Città del Vaticano - L’intervista concessa da Papa Leone XIV alla giornalista Elise Ann Allen, in occasione della pubblicazione della biografia León XIV: ciudadano del mundo, misionero del siglo XXI, si rivela uno sguardo privilegiato sul pensiero e sulle priorità di un pontificato appena iniziato.

Con calma e lucidità, il Papa affronta i nodi che dividono la Chiesa e il mondo: dalla polarizzazione sociale e culturaleall’impatto delle nuove tecnologie, dal ruolo delle donne nella comunità ecclesiale alla complessa questione LGBTQ+, fino ai dibattiti più accesi sulla liturgia e sul futuro delle Conferenze episcopali.

Le sue parole non offrono soluzioni immediate, ma aprono prospettive. Richiamano alla necessità di custodire valori essenziali – vita, famiglia, dignità della persona – senza cedere a ideologizzazioni né a semplificazioni. Leone XIV si mostra fedele alla tradizione, ma allo stesso tempo attento a un ascolto che non esclude nessuno, cercando di riportare il confronto ecclesiale al cuore del Vangelo.


Domanda: Questa era la mia prossima domanda: la polarizzazione, perché oggi è una parola di moda, dentro e fuori la Chiesa. Come pensa che si possa risolvere?

Papa Leone XIV: Una cosa è porre il tema e un’altra è parlarne davvero. È molto importante avviare una riflessione più profonda, cercando di capire perché il mondo sia così polarizzato. Che cosa sta accadendo? I motivi sono tanti. La crisi del 2020 e la pandemia hanno avuto un effetto in tutto questo, ma credo che sia iniziato molto prima. Forse, in alcuni contesti, anche la perdita di un senso più alto della vita umana ha avuto un peso. Il valore della vita, il valore della famiglia, il valore della società. Se perdiamo il significato di questi valori, che cosa resta che conti davvero? A questo si aggiungono altri fattori. Uno molto significativo è il divario sempre più ampio tra i redditi della classe lavoratrice e quelli dei più ricchi. Ad esempio, i direttori esecutivi che sessant’anni fa potevano guadagnare quattro o sei volte lo stipendio di un operaio, oggi, secondo gli ultimi dati che ho visto, guadagnano seicento volte di più rispetto a un lavoratore medio. Ieri ho letto la notizia che Elon Musk diventerà il primo trilionario del mondo. Che cosa significa questo? Di cosa stiamo parlando? Se oggi è solo questo ad avere valore, allora siamo di fronte a un grande problema. Dobbiamo affrontare queste questioni: la crisi che ci attende con la tecnologia, l’intelligenza artificiale, il mondo del lavoro, la possibilità di avere abbastanza posti per tutti… Se automatizziamo tutto e soltanto pochi hanno i mezzi non solo per sopravvivere, ma per vivere bene, per condurre una vita significativa, allora abbiamo davanti un problema enorme. Questa era una delle questioni che avevo in mente quando ho scelto il nome Leone, pensando a ciò che sta accadendo oggi e alle sfide che ci attendono. Vorrei tornare più avanti al tema dell’intelligenza artificiale e alla crisi che lei ha descritto, ma per quanto riguarda la polarizzazione e la divisione di cui parlava, non è un segreto che abbiano avuto un impatto significativo sul pontificato di Francesco, sulle critiche che ha ricevuto e su come è stato percepito.

Domanda: È qualcosa che la preoccupa ora che assume lo stesso ruolo?


