando il vescovo, invece di dare risposte, richiama all’unità, usando Dio come paravento. Non si accorge - o forse sì - che sta facendo esattamente ciò che si contesta alle comunità nuove e alle sette religiose, dove la critica viene presentata come opera del maligno e la disobbedienza come peccato contro lo spirito comunitario. Ma la vera divisione nasce quando chi guida non è più disposto a rendere conto delle proprie scelte e addirittura parla di “preti e diaconi che hanno apprezzato Bresciani”, quando in realtà si tratta di sacerdoti che non hanno la libertà di dire ciò che pensano per paura di ritorsioni.

La spiritualizzazione del silenzio

In moltissime occasioni Palmieri ha lasciato che laici e fedeli parlassero male dei loro preti, facessero campagna ideologiche contro i loro parroci, senza battere ciglio. Oggi che è punto nel vivo si limita a scrivere frasi consolatorie e spiritualizzanti: “Non mi dimentico di voi, il Signore ci dona tanta grazia!” Sono formule vuote, che — come spiega il teologo e psicologo Jean-Michel Longneaux — non cercano la verità ma il controllo del gruppo. “In certi ambienti ecclesiali — scrive — si è talmente abituati a parlare in termini spirituali che la coscienza viene anestetizzata: non ci si chiede più se si sta facendo il bene, ma se si appare spiritualmente accettabili”.

Il dovere di parlare

Silere non possum ha posto delle domande semplici. Domande che restano aperte e alle quali Palmieri pensa di non rispondere con quella sicumera che ha sempre caratterizzato il suo agire, a Roma come nelle Marche.

E finché non lo farà, continuerà ad alimentare un clima malsano, dove la manipolazione si veste di preghiera, l’autoritarismo di fraternità, la superbia di spiritualità. Dei suoi finti sorrisi ne abbiamo già parlato, come abbiamo già spiegato come tratta sacerdoti e aspiranti seminaristi. Un modo di agire del tutto diverso da come ha trattato Ivan Bresciani.

Oggi più che mai è urgente dare un nome a questi comportamenti. Perché solo quando la Chiesa saprà riconoscere l’abuso spirituale anche in quei pastori che parlano di condivisione ma agiscono da autocrati, allora potrà davvero definirsi sinodale.

d.L.B.
Silere non possum