Città del Vaticano - La lettera inviata il 18 settembre 2025 dal cardinale Giuseppe Petrocchi e da mons. Denis Dupont-Fauville a Leone XIV non è un varco verso il diaconato femminile, ma il contrario: è la constatazione che, allo stato attuale, la Chiesa non può procedere in questa direzione. La Commissione di Studio sul Diaconato Femminile, voluta da papa Francesco, dopo anni di studio, afferma che l’approfondimento del diaconato nel quadro del sacramento dell’Ordine solleva seri interrogativi sulla compatibilità dell’ordinazione diaconale delle donne con la dottrina cattolica e che, in concreto, la situazione presente esclude la possibilità di andare avanti verso la loro ammissione come terzo grado dell’Ordine.
Questa valutazione, pur non formulando un giudizio definitivo come è avvenuto per il sacerdozio femminile, è sufficientemente chiara: oggi, nella Chiesa cattolica, il diaconato come grado dell’Ordine è riservato agli uomini. E la stessa Commissione indica come priorità non l’apertura alle donne, ma un chiarimento più profondo sull’identità sacramentale del diaconato e sulla sua missione ecclesiale.
Le diaconesse della storia: un ministero diverso, non un diaconato sacramentale
La discussione odierna sul diaconato femminile è spesso viziata da un equivoco: si invoca il passato senza leggerlo fino in fondo. Sia il documento della Commissione Teologica Internazionale del 2002–2003 sia la Commissione di Studio sul Diaconato Femminile ribadiscono che il cosiddetto “diaconato femminile” antico non era il semplice equivalente del diaconato maschile.
Il testo “Il diaconato: evoluzione e prospettive” spiega che nelle prime comunità cristiane esistono figure femminili che svolgono una diaconia reale - assistenza alle donne, cura dei poveri, accompagnamento nelle case - ma con compiti e statuto diversi rispetto ai diaconi uomini. La sintesi offerta oggi, recependo questo dato, afferma che il diaconato femminile storico è stato un ministero sui generis, nato per esigenze pastorali in società segnate da una forte separazione dei sessi, privo di un chiaro carattere sacramentale e non collocato nella linea della successione apostolica, a differenza dell’episcopato, del presbiterato e del diaconato conferito agli uomini.
In altre parole: la Tradizione conosce servizi diaconali femminili, ma non conosce un diaconato sacramentale femminile paragonabile a quello maschile. E proprio per questo il ricorso alla storia non può essere usato come grimaldello per imporre oggi un cambiamento di struttura dell’Ordine sacro.
Il ministero ordinato come servizio, non come promozione
La Commissione nel 2002 parte dalla diaconia di Cristo: il Figlio di Dio assume la forma di servo, si abbassa, si dona, realizza la salvezza entrando nella logica del servizio, non del potere. Da qui la conclusione: ogni ministero nella Chiesa, e in modo eminente il ministero ordinato, nasce per servire la Parola, i sacramenti e il Popolo di Dio, non per occupare una posizione sociale o ecclesiastica di prestigio.
Letto alla luce di questa prospettiva, il materiale raccolto dalla Commissione sul diaconato femminile risulta rivelatore. La sintesi segnala che molti contributi favorevoli - in larga parte provenienti da donne che lavorano da anni nelle comunità - descrivono il proprio impegno come se fosse criterio sufficiente per esigere l’ordinazione, oppure fanno leva su una forte sensazione soggettiva di chiamata presentata come prova decisiva della vocazione.
Ancora più esplicito è il linguaggio con cui queste petizioni motivano la richiesta: l’ordinazione viene vista come riconoscimento di merito, visibilità, autorevolezza, rispetto, sostegno e soprattutto uguaglianza. È la logica della promozione e del potere, non quella della diaconia. Il ministero ordinato viene concepito come spazio di affermazione e di diritti da rivendicare più che come forma radicale di servizio obbediente nella Chiesa.