Papa Leone XIV:
Tornando a quello che considero il mio compito, non sento il bisogno di complicarlo: il mio ruolo è annunciare la Buona Novella, predicare il Vangelo. Credo che il Vangelo affronti già alcune di queste questioni, partendo dal fatto che siamo figli e figlie di Dio, il Creatore, che ha mandato suo Figlio, incarnato in mezzo a noi, per insegnarci il valore della vita umana, senza mai perdere di vista la prospettiva della vita eterna. Se perdi questo orizzonte, perdi la bussola: rischi di vagare invano, senza sapere dove andare. Per questo, non considero il mio compito principale quello di essere il risolutore dei problemi del mondo. Non è questo il mio ruolo, anche se credo che la Chiesa abbia una voce, un messaggio che deve continuare a essere annunciato, proclamato e proclamato ad alta voce. I valori che la Chiesa porta nel confronto con le grandi crisi globali non nascono dal nulla: vengono dal Vangelo, da un punto chiaro che ci mostra come comprendiamo le relazioni tra Dio e noi, e tra noi stessi. Bisogna tornare alle cose più basilari: rispettarci a vicenda, rispettare la dignità umana. Da dove viene questa dignità? E come possiamo usare questo rispetto come punto di partenza per dire che il mondo può essere un posto migliore, dove possiamo trattarci meglio gli uni gli altri? Ci sono stati periodi in cui questa voce è andata persa, è stata ignorata o sottovalutata. Eppure è molto interessante ciò che accade oggi in Paesi come la Francia, che per molto tempo è stata considerata tra le nazioni più secolarizzate. Ieri ho incontrato un gruppo di giovani francesi: lo scorso anno migliaia di loro, ormai giovani adulti, hanno liberamente chiesto il battesimo. Vogliono entrare nella Chiesa perché hanno compreso che le loro vite sono vuote, che manca loro qualcosa, che non hanno un senso, e stanno riscoprendo ciò che la Chiesa ha da offrire. In questo senso, credo che la mia missione sia chiara: chiedersi da dove partiamo, dove vogliamo andare e, soprattutto, come questo messaggio può avere significato anche guardando alla geopolitica e alle situazioni di cui stiamo parlando.

Domanda: Due dei temi più controversi emersi dal Sinodo sulla sinodalità, per il dibattito che hanno generato, sono stati il ruolo della donna nella Chiesa e l’approccio della Chiesa verso la comunità LGBTQ+. Quali sono state le sue riflessioni sulla discussione di questi due temi e come intende affrontarli ora nel suo nuovo ruolo di papa?

Papa Leone XIV: In maniera sinodale. Per la maggior parte delle persone è chiara la comprensione che il ruolo della donna nella Chiesa debba continuare a svilupparsi. Penso che in questo senso ci sia stata una risposta positiva. Spero di proseguire sulle orme di Francesco, includendo la nomina di donne in alcuni ruoli di leadership, a diversi livelli, nella vita della Chiesa, riconoscendo i loro doni e il contributo che possono offrire in molti modi. La questione diventa controversa quando si pone la domanda specifica sull’ordinazione. Il Sinodo aveva parlato nello specifico dell’eventuale ordinazione di donne diaconesse, un tema che è stato studiato per molti anni. Diversi papi hanno istituito varie commissioni per domandarsi: cosa possiamo fare al riguardo? Credo che continuerà a essere una questione aperta. Io, per il momento, non ho intenzione di cambiare l’insegnamento della Chiesa su questo punto. Penso che vi siano alcune domande preliminari che devono essere affrontate. Faccio solo un piccolo esempio. All’inizio di quest’anno, durante il Giubileo dei diaconi permanenti – ovviamente tutti uomini – erano presenti anche le loro mogli. Ho avuto una catechesi con un gruppo piuttosto numeroso di diaconi permanenti di lingua inglese. L’inglese è uno dei gruppi meglio rappresentati, perché ci sono parti del mondo che non hanno mai realmente promosso il diaconato permanente, e questo di per sé diventa una domanda: perché dovremmo parlare di ordinare donne al diaconato se questo stesso ministero non è ancora compreso correttamente e non è stato sviluppato e promosso in modo adeguato all’interno della Chiesa? E quali sono le ragioni di ciò? Per questo, anche se penso che al tempo del Concilio ci sia stata un’ispirazione significativa quando il diaconato permanente è stato ripristinato, in molte parti del mondo non è diventato ciò che alcune persone pensavano potesse essere. Pertanto, credo che vi siano alcune questioni da affrontare attorno a questo tema. Mi chiedo anche, come ho osservato in una delle conferenze stampa del Sinodo, in relazione a ciò che spesso è stato identificato come clericalismo nelle strutture attuali della Chiesa: vogliamo semplicemente invitare le donne a clericalizzarsi, e cosa risolverebbe realmente questo? Forse ci sono molte cose da esaminare e sviluppare in questo momento prima di poter arrivare davvero a porci le altre domande. Ecco come vedo la situazione al momento. Certamente sono disponibile a continuare ad ascoltare le persone. Esistono gruppi di studio, come il Dicastero per la Dottrina della Fede, che continuano a esaminare il retroterra teologico e la storia di alcune di queste questioni, e cammineremo insieme su questo percorso per vedere quali risultati emergeranno.

