Nata a Montefalco nel 1268, nel cuore dell’Umbria segnata dall’esperienza di Francesco d’Assisi e dalla nascita di nuovi movimenti religiosi, Chiara della Croce attraversa con la sua vita uno dei nodi decisivi del cristianesimo: è possibile vivere una radicale appartenenza a Dio senza sottrarsi alla storia, ai conflitti, alle fragilità del proprio tempo? La risposta della “bellissima Chiara da Montefalco”, come la definiscono le fonti, è una vita letteralmente segnata dalla croce di Cristo, fino a portarne i segni nel cuore, in senso reale e non solo simbolico.

Dietro l’iconografia della santa estatica e contemplativa, c’è una donna intelligente, energica, capace di governo, di discernimento dottrinale, di misericordia esigente verso se stessa e di infinita pazienza verso gli altri. Una figura che unisce in modo singolare mistica, realismo e responsabilità ecclesiale.

Una bambina “confiscata dall’Assoluto”

Chiara nasce in una famiglia profondamente credente. Il padre, Damiano, non ostacola la vocazione delle figlie: la asseconda fino al punto di costruire a sue spese il piccolo reclusorio dove la sorella maggiore, Giovanna, aveva iniziato a vivere in forma penitente insieme ad altre donne.

A sei anni, Chiara lascia la casa paterna per entrare nel reclusorio. Le fonti non parlano di un gesto forzato, ma di una scelta ardente, quasi impaziente, di appartenenza a Cristo. È descritta come una bambina bella, vivace, intelligente, attentissima ai bisogni degli altri, generosa e pronta al lavoro. Quell’ambiente povero e raccolto diventa la sua vera scuola: silenzio, preghiera, ascolto della Parola, vita fraterna.

Pochi anni più tardi, l’esperienza di Giovanna e Chiara inizia ad attirare altre giovani. Nel 1280 il padre costruisce un reclusorio più grande, dove sorgerà l’attuale Monastero di Santa Croce. Non si tratta di una fuga dal mondo, ma di un modo preciso di abitarlo: radicate nella preghiera, con le porte sempre socchiuse alla sofferenza e alle domande della gente.

La Regola di Sant’Agostino: interiorità e carità fraterna

Nel 1290 la piccola comunità deve scegliere una Regola, secondo le indicazioni della Chiesa. Chiede e ottiene dal vescovo di Spoleto, Gerardo, la Regola di sant’Agostino. È una svolta decisiva: l’agostinismo segna lo stile del monastero e della stessa Chiara. La Regola diventa traccia concreta per: la preghiera comune, il lavoro, la correzione fraterna, la povertà, la castità, l’obbedienza e soprattutto la carità fraterna, “vincolo della perfezione”.

Solo un anno dopo, alla morte di Giovanna (1291), la comunità elegge Chiara come superiora. Lei si ritrae, si dice incapace, resiste. Sarà la pressione affettuosa delle sorelle a farle accettare il compito. Da allora sarà per loro madre, guida spirituale, sostegno concreto: lavora, serve, cura le ammalate, accompagna, corregge, consola.

La lunga notte: undici anni di aridità per imparare il cuore dell’uomo

La santità di Chiara non è una linea ascendente senza incrinature. Dal 1288 al 1299 vive una durissima prova interiore: una “notte” di undici anni, nella quale il cielo si chiude. Dopo essersi compiaciuta, sia pure con ingenuità, dei doni straordinari ricevuti – visioni, consolazioni, grande familiarità con Cristo – sperimenta l’aridità più radicale. Le fonti raccontano una visione decisiva: all’inizio del 1294, Cristo sofferente e pellegrino le appare con una grande croce sulle spalle e le dice: «Ho cercato un luogo forte per piantare questa croce: qui e non altrove l’ho trovato».

Questa parola sintetizza la vocazione di Chiara: essere “luogo forte” per la croce di Cristo, non in modo ornamentale, ma come partecipazione reale alla sua passione d’amore. Nella prova, Chiara si sente senza Dio, capace di tutti i peccati, preda di ogni debolezza, vuota e arida. Proprio lì impara a conoscere il cuore dell’uomo: la durezza dei vizi, la fatica delle virtù, il peso delle tentazioni, il limite delle buone intenzioni.

La sua passione diventa compassione. La distanza tra la santa “che vede Dio” e il popolo ferito si annulla. Chiara entra, per così dire, nella zona d’ombra di ciascuno: da quel buio uscirà con una conoscenza “esperienziale” di vizi e virtù, non imparata sui libri ma nella carne. Più tardi riassumerà tutto in una frase che passerà alla storia: «Io ho Gesù Cristo mio crocifisso dentro il mio cuore». Non è un’immagine poetica. È ciò che le monache troveranno letteralmente nel suo corpo dopo la morte.

Mistica e realismo: una donna cercata da teologi, peccatori e gente semplice

Pur illetterata, Chiara vive esperienze spirituali di straordinaria profondità, biblica e teologica. Il primo biografo, Berengario di Donadio, la descrive come una donna dalla parola ardente, capace di infiammare i cuori più freddi: le sue parole «parevano parole di vita eterna» e chi l’ascoltava «se ne andava ripieno di ardenti desideri spirituali». Per questo è cercata da tutti: teologi, sacerdoti, religiosi, laici, santi e peccatori. Il processo di canonizzazione mostra un pellegrinaggio continuo di persone di ogni condizione sociale e culturale che bussano al monastero di Montefalco. Chiara, però, non è solo una mistica che consola. È anche una donna di grande lucidità dottrinale. Soltanto lei intuisce l’errore del francescano fra Bentivenga da Gubbio, capo dello “Spirito di libertà”, movimento pseudoreligioso in cui si mescolano cultura, mistica e lussuria. Sotto il linguaggio spirituale, Chiara riconosce una teologia deviata che banalizza il peccato, confonde la libertà dello Spirito con la licenza morale e trascina folle di monaci, monache, contadini, artigiani. Lo smaschera, lo ammonisce, lo denuncia all’autorità ecclesiastica. Il suo non è moralismo: è difesa appassionata della verità della fede e della dignità delle persone, spesso sedotte e ferite da falsi profeti.

