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Città del Vaticano - C’è un paradosso doloroso che attraversa oggi la Chiesa: nel tentativo – almeno apparente – di purificare le comunità religiose da presunte irregolarità o deviazioni, si sta replicando un sistema di abuso di potere e di manipolazione che nulla ha da invidiare alle logiche mondane che si vogliono combattere. Un parallelismo, tanto doloroso quanto reale, può essere fatto con il caso della giudice Silvana Saguto, magistrato italiano impegnato nella lotta alla mafia in Sicilia, la quale però gestiva i beni confiscati con logiche altrettanto mafiose. Quella che si presentava come una crociata per la giustizia si è rivelata, alla fine, un apparato parallelo di soprusi, favoritismi e violazioni della legge. Qualcuno, a ragione, l’ha definita: “La mafia dell’antimafia”.
Allo stesso modo, nella Chiesa contemporanea – in particolare all’interno di alcune dinamiche ecclesiastiche e nelle modalità adottate anche dal Dicastero per la Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica – si stanno verificando abusi di potere che colpiscono profondamente le persone e le comunità. Con il pretesto della tutela di alcuni singoli o gruppi minoritari all’interno di una comunità, si consumano vere e proprie epurazioni: abati, badesse, superiori e superiore vengono costretti a dimettersi in modo forzoso, senza un processo trasparente, spesso con accuse non verificate, e in alcuni casi neanche esplicitate agli interessati. Il primo interesse di questi/e superiori/e generali e commissari/e è cambiare le firme sul conto in banca.
Uno degli esempi più emblematici è quello della comunità di Bose, dove – come ben documentato da Silere non possum – sono stati allontanati il fondatore Enzo Bianchi e altri monaci e monache a lui vicini. Il tutto in un clima di totale mancanza di trasparenza e con gravissime violazioni delle leggi canoniche, oltre che del diritto naturale alla difesa e alla buona fama. Nessuna spiegazione pubblica, nessun confronto reale, solo provvedimenti imposti dall’alto. Il danno non è solo istituzionale: è spirituale e psicologico. Lascia delle ferite nelle persone e nelle comunità, anche alle comunità collegate a questi monasteri per motivi affettivi e spirituali.
Il cardinale Juan Luis Cipriani ha denunciato questa prassi in una lettera coraggiosa e lucida. Ha spiegato, con non poco dolore, che nella Chiesa oggi basta un’accusa per eliminare un nemico, senza preoccuparsi di chi la lancia, se ci sono prove, o quali siano le vere motivazioni per cui un’accusa è stata mossa. È il trionfo di una giustizia sommaria, in cui non conta più la verità, ma l’opportunità politica o ideologica.
In questo contesto, la confusione tra foro interno e foro esterno diventa devastante. Ci sono situazioni in cui chi è superiore di una Congregazione esercita anche la guida spirituale delle coscienze i alcuni dei suoi membri. Questo è palesemente un rischio grave. Quando l'autorità viene usata per esercitare un dominio, e il discernimento spirituale diventa manipolazione delle coscienze, siamo davanti a un abuso gravissimo. Hannah Arendt parlava della “banalità del male” per descrivere come persone comuni, convinte di fare il bene, possano contribuire a ingranaggi distruttivi. Lo stesso accade in ambito ecclesiale: ci sono persone che agiscono forse in buona fede, convinte di “salvare” una comunità o una persona, ma sono a loro volta strumentalizzate o accecate da ideologie, rancori o ambizioni personali.
Ancora più grave è quando tutto questo viene spiritualizzato. Le frasi che molte vittime di questi abusi si sono sentite dire sono inquietanti: “Lo facciamo per il tuo bene”, “Il Signore ti chiede di salire sulla croce”, “Io ti voglio bene ma devo agire così per il tuo bene, è Dio che te lo chiede”. Oppure, da parte di chi ha compiuto gravi abusi d'autorità ed è stato giustamente denunciato: “Ho imparato da San Francesco. Non denuncio perché voglio perdonare”. Parole che annullano ogni possibilità di giustizia, che mortificano la verità e rendono Dio complice di azioni scellerate. Affermazioni pronunciate da chi è consapevole di farla franca ed è forte del proprio potere. Il filosofo e psicologo M. Scott Peck, nel suo libro People of the Lie (Gente della menzogna), ha descritto come i manipolatori spirituali si travestano da persone religiose, coprendo il male con il linguaggio del bene. Anche all’interno della Chiesa, l’abuso spirituale è uno dei più gravi perché usa Dio come giustificazione.
