Roma - Nel cuore della città, tra le rovine che hanno visto sorgere e cadere imperi, il Pontefice -rientrato da Castel Gandolfo dopo alcune ore di riposo - si è unito in preghiera con i rappresentanti delle grandi religioni del mondo. L’anfiteatro Flavio, luogo di dolore e di memoria, si è fatto per un tempo breve ma intenso una dimora condivisa, dove uomini e donne di fedi diverse hanno levato una sola invocazione: la pace.
L’occasione è stata la chiusura dell’Incontro Internazionale “Osare la pace”, promosso dalla Comunità di Sant’Egidiodal 26 al 28 ottobre. Un evento che da quasi quarant’anni raccoglie, sulle orme di Assisi 1986, la voce delle religioni per dire che la guerra non è mai inevitabile, e che la preghiera è ancora la forza più disarmata e disarmante della storia.
“Basta guerre, con i loro dolorosi cumuli di morti, distruzioni, esuli”
Quando il Pontefice ha preso la parola, il Colosseo era immerso in un silenzio quasi sacro. “La pace è un cammino permanente di riconciliazione”, ha detto. E poi, con tono fermo: “Basta guerre, con i loro dolorosi cumuli di morti, di distruzioni, di esuli! Mai la guerra è santa, solo la pace è santa, perché voluta da Dio.” Il Papa ha invitato a “non rassegnarsi all’idea che il conflitto sia parte della normalità umana”, chiedendo che tramonti al più presto “questa stagione segnata dalla prepotenza della forza”. Il suo è stato un appello che ha attraversato la folla e le mura antiche come un vento di verità: “È il grido dei poveri e della terra. Basta! Signore, ascolta il nostro grido!”
Il respiro dello “spirito di Assisi”
Da Giovanni Paolo II a Francesco, fino a Leone XIV: il filo di Assisi continua a tessere la trama della fraternità. “Ricominciamo da lì”, ha esortato il Papa, ricordando il sessantesimo anniversario della Dichiarazione “Nostra aetate” del Concilio Vaticano II, che aprì la strada a un nuovo rapporto tra la Chiesa e le religioni. “Tutti i credenti sono fratelli, e le religioni, da sorelle, devono favorire che i popoli si trattino da fratelli, non da nemici”. Nel Colosseo, i colori dei diversi abiti religiosi - zucchetti, kippah, turbanti, chador - disegnavano una mappa viva dell’umanità.
La pace come dovere politico
Richiamando le parole di Giorgio La Pira, Leone XIV ha parlato della necessità di una “storia diversa del mondo: una storia negoziale, senza guerra”. Poi ha rivolto un appello diretto ai governanti: “Mettere fine alla guerra è dovere improrogabile di tutti i responsabili politici di fronte a Dio. La pace è la priorità di ogni politica. Dio chiederà conto a chi non ha cercato la pace.” Il Pontefice ha definito “la cultura della riconciliazione” l’unica forza capace di vincere quella che ha chiamato “globalizzazione dell’impotenza”, cioè la rassegnazione collettiva all’idea che un altro mondo non sia possibile.
Le candele della speranza
Al termine, il gesto che ha racchiuso il senso dell’intera giornata: ventidue leader religiosi hanno acceso insieme un grande candelabro. Leone XIV ha acceso la prima fiamma, seguito dagli altri. “La luce della speranza di pace nel buio della guerra”, hanno spiegato. La musica si è alzata, e nella piazza si sono levati cartelli con la parola pace in decine di lingue. Poi, un gruppo di bambini - tra loro alcuni provenienti da Gaza - ha ricevuto l’Appello di Pace, il documento conclusivo del meeting, “lettera di sogni e speranze” destinata ai rappresentanti della politica mondiale. Seppur viviamo in un mondo che sembra aver dimenticato la fiducia, Leone XIV ci ricorda che la pace non si proclama: si costruisce. E che, prima ancora di essere un accordo, è una conversione del cuore.
d.E.A.
Silere non possum