Un gesto semplice e spontaneo ha segnato l’udienza che ieri Leone XIV ha offerto ai ragazzi dell’Azione Cattolica. Al termine dell’incontro, il Papa ha compiuto un’azione che non era nel discorso; eppure, lo ha chiarito meglio di qualsiasi parola: una bambina in sedia a rotelle si è avvicinata e lui, per salutarla, si è inginocchiato. Non un gesto costruito per l’obiettivo, non una scena pensata a favore di telecamera, ma un modo immediato di raggiungerla. Per parlare non a lei, ma con lei. Per mettersi, letteralmente, alla sua altezza.
Davanti a quell’immagine ho pensato a una cosa semplice e feroce: noi adulti - anche quando siamo pieni di buone intenzioni - siamo spesso incapaci di fare questo movimento. Non un semplice movimento delle ginocchia ma un movimento del cuore. Ci sono gesti che dicono “ti vedo” e gesti che dicono “ti sopporto”. Ci sono sguardi che lasciano spazio e sguardi che lo occupano. Quel ginocchio a terra non ha abbassato il Papa: ha alzato la bambina. Perché la dignità non è una medaglia che ti mettono al collo quando sei forte; è una luce che ti appartiene anche - soprattutto - quando sei fragile.
La fragilità ci fa paura. Ci rimette davanti a ciò che preferiamo ignorare: non siamo invincibili, il corpo non è una proprietà ma un prestito, la vita non la tieni in pugno. E quando abbiamo paura facciamo quasi sempre la stessa cosa: accendiamo la fretta. La fretta è una forma educata di indifferenza: ti offre l’alibi più comodo, “scusa, non posso fermarmi”. Ma il punto, spesso, non è che non puoi: è che non vuoi lasciarti toccare.
Ieri, nella Sala del Concistoro, quell’uomo vestito di bianco che da qualche mese a questa parte sta cambiando il passo della Chiesa con una gentilezza e un sorriso di cui molti avevano nostalgia, mentre attorno cresce un silenzio mediatico che tenta in tutti i modi di oscurarne la portata, ha scelto l’opposto della fretta: si è fermato. E lo ha fatto senza calcolo, con la stessa spontaneità con cui compie moltissimi gesti semplici ma straordinari.
E mentre il Papa parlava ai ragazzi di presepi e di Natale, quella scena diceva la verità più grande del presepe: Dio non arriva in piedi, con i riflettori addosso; arriva piccolo, arriva bussando, arriva chiedendo spazio. E mentre chiede spazio, lo crea. “Quando il Figlio di Dio viene nel mondo non trova spazio in una casa, ma bussa al nostro cuore proprio mentre apre il suo per accogliere tutti con amore”, ha detto Leone XIV. Ecco: quel ginocchio a terra è un cuore che si apre in pubblico. Non per mostrarsi, ma per indicare una strada.
M.P.
Silere non possum