Domanda: Solo un rapido seguito sul tema LGBTQ+. Può essere un argomento molto ideologico. Tuttavia, al di là di ogni visione ideologica, credo che la gente abbia percepito che sotto Francesco se ne parlava in un modo diverso, con un tono diverso. Quale sarà il suo approccio?

Papa Leone XIV: Non ho un piano preciso in questo momento. Mi è già stato chiesto un paio di volte in questi primi due mesi sul tema LGBTQ. Ricordo ciò che un cardinale dell’area orientale del mondo mi disse prima che diventassi papa: «L’Occidente è ossessionato dalla sessualità». Per alcune persone, l’identità coincide solo con l’identità sessuale, mentre per molte altre, in altre parti del mondo, non è affatto una questione centrale nel modo in cui dobbiamo relazionarci gli uni con gli altri. Confesso che questa osservazione mi rimane in mente, perché, come abbiamo visto nel Sinodo, qualsiasi tema legato alle questioni LGBTQ genera fortissime polarizzazioni nella Chiesa. Per ora, ciò che ho cercato di mostrare e vivere riguarda soprattutto la mia comprensione del matrimonio sacramentale, in questo momento della storia, nel mio essere papa. Ma so bene che anche solo dirlo potrà essere recepito male da alcuni. Nel Nord Europa, ad esempio, si stanno già pubblicando rituali per benedire «le persone che si amano», come viene espresso. Ma questo va chiaramente contro il documento approvato da papa Francesco, Fiducia Supplicans, che afferma: certamente si possono benedire tutte le persone, ma non si deve cercare di ritualizzare un certo tipo di benedizione, perché questo non corrisponde all’insegnamento della Chiesa. Questo non significa che quelle persone siano cattive, ma credo sia fondamentale capire come accogliere chi è diverso da noi, rispettare le persone che compiono scelte di vita differenti. Sono consapevole che questo resta un tema controverso, e che alcuni avanzeranno richieste precise: il riconoscimento del matrimonio omosessuale, ad esempio, o delle persone trans, affinché tutto ciò sia ufficialmente approvato e riconosciuto dalla Chiesa. Gli individui, però, saranno sempre accolti. Qualsiasi sacerdote ha ascoltato confessioni di ogni tipo di persona, con problemi, situazioni di vita e scelte diverse. L’insegnamento della Chiesa continuerà a rimanere com’è, e su questo non ho altro da aggiungere, se non che lo ritengo molto importante. Le famiglie devono essere sostenute, in particolare quella che si definisce tradizionale: padre, madre e figli. Il ruolo della famiglia nella società, duramente colpito nelle ultime decadi, va riconosciuto e rafforzato. Mi chiedo se la polarizzazione e il modo in cui le persone si trattano tra loro non dipendano anche dal fatto che molti non sono cresciuti dentro una famiglia in cui si imparava ad amarsi, a convivere, a sopportarsi e a costruire legami di comunione. Questo è la famiglia. Se togliamo questo blocco fondamentale, diventa molto difficile apprendere tali dinamiche in altro modo. Ci sono alcuni aspetti chiave che devono essere considerati. Io sono ciò che sono perché ho avuto un rapporto meraviglioso con mio padre e mia madre. Hanno vissuto un matrimonio felice per oltre quarant’anni. Ancora oggi la gente lo nota, anche con i miei fratelli. Restiamo molto uniti, pur avendo posizioni politiche molto diverse. Nella mia esperienza, questa è stata una componente essenziale per ciò che sono e per come posso essere ciò che sono oggi.

Domanda: Un altro rapido seguito sul Sinodo. Oltre ai gruppi di studio già istituiti, lei ne ha creati due nuovi: uno sulla liturgia e uno sulle Conferenze episcopali e le Assemblee ecclesiali. Perché? Su cosa si dovrebbe riflettere?

