Alessandro Diddi, attuale promotore di giustizia dello Stato della Città del Vaticano, continua a far parlare di sé – e non in termini lusinghieri. Dopo essere già stato oggetto di critiche e polemiche per il suo operato e la sua condotta professionale, è nuovamente al centro di un episodio che rischia di arrecare un ulteriore danno d’immagine alla Santa Sede. Durante una udienza del processo “Rinascita Scott”, celebrato dinanzi alla Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro – il più grande processo contro la ‘ndrangheta mai istruito in Italia, con 235 imputati accusati di reati gravissimi tra cui associazione mafiosa, estorsione, omicidi tentati, riciclaggio, usura e traffico internazionale di stupefacenti – Diddi, in veste di difensore di Giovanni Giamborino (condannato in primo grado a 19 anni e 6 mesi), ha minacciato di abbandonare l’aula.

Motivo del contendere? La Corte si è rifiutata di leggere, uno per uno, tutti i motivi d’appello dei numerosi difensori, come invece richiesto da Diddi. Una pretesa che, oltre a essere impraticabile in un processo di tale portata, risulta infondata anche dal punto di vista normativo: il codice di procedura penale prevede che le motivazioni siano “date per lette”.

Dopo il legittimo rigetto della sua istanza, Diddì ha lasciato l’aula in segno di protesta. Un gesto definito grave dalla presidente della Corte, la dott.ssa Loredana De Franco, che ha provveduto a differirlo al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati per violazione del codice deontologico. Contestualmente, il Pubblico Ministero ha trasmesso gli atti alla Procura, ipotizzando la violazione dell’art. 105 del codice di procedura penale, che punisce l’abbandono o il rifiuto della difesa da parte dell’avvocato.

Mentre in Vaticano veste i panni del giustiziere, in Italia Alessandro Diddi continua a distinguersi per comportamenti che sfiorano il limite della decenza istituzionale. Come se non bastasse l’abbandono dell’aula nel processo “Rinascita Scott”, Diddi ha anche presentato istanza di ricusazione contro la presidente della Corte. Nel frattempo, in Vaticano, nonostante le gravi accuse che stanno emergendo a suo carico e le chat compromettenti che descrivono un metodo operativo degno più di un regime autoritario che di uno Stato di diritto, Diddi non sta rilasciando dichiarazioni e il Segretario di Stato, Pietro Parolin - responsabile della sua nomina - continua a tacere. 

Tutto ciò si inserisce in un quadro ormai preoccupante, fatto di numerosi episodi controversi, documentati in modo preciso e sistematico da Silere non possum, che da tempo solleva interrogativi sempre più stringenti sul ruolo e sul comportamento di Diddi come promotore di giustizia dello Stato della Città del Vaticano. È lecito domandarsi se davvero lo Stato del Papa possa continuare a mantenere nei ranghi della giustizia una figura che, a più riprese, sembra minare la credibilità dell’istituzione stessa di cui dovrebbe essere garante.

M.A.
Silere non possum