Città del Vaticano - «È possibile essere amici nella Curia Romana? Avere rapporti di amichevole fraternità?». Nel suo primo discorso natalizio alla Curia Romana, Leone XIV ha scelto di mettere al centro una domanda diretta, quasi disarmante, che tocca il nervo scoperto di questa illustre istituzione: la qualità delle relazioni, la fiducia, la lealtà quotidiana tra persone chiamate a servire la Chiesa. Silere non possum, in questi anni, ha richiamato più volte l’urgenza di questi temi, perché non appartengono al registro delle dichiarazioni di principio: toccano la vita concreta delle persone e il funzionamento reale dell’ istituzione. Vivere il Vangelo dentro la Curia significa assumere uno stile che precede ogni prassi e ogni riforma: la Chiesa, e in particolare l’istituzione che ne regge il servizio quotidiano, è chiamata a offrire testimonianza prima ancora che efficienza. In questo orizzonte, la questione delle relazioni non è un dettaglio “umano” da aggiustare a margine. È il luogo in cui si misura la credibilità: relazioni sane, gratuite, non ridotte a strumenti di utilità, di appartenenza o di potere. È anche qui che si gioca la possibilità di una vita buona, persino felice, perché nessuna comunità regge se le persone vengono usate, scavalcate o rese funzionali a equilibri e carriere.
Il Papa torna su questi punti dopo aver invitato anche i giovani a custodire legami autentici: il messaggio è netto. La richiesta non riguarda “gli altri” o “il futuro”, ma riguarda noi, oggi. Se alla Chiesa è chiesto di educare, deve prima di tutto mostrare che ciò che annuncia è praticabile; se chiede relazioni vere ai giovani, deve saperle vivere nelle sue case e nei suoi corridoi. In altre parole: la testimonianza viene prima di tutto, per loro come per noi. Leone XIV ha impostato questo suo importante intervento a partire dalla luce del Natale, letta come “novità” che attraversa la storia e rimette la Chiesa nel suo orizzonte originario: Cristo al centro, una missione che nasce dal movimento stesso di Dio verso l’uomo e una comunione che non è uno slogan organizzativo, ma un lavoro di conversione. Da qui, l’architettura del discorso: due assi - missione e comunione - che Leone XIV ha ripreso esplicitamente dall’Evangelii gaudium e ha applicato al cuore operativo del governo ecclesiale: dicasteri, uffici, prassi, stili di lavoro.

Missione e Curia: strutture al servizio del Vangelo
Leone XIV ha richiamato un criterio: la Curia non può vivere di inerzia amministrativa, né costruire procedure che “appesantiscono” la corsa dell’annuncio. «Le strutture… non devono appesantire, rallentare la corsa del Vangelo o impedire il dinamismo dell’evangelizzazione», ha detto, rilanciando l’urgenza di «fare in modo che esse diventino tutte più missionarie». La conversione missionaria, per il Papa, non è un programma astratto: è un modo di progettare ruoli e uffici “guardando alle grandi sfide ecclesiali, pastorali e sociali di oggi”. L’accento teologico è altrettanto marcato: la missione comincia “nel cuore della Santissima Trinità”, nel “primo grande esodo” di Dio che esce da sé e viene incontro all’uomo. Natale, in questa prospettiva, diventa la grammatica di un servizio curiale che non si ripiega su sé stesso, ma si lascia giudicare dal movimento di Dio verso il mondo.
Comunione: il punto caldo delle relazioni
Quando Leone XIV passa a parlare della comunione, il discorso si fa più incisivo e, per molti versi, più “interno”. Il Papa non idealizza la vita ecclesiale: riconosce che «talvolta, dietro un’apparente tranquillità, si agitano i fantasmi della divisione», e descrive una tentazione tipica degli ambienti complessi: oscillare «tra due estremi opposti», cioè «uniformare tutto senza valorizzare le differenze» oppure «esasperare le diversità» fino a trasformarle in contrapposizione. È una diagnosi che riguarda “le relazioni interpersonali”, “le dinamiche interne agli uffici” e perfino il modo di trattare questioni sensibili - fede, liturgia, morale - dove rigidità e ideologia generano fratture.
Qui il Santo Padre inserisce un passaggio chiave: la comunione non si costruisce principalmente “con le parole e i documenti”, ma «mediante gesti e atteggiamenti concreti» che devono emergere nel quotidiano, anche nel lavoro. E per far comprendere questo concetto cita il santo a lui più caro: Sant’Agostino. Leone cita la frase che fa da cornice al tema delle relazioni: «In tutte le cose umane nulla è caro all’uomo senza un amico». Subito dopo, però, riporta l’amarezza del vescovo di Ippona: «Ma quanti se ne trovano di così fedeli, da poterci fidare con sicurezza riguardo all’animo e alla condotta in questa vita?». È un modo per dire che la fraternità non è automatica e che, nella Curia, la questione si misura su terreni molto concreti: potere, ambizioni, interessi. Leone XIV non gira attorno alle parole quando riconosce che, dopo anni di servizio, «alcune dinamiche legate all’esercizio del potere, alla smania del primeggiare, alla cura dei propri interessi, stentano a cambiare». E da qui torna alla domanda che ha dato tono all’intero passaggio: si può davvero essere amici in Curia?
