Il 16 agosto la Chiesa celebra la memoria di Santo Stefano d'Ungheria. Il Re ricevette il battesimo da Papa Silvestro II e si adoperò per propagare la fede cristiana tra gli Ungheresi. Stefano riordinò la Chiesa nel suo regno, la arricchì di beni e di monasteri, fu giusto e pacifico nel governare i sudditi, finché a Székesfehérvár in Ungheria, nel giorno dell’Assunzione, la sua anima salì in cielo.
In occasione di questa festività, molto cara al popolo ungherese, i media vaticani hanno intervistato S.E.R. il Sig. Cardinale Péter Erdő, arcivescovo metropolita di Esztergom-Budapest. 

Il primate ungherese ha detto: «Per noi rimane fondamentale l'enciclica Mit Brennender Sorge che Papa Pio XI in 1937 ha pubblicato prima della Seconda Guerra mondiale, in cui viene precisato che le nazioni come comunità culturali con la propria lingua, la propria memoria, le proprie strutture e la propria cultura, rappresentano un vero valore, appartengono alla ricchezza della creazione, quindi sono cari al Creatore. In diverse parti della Bibbia troviamo che anche nell'ultimo giudizio, il Signore giudicherà i popoli. Anche i popoli, non soltanto le singole persone. Quindi i popoli hanno un certo ruolo nel grande progetto di Dio. Eppure le nazioni non rappresentano il supremo valore. Guardando le nazioni così, sarebbe una idolatria, per cui cerchiamo sempre questo equilibrio indicato dall'insegnamento pontificio. E questo insegnamento sembra essere attuale anche ai nostri giorni». Il porporato si è soffermato  anche sul valore della celebrazione pubblica della propria fede: «Pubblico e privato non sono separabili nella vita umana, nella vita delle società, perché le decisioni, anche private, possono avere una ripercussione alla società e viceversa. E poi lo spazio pubblico, le strade, le piazze, non rimangono mai vuote. Cioè non è possibile che non vi siano dei simboli che esprimono qualche visione del mondo. Anche durante il comunismo, c'erano tante statue, tante cose che esprimevano la visione del mondo comunista. In Albania, ad esempio, il dittatore Enver Hoxha aveva fatto costruire nel centro di Tirana per sé stesso una piramide. Quindi lo spazio pubblico non rimane completamente vuoto. E i simboli cristiani? Le chiese, per esempio, indicano che lunghe generazioni hanno riconosciuto che la vita quotidiana non è l'orizzonte supremo, ma c'è un orizzonte più alto che dà senso e valore alle piccole cose della nostra vita. Per cui è importante pensare ogni tanto almeno alle grandi feste, a questa realtà».

Il presule, poi, ha raccontato alcuni aspetti personali della propria vita di credente che sono molto interessanti per comprendere il punto di vista di quest'uomo che è il candidato di punta - in vista del prossimo conclave - di alcuni cardinali come Angelo Bagnasco. Anche se quest'ultimo non accederà più alla Cappella Sistina, negli anni scorsi si adoperò molto per "sponsorizzare" Erdő all'interno del Sacro Collegio. Quando Papa Francesco lo venne a sapere fece subito trapelare sulla stampa la frase: «Mi volevano morto». Qualcuno, infatti, gli riferì che mentre lui si trovava al Policlinico Gemelli c'era uno zucchetto rosso che si aggirava per l'Europa come un rappresentante farmaceutico. «Non è la persona giusta. Lo sponsorizzano come esponente dell'ala conservatrice ma in realtà sarebbe una brutta copia, pessima copia, di Giovanni Paolo II», afferma un porporato che ci tiene a sottolineare come questa intervista metta bene in risalto alcuni punti saldi delle preoccupazioni di Erdő. Proprio come quando prese possesso del titolo cardinalizio a Roma, il primate ungherese ha un pallino fisso: il comunismo. Questioni che certamente erano deprecabili ma non sono la principale preoccupazione odierna della Chiesa nel mondo. 