Perdono, pace, responsabilità: una santa dentro la storia

In un’Umbria e una Toscana lacerate da conflitti, violenze politiche e tensioni ecclesiali, Chiara diventa operatrice di pace. Perdona sempre chi la calunnia per interesse o invidia, ricambiando il male con il bene. Non si limita a pregare “in astratto”: intercede, ma interviene anche con passi concreti, con parole e gesti di riconciliazione.
La sua autorevolezza non nasce dal ruolo, ma dalla trasparenza della vita: le penitenze severe che impone a sé stessa, l’obbedienza umile, il rifiuto di ogni privilegio, la disponibilità ai lavori più umili. La comunità la riconosce come madre proprio perché la vede prima di tutto sorella, che porta su di sé il peso di tutte.

La croce nel cuore: morte, segni e culto

Il 17 agosto 1308, Chiara muore nel monastero di Santa Croce. Muore cantando, in un clima di incomprensibile gioia: «Belgliè, belgliè, belgliè vita eterna! Non mi si afà, Signore, sì gran pagamento!». Subito dopo la morte, le monache decidono di conservare il corpo. Il giorno seguente, ricordando il ritornello con cui Chiara descriveva la propria esperienza – «Io ajo Jesu Cristo mio crucifisso entro lo core mio» – aprono il cuore e vi trovano segni reali della Passione di Gesù. Non un simbolo scolpito, ma una vera impronta anatomica, che ancora oggi si venera insieme al corpo incorrotto nel santuario di Montefalco.

Quella croce impressa nel cuore non è un prodigio isolato e spettacolare: è il sigillo visibile di una vita interamente plasmata dalla passione d’amore di Cristo, che “ha dato tutto per tutti fino alla fine”. L’incontro tra la croce e il corpo di Chiara diventa un segno potente della tenerezza esigente del Padre, che affida a una creatura l’avventura di condividere, in modo misterioso e reale, l’amore del Figlio per il mondo.

Una vita “sprecata” solo per chi non conosce il valore dell’amore

Gli autori spirituali parlano della vita di Chiara come di una “vita sprecata”: sprecata secondo la logica dell’efficienza, spalancata invece, secondo il Vangelo, alla logica dell’amore. È una vita nata dal battesimo, da quel “tuffo nel mare dell’amore di Dio che inzuppa la vita come una spugna”: un’esistenza “confiscata dall’Assoluto”. Una delle immagini più belle tramandate dalle fonti è quella di Chiara che, vedendo i propri difetti e la propria ingratitudine, entra all’oratorio amareggiata, partecipa alla Messa e, elevata spiritualmente, si vede immersa in Dio come una piccola catinella in mezzo al mare: totalmente avvolta dall’Infinità divina e tuttavia “quasi nulla” di fronte a lui. Una coscienza della propria piccolezza che non schiaccia, ma libera.

Per lei, “la vita dell’anima è l’amore di Dio”: l’anima unita a Dio vuole ciò che Dio vuole, e Dio vuole ciò che desidera un’anima pienamente consegnata a lui. È la formula della vera libertà cristiana: non l’arbitrio di chi “fa ciò che vuole”, ma la consonanza di chi si lascia trasformare dall’amore.

Una santità che parla ancora

Oggi, a Montefalco, il santuario di Santa Chiara della Croce – con il corpo incorrotto, il cuore con i segni della Passione, la cappella affrescata di Santa Croce, il giardino dove, secondo la tradizione, fiorì l’albero nato dal bastone del Pellegrino – è meta di pellegrini che portano nel silenzio del chiostro le stesse domande di allora: sul senso della sofferenza, sul rapporto tra libertà e verità, sulla possibilità di una vita unificata. Questa mattina Leone XIV, legato da anni a questo santuario – che frequentava già da Priore generale dell’Ordine, quando vi si recava per celebrare e incontrare le monache – ha fatto visita alla comunità per la prima volta dopo l’elezione al soglio di Pietro. Ha presieduto la celebrazione eucaristica presso le reliquie di Santa Chiara e si è fermato a pranzo con le religiose. Era presente anche S.E.R. Mons. Renato Boccardo, Arcivescovo di Spoleto-Norcia.

Le parole che utilizza sant’Ireneo sembrano scritte per Santa Chiara: «La gloria di Dio è l’uomo vivente, ma la vita dell’uomo è la visione di Dio». La vita di Chiara è proprio questo: uno sguardo fisso su Dio che non dimentica mai i fratelli, ma li porta nel cuore fino a lasciarselo “segnare” dalla croce. Presa dalla totalità dell’amore, si è data a tutti senza misura, preparandone i cuori ad accogliere il Signore. In un tempo che spesso separa interiorità e responsabilità pubblica, sentimento religioso e intelligenza della fede, Chiara di Montefalco rimane una figura sorprendentemente attuale: una donna di fuoco, capace di unire l’estasi e il discernimento, la contemplazione e il coraggio di denunciare l’errore, la gioia dei misteri di Dio e il realismo della storia, portata nel cuore – come una croce – per amore di tutti.