La risposta non viene offerta come formula, ma come descrizione di un metodo e di una conversione: «è bello quando troviamo amici di cui poterci fidare», quando «cadono maschere e sotterfugi», quando «le persone non vengono usate e scavalcate», quando ci si aiuta, si riconoscono competenze e valore, evitando rancori e insoddisfazioni. «C’è una conversione personale che dobbiamo desiderare e perseguire, perché nelle nostre relazioni possa trasparire l’amore di Cristo che ci rende fratelli».
«Lo è ad intra, perché la comunione nella Chiesa rimane sempre una sfida che ci chiama alla conversione. Talvolta, dietro un’apparente tranquillità, si agitano i fantasmi della divisione. E questi ci fanno cadere nella tentazione di oscillare tra due estremi opposti: uniformare tutto senza valorizzare le differenze o, al contrario, esasperare le diversità e i punti di vista piuttosto che cercare la comunione. Così, nelle relazioni interpersonali, nelle dinamiche interne agli uffici e ai ruoli, o trattando le tematiche che riguardano la fede, la liturgia, la morale o altro ancora, si rischia di cadere vittime della rigidità o dell’ideologia, con le contrapposizioni che ne conseguono» ha detto il Pontefice.

Un segno “ad extra”: pace, aggressività sociale e responsabilità pubblica
Le relazioni interne, per Leone XIV, hanno un riflesso pubblico. Il Papa collega la qualità della comunione alla credibilità della Chiesa in un mondo “ferito”, dove crescono aggressività e rabbia, spesso amplificate e strumentalizzate «dal mondo digitale come dalla politica». In questa cornice, il Natale porta “il dono della pace” e chiama la Chiesa - e la Curia - a essere “segno profetico” in un contesto frammentato. Da qui un’immagine che sposta lo sguardo oltre i palazzi: «non siamo piccoli giardinieri intenti a curare il proprio orto», ma testimoni di un Regno che chiede di diventare “lievito di fraternità universale”.
Il clima in Curia: distensione e attese
L’appuntamento di quest’anno – storicamente l’unico momento in cui il Papa incontra la Curia Romana riunita nella sua interezza per lo scambio degli auguri natalizi – ha assunto un rilievo particolare perché ha segnato il primo discorso di Natale di Leone XIV alla Curia. Dopo l’incontro iniziale all’avvio del pontificato, è stata la prima occasione in cui il nuovo Papa si è nuovamente rivolto a tutta la Curia, e lo ha fatto in un clima sensibilmente più disteso rispetto ai tredici anni precedenti. Sono riapparsi volti che in passato avevano progressivamente evitato questo appuntamento, scoraggiati da un contesto costantemente conflittuale e segnato dal rimprovero. Nei corridoi e sugli scaloni, inoltre, non sono mancate considerazioni esplicite, espresse da porporati e arcivescovi, che lasciano intravedere un pontificato capace di rasserenare gli animi, di ridurre le tensioni e di riaprire spazi reali di confronto, dopo una lunga stagione di irrigidimenti e sospetti. In questo quadro si inserisce anche l’attesa, sempre più esplicita, per il Concistoro straordinario di gennaio, il quale sarà un passaggio di rilievo: lì il Papa si confronterà con il Sacro Collegio e diversi porporati guardano a quell’appuntamento con una speranza concreta per il futuro della Chiesa.
Un Natale che chiede “condiscendenza” e concretezza
Leone XIV ha concluso questo momento con l’augurio di un “Santo Natale” alla Curia, affidando a una citazione di Dietrich Bonhoeffer l’ultima immagine: Dio che “entra dentro” la bassezza dell’uomo e ama ciò che è perduto, insignificante, emarginato. È una chiusa che ricompone il senso complessivo del discorso: missione e comunione non restano concetti, ma diventano disciplina del cuore e criterio concreto per valutare la qualità delle relazioni. Nel contesto curiale questo si traduce in scelte verificabili: il modo in cui ci si parla, ci si stima, si collabora, si rinuncia alle maschere e ai sotterfugi, si costruiscono rapporti sinceri e leali. È anche un invito a prendere le distanze da sospetto, chiacchiericcio e logiche di divisione, spesso alimentate da chi, sulla frattura interna, ottiene vantaggi di interesse, influenza e potere, talvolta anche economici.
d.L.B.
Silere non possum