Città del Vaticano - In occasione del quarto centenario della fondazione del Seminario Maggiore Arcidiocesano “San Carlo e San Marcello” di Trujillo, Papa Leone XIV ha indirizzato una lettera ai seminaristi e ai formatori della comunità peruviana, un testo di straordinaria densità spirituale e teologica. L’occasione, segnata anche da un legame personale del Pontefice con quella casa di formazione - nella quale egli stesso servì come professore e direttore degli studi - diventa il pretesto per una riflessione profonda sulla vocazione sacerdotale e sulle sue radici interiori.
«Il sacerdozio - scrive Leone XIV - non può ridursi al raggiungere l’ordinazione come se fosse una meta esterna o una via d’uscita facile a problemi personali. Non è una fuga, né una promozione, ma un dono totale dell’esistenza. Solo nella libertà è possibile donarsi». Fin dall’inizio, il Papa richiama i candidati alla centralità del rapporto personale con Cristo, da cui nasce ogni autentica vocazione. Il seminario, ricorda, è il luogo in cui si impara “a stare con il Signore, conoscerlo e amarlo per poterGli somigliare”. Senza questa relazione viva, ogni formazione rischia di ridursi a un percorso funzionale o accademico, dimenticando che «l’essenziale non è essere ordinati, ma essere veramente sacerdoti».
Il discernimento e la libertà del cuore
Nella lettera, datata 17 settembre 2025, memoria di san Roberto Bellarmino, Leone XIV dedica ampio spazio al discernimento vocazionale e alla rettitudine d’intenzione. «Bisogna lasciare che il Signore chiarisca le motivazioni e purifichi le intenzioni», ammonisce, perché «chi cerca il sacerdozio per motivi meschini, sbaglia le fondamenta e costruisce sulla sabbia». La vita del seminario, prosegue, deve essere un tempo di rettificazione interiore, un laboratorio dove imparare la sincerità davanti a Dio e ai formatori, attraverso la confessione, la direzione spirituale e l’obbedienza fiduciosa. «Un seminarista che vive in questa chiarezza diventa un uomo maturo, libero dall’ambizione e dal calcolo umano, libero di donarsi senza riserve».
Preghiera, studio e vita interiore
Uno dei nuclei più forti della lettera è dedicato alla preghiera, definita dal Papa “l’investimento più fecondo della vita”. Senza preghiera, afferma, “non si conosce il Maestro, e chi non Lo conosce non può amarlo davvero né configurarsi a Lui”. La Sacra Scrittura è presentata come luogo privilegiato dell’incontro con Cristo, dove il futuro sacerdote impara a pensare e sentire con Lui. Accanto alla preghiera, Leone XIV sottolinea l’importanza dello studio teologico come forma di amore e di servizio: «Senza studio serio non c’è vera pastorale», ricorda, citando Pio XI. Lo studio, aggiunge, non serve all’erudizione ma alla missione: «Un seminarista - scrive - deve specializzarsi in Gesù Cristo».
Per il Pontefice, preghiera e ricerca della verità non sono percorsi paralleli ma un’unica via che conduce al Maestro: “Una pietà senza dottrina diventa sentimentalismo fragile; una dottrina senza preghiera si fa sterile e fredda”. Solo dall’unità tra intelligenza e cuore nasce un sacerdozio solido e luminoso.
L’altare e la paternità sacerdotale
Tutta la formazione, conclude Leone XIV, converge verso l’altare, “luogo dove l’identità sacerdotale si edifica e si rivela in pienezza”. Lì, nel Santo Sacrificio dell’Eucaristia, il sacerdote impara a offrire la propria vita come Cristo sulla croce. Da questa unione nasce la paternità sacerdotale, che “non genera secondo la carne ma secondo lo Spirito”. Il sacerdote, scrive il Papa, “porta nel cuore il popolo intero, intercede per lui, lo accompagna nelle lotte e lo sostiene nella fede”. Questa paternità si manifesta nel celibato, nell’obbedienza, nella povertà evangelica e nella misericordia, che rendono visibile il volto del Padre. «Non esiste paternità a metà, né sacerdozio a metà».
Contro la mondanità e l’isolamento
Leone XIV invita poi i seminaristi a fuggire la mediocrità, ricordando i pericoli più concreti del tempo presente: la mondanità che dissolve la visione soprannaturale, l’attivismo che esaurisce, la dispersione digitale che ruba interiorità, le ideologie che deviano dal Vangelo e la solitudine di chi pretende di vivere senza il presbiterio e senza il vescovo. «Un sacerdote isolato è vulnerabile - ammonisce -. La Chiesa ha bisogno di pastori santi, che si donino insieme, non di funzionari solitari».
“Avete un posto nel cuore del Successore di Pietro”
Nelle righe finali, il Papa rivolge ai seminaristi parole di affetto e incoraggiamento, assicurando loro che «hanno un posto nel cuore del Successore di Pietro». Ricorda la figura di san Toribio di Mogrovejo, patrono della Chiesa peruviana, e li esorta a vivere ogni giorno “come un tesoro irripetibile”.
«La Vergine Maria e san Giuseppe, primi formatori del Sommo ed Eterno Sacerdote, vi sostengano nella gioia di sapere che siete amati e chiamati», scrive infine il Pontefice, impartendo la sua Benedizione Apostolica sull’intera comunità del seminario e sulle famiglie dei seminaristi.
La lettera di Leone XIV al seminario di Trujillo conferma, una volta di più, quanto il Papa abbia a cuore la formazione sacerdotale e quanto ne conosca i punti dolenti oggi. In pochi mesi di pontificato ha già offerto, nel suo magistero, indicazioni concrete per un cammino più sereno di preti e seminaristi: un percorso in cui il chierico possa essere trasparente e accogliente rispetto agli insegnamenti ricevuti solo se, dall’altra parte, incontra formatori maturi, non ideologici e non intenti a cercare cavilli, ma capaci di accogliere la diversità delle persone che accompagnano.
d.G.A.
Silere non possum