«La liturgia non ha “scopo”. Essa non è un mezzo impiegato per raggiungere un determinato effetto, bensì – almeno in una certa misura – fine a sé. Nella liturgia l’uomo non guarda a sé, bensì a Dio; verso di Lui è diretto lo sguardo. Il senso della liturgia è pertanto questo: che l’anima stia dinanzi a Dio, si effonda dinanzi a Lui, si inserisca nella Sua vita, nel mondo santo delle realtà, verità, misteri, segni divini», Romano Guardini, Lo spirito della liturgia
In queste righe, Guardini pone il fondamento di ogni gesto sacro: la liturgia è il luogo dove l’uomo dimentica sé stesso per appartenere a Dio. Non è un insieme di riti, ma una forma di vita in cui il corpo, la voce, la materia — i segni — diventano linguaggio del mistero. Il teologo, nella sua opera giovanile, non vuole spiegare la liturgia ma restituirla alla sua trasparenza originaria: la Chiesa non parla con parole, ma con segni che contengono la grazia. Tutto, nel rito, rimanda oltre sé: la materia diventa simbolo, il gesto diventa rivelazione.
«Doveva essere scosso ciò che nell’uomo corrisponde a quei segni elementari. Doveva venir portato a consapevolezza dell’uomo che questi sono segni, simboli. L’uomo, infatti, a cui esse si rivolgono, è battezzato nell’anima e nel corpo: in tal modo esse verrebbero intese quali simboli santi, quali elementi dei sacramenti e dei sacramentali», Romano Guardini, Lo spirito della liturgia.
Guardini sa che il moderno ha smarrito il linguaggio simbolico. Per questo, la Chiesa — nella sua sapienza — parla ancora al corpo: perché è lì che l’uomo comprende il mistero. Il segno santo non è un gesto decorativo, ma una forma di conoscenza: l’acqua, la luce, il pane, il profumo, il bacio, il silenzio, sono parole visibili, strumenti attraverso cui la grazia tocca la carne.
Nel suo elenco commosso, Guardini restituisce alla liturgia la sua concretezza spirituale: «Gli si apre dinanzi così, intatta, la ricchezza di allusione e di appello religioso insita nel segno della croce, nell’inginocchiarsi, nel vario atteggiarsi della mano di chi prega, nell’incedere processionale, nel battersi il petto, nel cero, nell’acqua benedetta, nella fiamma sacra, nella cenere penitenziale, nell’incenso, nella luce, nel pane e nel vino, nell’altare coi suoi lini, nel calice e nella patena, nella benedizione, nelle campane», Romano Guardini, Lo spirito della liturgia.
Ogni gesto, ogni cosa, ogni movimento, parla di un ordine invisibile. È la materia che diventa trasparente, che lascia intravedere il divino. In un mondo che riduce il simbolo a segno pubblicitario, Guardini invita a tornare al linguaggio delle origini: quello in cui l’anima si effonde dinanzi a Dio e l’universo intero diventa liturgia.
L’altare di pietra - scrive - è il segno visibile di questa offerta che sale dal mondo verso Dio: «La sua forza più nobile è però questa: il riconoscere che v’è qualcosa di più alto sopra di lui; il venerare codesto qualcosa di più alto e inserirvisi. L’uomo può conoscere al di sopra di sé Dio, Lo può adorare e può offrire sé stesso “affinché Dio sia glorificato”. Appunto di questo nucleo più intimo, calmo e forte, proprio dell’uomo, l’altare di pietra è il segno visibile», Romano Guardini, Lo spirito della liturgia.
Nel gesto liturgico, dunque, si custodisce la verità sull’uomo: egli è relazione, apertura, offerta. Tutto nella liturgia educa a questa postura interiore. Il corpo si fa parola, il rito diventa rivelazione. Ecco perché Guardini può affermare che la liturgia è «dogma pregato, la verità vissuta pregando»: una fede che prende forma nei sensi.
Molti decenni dopo, Joseph Ratzinger riconoscerà in queste pagine di Guardini l’origine di un vero rinnovamento spirituale: «Essa contribuì in maniera decisiva a far sì che la liturgia, con la sua bellezza, la sua ricchezza nascosta e la sua grandezza che travalica il tempo, venisse nuovamente riscoperta come centro vitale della Chiesa e della vita cristiana. Essa diede il suo contributo perché si celebrasse la liturgia in maniera “essenziale”» J. Ratzinger, Introduzione allo spirito della liturgia.
Ratzinger, come Guardini, vede nella liturgia il cuore del cristianesimo, ma avverte anche il rischio che l’uomo, dimentico del mistero, si costruisca un culto “a propria misura”.
«L’uomo non può “farsi” da sé il proprio culto; egli afferra solo il vuoto, se Dio non si mostra. […] Il culto diventa così una festa che la comunità si fa da sé. Dall’adorazione di Dio si passa a un cerchio che gira intorno a sé stesso: mangiare, bere, divertirsi», J. Ratzinger, Introduzione allo spirito della liturgia. Il vero culto, invece, è quello in cui Dio mostra la sua forma e l’uomo risponde con obbedienza. «L’adorazione, la giusta modalità del culto, del rapporto con Dio, è costitutiva per la giusta esistenza umana nel mondo», J. Ratzinger, Introduzione allo spirito della liturgia. Solo così i segni ritrovano senso: non come invenzioni estetiche, ma come risposte rivelate, linguaggi ricevuti dall’alto. Ratzinger lo dice con forza: il cristianesimo non crea i propri segni, li riceve dal Cristo che ha unito cielo e terra nel suo corpo.
«Il nuovo tempio esiste già e così pure il nuovo e definitivo sacrificio: l’umanità di Cristo manifestata nella sua morte in croce e resurrezione. Mediante l’eucaristia Gesù introduce gli uomini in questa preghiera, che è la porta sempre aperta dell’adorazione e il vero sacrificio, il sacrificio della nuova alleanza, il “culto spirituale”», J. Ratzinger, Introduzione allo spirito della liturgia.
In Guardini e Ratzinger si intrecciano due intuizioni che si illuminano a vicenda. Il primo ci ricorda che la liturgia è fatta di segni, di elementi semplici che diventano luoghi della grazia. Il secondo che questi segni non nascono dall’uomo, ma dalla rivelazione di Dio: «Se Dio non si mostra, l’uomo afferra solo il vuoto.»
Per questo la Chiesa continua a usare l’acqua, il pane, la luce, l’incenso, la parola, il silenzio: perché in essi il mistero prende forma, e il mondo torna a essere trasparente alla presenza divina. I santi segni non sono un linguaggio del passato, ma la grammatica dell’eternità. Quando l’uomo si segna, si inginocchia, alza lo sguardo, non compie un gesto rituale: partecipa al movimento stesso di Cristo verso il Padre. E ogni segno, anche il più piccolo, diventa una risposta al grande dialogo tra Dio e l’uomo.
s.E.A.
Silere non possum