Città del Vaticano - Sono iniziate, ancor prima del processo di appello, le pressioni della stampa e di alcuni ambienti ecclesiali sul Pontefice riguardo al caso Sloane Avenue. Editoriali, post e articoli si moltiplicano: ciascun giornalaio prende posizione, ma sempre con la stessa logica binaria. O si è a favore degli imputati, o si è contro di loro. Lo abbiamo già spiegato in questo articolo: la complessità non trova spazio. Sui social, dove pullulano millantatori di titoli e personaggi che usano un linguaggio volgare e imbarazzante, non si riesce ad avviare un ragionamento serio che tenga conto di tutti gli aspetti di una vicenda.

Ancora più preoccupante è che queste teorie vengano rilanciate non solo online, ma anche su alcuni quotidiani, da chi scrive mosso da interessi personali. “Sono amico di un imputato? Lo difendo. Mi è antipatico? Lo attacco. Il Promotore di Giustizia mi passa le notizie e presenta i miei libri? Allora lo sostengo”. La complessità, in questi schemi, non esiste. Occorre invece tornare a ciò che conta: i fatti e i documenti. Non le parole sconclusionate di faccendieri che sbagliano persino i nomi, i riferimenti e – con sprezzo del ridicolo – anche il latino.

Un rischio evidente, che molti stanno correndo dal giorno dell’elezione di Leone XIV, è leggere questo pontificato con le stesse lenti del 2013. Alcuni ragionano così: “Papa Francesco prendeva posizione e si intrometteva, perché non deve farlo anche Leone?”. Un ragionamento semplice, forse persino comprensibile, ma privo di logica. Se abbiamo criticato Francesco per essersi intromesso, perché dovremmo ora chiedere a Leone di fare lo stesso – ma a nostro favore? Se il Papa non deve intervenire negli affari giudiziari, non deve farlo, a prescindere.

Le decisioni di pancia

Questo ragionamento deve applicarsi per il processo penale, per la guerra ecc…Il Vicario di Cristo, inoltre, deve usare prudenza nelle parole: è un capo di Stato, con una diplomazia da far funzionare, e al tempo stesso un riferimento per milioni di cattolici le cui vite possono essere compromesse da dichiarazioni avventate. Senza dimenticare l’aspetto della verità. 

Qui la differenza è netta. Robert Francis Prevost non è un uomo che parla a vanvera, né si lascia guidare dal personaggio ideologizzato di turno che è stato da lui in udienza. Con Francesco era diverso: bastava che un cardinale agrigentino gli mostrasse un video di dubbia provenienza perché, dopo qualche giorno, accusasse l’ex ministro di uno Stato estero di essere un “criminale di guerra”. O che un autista – con una vita professionale su cui è meglio stendere un velo pietoso - gli parlasse di “frociaggine” e gli passasse dossier illegali prodotti con strumenti della Gendarmeria Vaticana, e lui ne ripeteva i termini volgari davanti a vescovi e preti. Così come prendeva decisioni basate su quegli stessi dossier costruiti senza alcuna certezza di veridicità e utilità. 

Questo era Jorge Mario Bergoglio. Ma, per fortuna, non è così che opera Leone XIV.

Lo stile di Leone XIV

Il nuovo Pontefice si trova ancora a dover comprendere molte dinamiche che gli sono piombate addosso dall’8 maggio 2025. Ha accanto un segretario leale e affidabile, ma è consapevole che attorno a lui non tutti meritano la stessa fiducia. Tuttavia, chi ricopre da anni ruoli di responsabilità in questo piccolo Stato resta indispensabile per comprendere il funzionamento della “macchina”. Con discrezione e senza proclami, Prevost sta raccogliendo attorno a sé altri collaboratori di fiducia. Ma questo richiede tempo, e non saranno certo i soliti personaggi imbarazzanti – quelli che popolano le bacheche dei social o le pagine dei quotidiani con analisi raffazzonate, fatte di copia-incolla ed errori grossolani – a stabilirne il ritmo.

Lo stile che Leone XIV intende adottare ricalca quello dei suoi predecessori da Giovanni Paolo II in avanti: il Papa è consapevole che ci sono organi giudiziari che operano in suo nome. Non possiamo pensare che intervenga per orientare i giudici in una sentenza, neppure nel caso del processo Sloane Avenue. Prevost ha guardato a questo procedimento come lo hanno guardato i cardinali: all’inizio molti ritenevano che Becciufosse colpevole, proprio per non intaccare la fiducia nel Papa. “Se il Pontefice ha preso un provvedimento così drastico prima ancora del processo, dev’esserci un motivo gravissimo”, dichiarava un porporato all’indomani del 24 settembre 2020. Con il tempo, però, sono emersi documenti, testimonianze ed evidenze che hanno mostrato tutt’altro scenario, dietro il quale spuntava, guarda caso, il nome della pregiudicata Francesca Immacolata Chaouqui.

Persino cardinali non certo amici di Becciu hanno raccontato episodi nei quali il Papa dava il suo assenso e poi negava. Lo stesso Parolin ha riconosciuto che la pratica fosse ormai consuetudine. Quando Francesco fu ricoverato al Gemelli, il Segretario di Stato entrò nella sua stanza accompagnato dal Sostituto per gli affari generali: segno di quanto fosse necessario avere testimoni. Leone XIV è pienamente consapevole di questo passato, come anche del ruolo discutibile di organi inquirenti e della Gendarmeria Vaticana, che agirono in violazione delle leggi, facendosi firmare dal Papa atti contrari allo stato di diritto.

Oltre il Tribunale

Il nuovo Pontefice non entrerà dunque nel merito giuridico del processo: spetta agli organi preposti. Ma può vigilare su chi gestisce queste funzioni. Ha infatti il potere di rimuovere il Promotore di Giustizia Alessandro Diddi, che ha dimostrato non solo inadeguatezza, ma anche interessi personali nel procedimento, arrivando a omissare messaggi rilevanti. Una rimozione sarebbe legittima, per tutelare l’immagine della Santa Sede. Onde evitare un coinvolgimento diretto del Pontefice, già la Corte d’Appello può adottare questo provvedimento anche solo favorendo la ricusazione.  Il Papa potrebbe perfino avocare a sé la vicenda e decidere il procedimento direttamente. La legge lo consente, ma non è sua intenzione né corrisponde al suo temperamento.

Dire, quindi, che questo processo sia il banco di prova del pontificato è falso. Lo ha detto chiaramente lui stesso a luglio: il compito primario del Papa non è governare uno Stato, ma “annunciare il Vangelo e Gesù Cristo. Tutto il resto – pur importante – è conseguente.

p.G.A.
Silere non possum