Papa Leone XIV: In realtà erano già stati approvati da Francesco, proprio alla fine del suo pontificato. Entrambi sono nati come sviluppo di altri temi affrontati dal Sinodo. Le Conferenze episcopali, ad esempio, hanno avuto origine in America Latina, prima del Concilio, e si sono sviluppate molto di più durante il Concilio, rispetto al loro ruolo nel sostenere la vita della Chiesa in ogni Paese o regione. In generale, c’è stato grande apprezzamento per il ruolo delle Conferenze episcopali. Oggi non ci troviamo più nella situazione in cui un vescovo, da una parte del fiume, predica una cosa, e il vescovo dall’altra parte ne fa un’altra del tutto diversa. Ci si riunisce, si cerca di affrontare insieme le questioni, elaborare politiche comuni o approcci condivisi, a seconda del contesto culturale, linguistico, pastorale. Su questo piano, il valore è stato evidente. La questione che resta aperta da anni è quanta autorità reale si possa attribuire a una Conferenza episcopale. Il dibattito teologico va avanti dal Vaticano II, perché il successore degli apostoli è il singolo vescovo, non la Conferenza episcopale. Questo ha generato tensioni: fino a che punto una Conferenza può prendere decisioni che vincolino tutti i vescovi? Il Sinodo ha espresso il desiderio di approfondire questo punto, per verificare se le Conferenze episcopali possano avere un ruolo più rilevante nel favorire unità e decisioni utili per la vita della Chiesa nelle diverse regioni. In parallelo si sta studiando anche il ruolo dei nunzi apostolici. È ragionevole che una Chiesa regionale rifletta e scelga approcci più adatti al proprio contesto, invece che ogni vescovo proceda da solo. È un modo per sostenere i vescovi nel loro ministero. Alcuni hanno sollevato anche la questione dell’autorità «dottrinale» delle Conferenze. Questo termine, tradotto in modi diversi durante il Sinodo, ha creato confusione. Alcuni vescovi di lingua inglese si sono allarmati pensando che, ad esempio, i vescovi dell’Europa del Nord potessero modificare la dottrina su matrimonio e divorzio, rapporti omosessuali o poligamia. Anche i vescovi africani hanno posto questioni difficilmente conciliabili con la dottrina formale. Le traduzioni diverse del termine hanno reso il dibattito ancora più complesso.

Domanda: E riguardo al gruppo di studio sulla liturgia? Su cosa si sta riflettendo? È legato alle divisioni sulla Messa tradizionale in latino o al nuovo rito amazzonico?

Papa Leone XIV: La motivazione principale riguarda l’inculturazione della liturgia, cioè come rendere la celebrazione più significativa dentro una determinata cultura e in un contesto preciso. Questo è stato il punto centrale.

C’è però anche un altro tema, già molto controverso, che ho ricevuto in diverse lettere: il ritorno della Messa in latino. Ma la Messa in latino si può già celebrare, se si tratta del rito del Vaticano II, non c’è problema. Diversa è la questione tra la Messa tridentina e quella riformata da Paolo VI. Non è chiaro come evolverà, ed è molto complesso. Parte del problema è che la liturgia è stata usata come strumento politico, diventando un pretesto per portare avanti altre battaglie. A volte anche la celebrazione della Messa del Vaticano II è stata fatta in modo tale da non favorire una vera esperienza di preghiera e di incontro con il mistero della fede, spingendo alcuni a cercarla nella Messa tridentina. Ci siamo polarizzati anche su questo: ma davvero, se celebrassimo bene la liturgia del Vaticano II, ci sarebbe tutta questa differenza? Non ho ancora avuto l’occasione di sedermi con un gruppo di persone che sostengono la Messa tridentina. Succederà presto, e ci saranno occasioni per parlarne. Ma è un tema che richiede dialogo. Il problema è che ormai la polarizzazione è tale che spesso le persone non sono neppure disposte ad ascoltarsi. Ho sentito vescovi che mi hanno raccontato: «Li invitiamo a incontri, ma non vogliono nemmeno ascoltare». Questa chiusura è un problema. Significa che siamo nel campo dell’ideologia, non più nella comunione della Chiesa. E questo è uno dei temi che dobbiamo affrontare.

d.G.A.
Silere non possum