 

I giovani ungheresi di oggi forse non hanno vissuto le stesse difficoltà incontrate dalle generazioni precedenti, come la sua, nel vivere e testimoniare la fede in epoche in cui il potere politico avrebbe voluto estirpare il cristianesimo dall’identità nazionale. In quel periodo difficile, quando lei era giovane, cosa l’ha aiutata a non perdere, appunto, la fede? 

Sono stati prima di tutto i miei genitori, la nostra famiglia, perché non soltanto pregavamo a casa, parlavamo delle feste religiose, andavamo insieme in Chiesa, ma mio papà ci ha trasmesso anche la catechesi. E poi abbiamo saputo che mio papà, essendo stato giurista, non poteva esercitare la propria professione perché era considerato troppo religioso. Mia mamma, insegnante, non poteva insegnare perché considerata troppo religiosa. E quindi abbiamo visto che cosa era più importante nella vita. Certamente la fede era al primo posto. E così che tutto questo non è stato vissuto in forma tragica dai miei genitori, ma in forma naturale, cioè nella naturalezza di credere che Dio è supremo. E che la religione è la cosa più importante nella nostra vita.

Ciò che lei racconta, che i suoi genitori erano cattolici e non lo nascondevano e che il regime comunista aveva proibito loro di esercitare la professione, cosa ha significato per lei? È stato un esempio? Ha avuto un ruolo quando ha accolto la vocazione al sacerdozio? Ci racconti anche di come lei ha scoperto la sua vocazione in un contesto simile...

Certamente. Se la fede è la cosa più importante nella vita, allora servire la fede degli altri, trasmettere la fede, insegnare la fede, e soprattutto amministrarla nella liturgia, sono le cose più grandi nella vita. Le cose più importanti che uno può fare e quelle più utili, anche per la salvezza degli altri. Questa è la motivazione principale che sentivo già da ragazzo. E così che man mano sono arrivato alla decisione di entrare nel seminario.

Papa Francesco ha voluto che quest'anno che precede il Giubileo fosse uno speciale Anno della preghiera. Come sta vivendo quest'anno? 

La mia vita di preghiera è cominciata da quando frequentavo il liceo. Ho sempre iniziato la giornata con l'Inno della Carità dalla Prima Lettera ai Corinzi di San Paolo e ho terminato la giornata pregando il Te Deum. Quindi la preghiera dava una cornice alle mie giornate. Il mio padre spirituale mi aveva raccomandato di meditare un po’ sulla Sacra Scrittura: non più di 10 minuti, sempre, ogni giorno. Un brano del Nuovo Testamento che è anche un grande aiuto per orientarmi nella vita in questo anno di preghiera che si svolge adesso.

Poi nella diocesi ci sono dei programmi personali, programmi comuni, il Rosario ogni primo sabato alle ore 10. E c'è una preghiera davanti alla Basilica di Santo Stefano, in piazza, dove gli uomini stanno in ginocchio e recitano così il Rosario, che è una grande testimonianza davanti al mondo. Poi nella Chiesa della Perpetua adorazione c'è ogni giorno, dalle 8 fino alle 18 l'adorazione. In un'altra chiesa, in quella dei Santi Angeli, tutta la giornata - anche di notte - c'è la adorazione perpetua. Ancora, ogni primo venerdì alle 6, nella parrocchia di Cristina, la Comunità Emmanuel organizza una serata di preghiera con la Messa e anche con la possibilità di confessione. Anche ogni giovedì, dalle 20 fino alle 5 del venerdí mattina nella basilica di Santo Stefano c'è l'adorazione. Poi le possibilità di confessarsi presso i francescani di Pest. Ogni giorno, dalle 6 di mattina fino alle 22, è possibile confessarsi. Infine ogni primo sabato, c'è un Rosario e una Santa Messa per le famiglie e la gioventù. Adesso cerchiamo di identificare anche le chiese nelle quali si potranno ottenere le indulgenze previste dalla Santa Sede.