Città del Vaticano – La Messa è un momento di festa e di gioia. In effetti, come non provare gioia nel cuore alla presenza di Gesù? Ma la messa è, al tempo stesso, un momento serio, solenne, intriso di gravità. Possano il vostro atteggiamento, il vostro silenzio, la dignità del vostro servizio, la bellezza liturgica, l’ordine e la maestà dei gesti introdurre i fedeli nella grandezza sacra del Mistero”. Leone XIV avvia così l’incontro con centinaia di ministranti francesi in pellegrinaggio a Roma. Non una lezione, ma un piccolo itinerario spirituale, scandito da tre accenti netti: Giubileo come conversione, speranza fondata su Cristo, centrale dell’Eucaristia. E, a coronamento, un invito franco ad ascoltare la voce di Dio, anche in una possibile chiamata alla vocazione sacerdotale.

Il Giubileo come invito alla conversione

Il Papa colloca subito il pellegrinaggio nel contesto dell’Anno Santo, sottraendolo alla retorica dell’evento e riportandolo alla pratica della conversione: «Quando veniamo a Roma e varchiamo la Porta Santa, Egli ci aiuta a “convertirci”, ossia a volgerci verso di Lui, a crescere nella fede e nel suo amore…».

Non un gesto simbolico, dunque, ma un passaggio reale: prendere tempo per «parlare a Gesù nel segreto del cuore», lasciando che diventi «il vostro migliore amico, quello più fedele».

«Solo Gesù salva»: la speranza come ancora

Il secondo movimento è cristologico e senza attenuanti: la speranza non è un sentimento vago, è una Persona.

«La risposta è perfettamente chiara… solo Gesù viene a salvarci… “Non c’è alcun altro nome sotto il cielo…”»

Il Papa non elude le ferite — malattia, disabilità, lutti, fallimenti — e pone la sequenza delle domande che abita ogni cuore («Chi verrà a salvarci?»). La risposta è un’ancora, non un analgesico: «Questa speranza sarà sempre… come un’ancora sicura, gettata verso il cielo, che vi permetterà di continuare il cammino.» Qui emerge la pedagogia di Leone XIV: legare l’emozione all’adesione. Non basta “sentire” speranza; occorre mettere Gesù al centro e «imprimere nel cuore» la Parola.

Il cuore della fede: «Dio ci ha amati fino a morirne»

La parte più densa è soteriologica e affettiva insieme: «Non c’è amore più grande di dare la vita… (Gv 15,13)… Dio, il creatore del cielo e della terra, ha voluto soffrire e morire per noi… Dio ci ha amati fino a morirne!»

La formula è forte, quasi spiazzante nella sua semplicità. Il Papa lega Croce e Risurrezione, evitando ogni sentimentalismo: l’evento più importante della storia genera una vita “imperitura” che oggi «si prende cura di noi». È una catechesi che sottrae la speranza all’ottimismo psicologico e la restituisce alla memoria del Pasqua.

«Il tesoro dei tesori»: Eucaristia e ars celebrandi

Il passaggio successivo è una vera mistagogia eucaristica. L’affermazione è perentoria: «L’Eucaristia è il tesoro della Chiesa, il tesoro dei tesori… Tra le mani del sacerdote… Gesù dona ancora la sua vita sull’altare… La celebrazione della Messa ci salva oggi! Salva il mondo oggi!»

Due correzioni di rotta pastorali emergono con chiarezza dalle parole del Papa e sono un chiaro monito anche ai parroci:
La Messa non è un dovere ma un bisogno: «il bisogno della vita di Dio che si dona senza chiedere nulla in cambio».
La forma celebra il contenuto: ai ministranti il Papa consegna un lessico quasi monastico — «atteggiamento», «silenzio», «dignità», «bellezza liturgica», «ordine», «maestà dei gesti» — perché introducano i fedeli «nella grandezza sacra del Mistero».

Qui l’invito non è rubricistico, è missionario: la bellezza educa alla fede quando la forma è trasparente al Mistero.

«Una disgrazia per la Chiesa»: parole franche sulle vocazioni

Il passaggio vocazionale è volutamente schietto, senza giri di parole: «La mancanza di sacerdoti in Francia, nel mondo, è una grande disgrazia! Una disgrazia per la Chiesa!» Non è un allarme mediatico, è un giudizio ecclesiale che diventa proposta: «scoprire la bellezza, la felicità e la necessità» del sacerdozio. E la motivazione non è funzionale (“servono preti”), ma teologale: il sacerdote è l’uomo che incontra Gesù “al centro di ogni giornata” e lo dona al mondo. Domanda che resta: quali adulti, quali comunità, quale stile liturgico aiuteranno davvero un giovane a discernere questa chiamata?

Una paternità che interpella

Il discorso alterna esclamazioni ed interrogativi («Che cosa dobbiamo temere da un Dio che ci ha amati fino a questo punto?»), citazioni bibliche puntuali e imperativi discreti («mettere Gesù al centro», «perseverare fedelmente»). Non indulge in moralismi, punta sulla familiarità con Cristo: «Il suo unico desiderio è di far parte della vostra vita… di diventare il vostro migliore amico… Egli attende però la vostra risposta.»

È la grammatica della libertà cristiana: Dio bussa, non sfonda; chi apre, cena con Lui. In poche semplici parole Leone XIV ha offerto ai giovani francesi (e, per riflesso, alle nostre comunità) una via semplice e alta: attraversare il Giubileo come conversione reale; ancorare la speranza alla Signoria di Cristo; ritrovare nell’Eucaristia il «tesoro dei tesori» che “salva il mondo oggi”; pregare e lavorare perché il Signore chiami e trovi cuori disponibili. In poche parole Leone torna a parlare di sacerdozio, vocazione, Messa, sacrificio, preghiera…Qualcosa a cui qualcuno non era più abituato.

d.A.E.
Silere non possum