Città del Vaticano - Il Santo Padre Leone XIV prosegue con determinazione l’opera di rinnovamento avviata e ha mostrato, con estrema lucidità e pazienza, di aver individuato con precisione i nodi irrisolti della Curia romana che ha ricevuto in eredità. «I Papi passano, la Curia rimane», aveva ricordato il 24 maggio 2025.
Una constatazione amara ma realistica, maturata in prima persona durante il suo breve ma intenso servizio nella Curia Romana, e confermata dall’esperienza precedente come Priore Generale dell’Ordine di Sant’Agostino, dove aveva già conosciuto da vicino quelle dinamiche lente e talvolta mortifere che si insinuano nei luoghi di un  certo modo di vivere il potere ecclesiastico.
«La ruota gira», mormora un anziano monsignore nei corridoi del palazzo di Piazza Pio XII, consapevole che la storia, in Curia, tende a ripetersi con regolarità quasi liturgica. E così, come Papa Francesco, con il suo stile "tanto gentile e cortese", congedò S.E.R. Mons. Jorge Carlos Patrón Wong inviandolo a Jalapa, nonostante la sua dedizione ai seminaristi e al clero, oggi ben peggiore sorte tocca al suo successore.
S.E.R. Monsignor Andrés Gabriel Ferrada Moreira, attuale Segretario del Dicastero per il Clero, lascia l'Urbe per fare ritorno in Cile, in una piccola diocesi. Una decisione che giunge dopo anni di tensioni interne al Dicastero per il Clero e che segna - si spera definitivamente - la conclusione di una stagione. 
Monsignor Ferrada, 56 anni, era entrato a pieno titolo nel cerchio ristretto di Papa Francesco, che nel settembre 2021 lo aveva voluto segretario della Congregazione per il Clero e, poco dopo, ordinato arcivescovo con una cerimonia solenne in San Pietro dove fu ordinato anche Mons. Guido Marini, maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie che Bergoglio aveva deciso di spedire a Tortona. 
Arrivato a Roma come semplice officiale nel 2018, la sua ascesa fulminea non aveva favorito relazioni serene né con i collaboratori più stretti né, soprattutto, con gli ordinari diocesani di tutto il mondo, spesso costretti a subire decisioni unilaterali provenienti dagli uffici vaticani. Ferrada ha adottato negli scorsi anni un metodo di governo rigido, conflittuale, accentratore, identico a quello di molti altri "funzionari" che, forti di un rapporto privilegiato con Papa Francesco, si muovevano in Curia con la convinzione di poter oltrepassare persino l’autorità dei propri superiori.
Fra le carte del Dicastero, Andrés Gabriel Ferrada Moreira aveva progressivamente accentrato nelle proprie mani la gran parte delle decisioni operative, relegando il prefetto, S.E.R. il Signor Cardinale Lazarus You Heung-sik, a un ruolo puramente formale. Numerosi vescovi diocesani hanno manifestato profonda irritazione per le sue continue ingerenze: pratiche inspiegabilmente bloccate, decisioni riviste all’ultimo momento, dossier lasciati per mesi nei cassetti senza alcuna motivazione.
All’interno del Dicastero per il Clero si è così consolidato un sistema opaco, dove alcuni fascicoli restavano intoccabili perché riguardano sacerdoti ritenuti “protetti”, nonostante gli scandali evidenti che gravavano su di loro, mentre altri venivano trattati con un rigore sproporzionato e sommario, senza garanzie né possibilità di difesa per gli interessati. Un doppio binario che ha logorato la fiducia di molti pastori e ha gettato una lunga ombra sul Dicastero e su quest’uomo che, quando è invitato in parrocchie o rettorie, ama presentarsi a piedi, con la consueta retorica pauperistica degli scorsi tredici interminabili anni, ma che - quando si tratta di vivere realmente la carità - mostra una solerzia assai più intermittente. 
Il suo ritorno in patria è accolto come un sospiro di sollievo da molti, tanto nei corridoi della Curia Romana quanto nelle diocesi più periferiche. 
C’è speranza e attesa, ora, che Leone XIV possa nominare presto un successore capace di riconoscere e servire realmente i sacerdoti e i seminaristi, restituendo al Dicastero per il Clero una dimensione di paternità e discernimento che negli ultimi anni è andata smarrita. Si auspica in particolare che il Santo Padre ristabilisca la precedente prassi della suddivisione dei compiti, abolita con l’arrivo di Ferrada. Un tempo, infatti, esistevano due figure distinte: un arcivescovo dedicato alla cura dei seminari e un segretario per la gestione ordinaria del dicastero. Quell’equilibrio assicurava una cura concreta per le vocazioni, una prossimità reale con i formatori e gli studenti, e una conoscenza diretta delle situazioni locali. 
Monsignor Jorge Carlos Patrón Wong, che ricopriva quel ruolo, visitava personalmente i seminari, pagava di tasca propria le rette dei più poveri, acquistava i libri per chi non poteva permetterseli. Eppure, Papa Francesco lo allontanò bruscamente, senza motivazione plausibile, per sostituirlo con figure di stretta obbedienza personale, spesso più attente a mantenere potere che a servire la Chiesa. Oggi, in Curia come nelle diocesi, cresce l’attesa di un cambio di passo: si spera nel ritorno di uomini animati da vera carità e amore per i confratelli, non di funzionari che, segnati da ferite e rancori, cercano nei palazzi un riscatto personale, trasformando la sofferenza subita in strumento di dominio sugli altri.
Il ritorno in Cile per Ferrada Moreira chiude una stagione segnata da promozioni improvvise e da un potere esercitato più per appartenenza che per servizio. Resta da vedere se la lezione sarà compresa: la Curia non è un trampolino per carriere individuali, ma uno specchio di come la Chiesa intende il proprio modo di governare. E quando lo specchio si rompe, qualcuno deve pur tornare a casa.
p.R.D.
Silere non possum