Non è un caso che molti cardinali, vescovi, sacerdoti, religiosi e laici siano oggi esasperati da questa retorica. Non è più possibile restare in silenzio. Il Codice di Diritto Canonico dovrebbe prevedere pene severe per chi abusa della propria autorità o per chi offende la dignità delle persone e i tribunali ecclesiastici dovrebbero essere credibili. Giovenale si domandava: Quis custodiet ipsos custodes?
I protetti di Papa Francesco
Lo abbiamo visto con lo scandalo Rupnik, portato alla luce da Silere non possum, dove Papa Francesco ha protetto tutti coloro che avevano aiutato il religioso a evitare i processi. Sono stati usati i mezzi mediatici per offrire veline, come l’annullamento della prescrizione, ma in realtà tutto è rimasto così. Rupnik non ha mai reso conto di ciò di cui era accusato innanzi ad un tribunale indipendente.
Lo stesso vale per Mauro Gambetti, che continua a utilizzare i media per tentare di ripulire la propria immagine, replicando agli articoli di Silere non possum – ricchi di documenti e prove – con dichiarazioni che sono ridicole e scatenano le risa di molti, i quali commentano: “Come si fa a dire che sono attacchi senza senso se c’è il documento, chiaro, spiattellato sul sito?”
È chiaro, però, che queste persone vivono nel loro mondo e non si rendono conto che queste azioni peggiorano la loro posizione, la quale è stata
protetta per anni da Papa Francesco, ma al momento le sedie iniziano a tremare. Nelle ultime ore, l’Ordine dei Frati Minori Conventuali (di cui parleremo prossimamente)
ha ospitato Gambetti in un podcast, in quello che è sembrato un maldestro tentativo di riabilitazione pubblica. Ha fatto sorridere qualcuno il fatto che il frate che anche la sua famiglia non ha voluto in azienda, parli di lavoro.
Apparso in video con un saio che non indossa da oltre quattro anni – visibilmente stirato e ormai fuori misura –
Gambetti ha affermato che tutto ciò che si scrive su di lui è falso, ma che lui non denuncia, preferisce pregare. Sì, proprio lui che ai momenti di preghiera, anche del Papa defunto, è stato l’ultimo ad arrivare dando adito a commenti fra i porporati che sanno bene cosa sta facendo in questi anni in Basilica.
"Testa fra le nuvole", lo chiamano.
Chi afferma il falso? La Gendarmeria Vaticana o Mauro Gambetti? Chi ha proposto querela contro Alfio Pergolizzi attirandolo in Vaticano e traendogli una trappola? Silere non possum ha già smentito puntualmente queste affermazioni, documentando fatti e testimonianze che restano senza risposta. Gambetti ha scelto di denunciare persone innocenti, estranee ai fatti, dimostrando ancora una volta una tendenza a colpire i deboli. Ma non ha mai osato denunciare chi ha portato alla luce i documenti autentici che lo riguardano. Documenti che, a differenza delle sue dichiarazioni, sono reali, precisi, e – fino a prova contraria – incontestabili. Noi siamo, qui, visto che "fra Mauro" afferma di voler "chiarire parlando", lo attendiamo a braccia aperte.
In conclusione, il goffo tentativo di spiritualizzare questi abusi commessi in questi anni, da quanto fatto ai danni del Capitolo fino ai sampietrini vessati psicologicamente e licenziati, caratterizza la più perversa forma di abuso spirituale e di potere commesso da questi personaggi che hanno rovinato qualunque realtà in cui sono stati.
Il tempo della complicità e del silenzio deve finire. L’abuso spirituale e di coscienza è un peccato gravissimo perché deturpa l’immagine di Dio e ferisce l’anima. Chi agisce così deve essere chiamato a rendere conto. E non basta invocare il perdono o la spiritualizzazione del male. “La verità vi farà liberi” (Gv 8,32), ha detto Cristo. E solo nella verità, anche la Chiesa potrà tornare ad essere davvero madre e non matrigna.
S.C.
Silere non possum