Una minoranza ideologica contro la Tradizione della Chiesa
Un altro dato della sintesi è decisivo: i contributi favorevoli al diaconato femminile ordinato sono pochi, provengono da 22 persone o gruppi concentrati in un numero ristretto di Paesi, e non possono essere considerati come voce del Sinodo né del Popolo di Dio. Il documento sottolinea che queste correnti teologiche e culturali si fondano su “ideazioni” di antropologia teologica spesso in conflitto con la Tradizione cattolica (e ortodossa), che ammette all’Ordine sacro solo uomini battezzati.
Si tratta, in larga misura, di posizioni teologiche portate avanti da donne che hanno svolto e svolgono un grande servizio ecclesiale, ma che arrivano a interpretare tale servizio come un motivo per reclamare l’accesso al sacramento dell’Ordine. In questa prospettiva, il ministero non è più vissuto come obbedienza, ma come passaggio di grado: dal servizio “semplice” al servizio “ordinato”, visto come livello superiore, dotato di più peso ecclesiale e sociale.
La stessa sintesi nota che, in non pochi casi, l’argomento centrale non è la conformità alla Tradizione, ma il bisogno di parità istituzionale con gli uomini e di allineamento alle logiche della società civile, dove l’accesso alle funzioni apicali è paritario. È una lettura ideologica del ministero, che assume categorie estranee alla logica sacramentale della Chiesa e che, di fatto, riduce il ministero ordinato a luogo di potere da condividere.
Il diaconato femminile sacramentale come strada senza uscita
Alla luce di questi elementi, non sorprende che la Commissione approdi a una valutazione netta: lo status quaestionis attuale, considerati insieme i dati storici e quelli teologici, esclude la possibilità di procedere verso l’ammissione delle donne al diaconato come grado del sacramento dell’Ordine.
Il documento della Commissione del 2002 aiuta a capire il perché: il diaconato è parte integrante del sacramento dell’Ordine, si radica nella diaconia di Cristo e nella responsabilità affidata agli apostoli e ai loro successori. Non è un contenitore generico di servizi, ma un ministero che, insieme al presbiterato e all’episcopato, appartiene alla struttura sacramentale della Chiesa. Per questo, la Commissione di Studio sul Diaconato Femminile oggi osserva che ammettere le donne al primo grado dell’Ordine renderebbe inspiegabile la loro esclusione dagli altri due e comporterebbe una rottura nel significato nuziale della salvezza, in cui il ministro rappresenta sacramentalmente Cristo Sposo in relazione alla Chiesa Sposa.
In sintesi: il diaconato femminile sacramentale non è solo impraticabile allo stato attuale; è una strada teologicamente cieca, che nasce da una lettura parziale della storia e da un’idea di ministero segnata dalla ricerca di riconoscimento e status, più che dalla logica del servizio.
Nessuna chiusura alle donne: il sì ai ministeri, il no all’Ordine
Tutto questo non significa chiudere gli occhi sul ruolo delle donne nella vita della Chiesa. Al contrario, la Commissione - in piena continuità con la Commissione Teologica Internazionale - insiste sulla diaconia battesimale come fondamento di ogni ministerialità: nel battesimo, uomini e donne ricevono la stessa partecipazione alla missione di Cristo e sono chiamati a servire nella Chiesa e nel mondo.
Per questo la sintesi odierna, mentre esclude il diaconato femminile come grado dell’Ordine, indica come via promettente l’ampliamento dei ministeri istituiti aperti alle donne, in continuità con i motu proprio Spiritus Domini e Antiquum ministerium. Si tratta di dare un riconoscimento ecclesiale più chiaro alla diaconia delle donne, anche nei contesti dove subiscono gravi discriminazioni di genere, non trasformando però il sacramento dell’Ordine in risposta a logiche di parità formale o di riscatto sociale.
Alla luce congiunta del documento del 2002 e della sintesi resa nota oggi, il quadro è coerente: il ministero ordinato rimane riservato agli uomini, in fedeltà alla Tradizione e alla struttura sacramentale della Chiesa; la diaconia delle donne non viene affatto sminuita, ma riconosciuta e rilanciata attraverso la diaconia battesimale e i ministeri laicali, che sono luoghi veri di responsabilità, non surrogati di un potere che il Vangelo non promette a nessuno.
d.S.C. e s.B.V.
Silere non possum