L’idea che l’educazione debba servire anzitutto a “funzionare”, produrre competenze immediatamente spendibili o alimentare meccanismi economici è una delle derive più profonde del nostro tempo. Non è nuova: è la trasformazione silenziosa che riduce l’uomo a mezzo, e la scuola a officina. L’educazione, però, nella sua radice cristiana e nella più alta riflessione occidentale, non nasce per questo. John Henry Newman lo aveva compreso con una lucidità che oggi risuona sorprendentemente attuale; Papa Leone XIV lo riprende esplicitamente nella Lettera Apostolica Disegnare nuove mappe di speranza, denunciando la stessa tentazione tecnocratica che soffoca la libertà del pensiero e impoverisce la persona.
Newman: «il sapere come fine a se stesso»
Nell’Idea of a University, Newman afferma senza esitazioni che il sapere possiede un valore intrinseco, non subordinabile a obiettivi esterni. La sua tesi, netta e controcorrente rispetto alle pressioni utilitaristiche del suo tempo, è formulata così: «il sapere come fine a se stesso» (cfr. Idea of a University, V). Newman insiste che l’università non è un laboratorio di tecniche, ma il luogo in cui l’intelligenza si allarga, giudica, si affina.
Per lui è pericolosa la pretesa di ridurre la conoscenza a strumento, perché così si riduce anche l’uomo. L’“utilità”, separata dalla verità, diventa idolo: promette efficienza, ma genera impoverimento intellettuale e spirituale. Il sapere, invece, permette alla persona di entrare in rapporto con il reale in tutta la sua ampiezza; non la addestra, la forma.
Leone XIV: «una persona non è un algoritmo prevedibile»
Nella Lettera Apostolica Disegnare nuove mappe di speranza, Papa Leone XIV denuncia la stessa deriva con parole altrettanto chiare, adattate alle sfide del XXI secolo. Scrive infatti: «una persona non è un ‘profilo di competenze’, non si riduce a un algoritmo prevedibile» (n. 4.1). È un passaggio essenziale: nel nostro tempo la riduzione utilitaristica non si presenta più con il linguaggio della produttività industriale, ma con quello della digitalizzazione, dei data set, della performance. Tutto diventa quantificabile, valutabile, spendibile. Ma ciò che non rientra nei parametri — desiderio, ricerca, dubbio, speranza — rischia di scomparire. Nel n. 4.2 della stessa Lettera, il Papa insiste: «l’educazione non misura il suo valore solo sull’asse dell’efficienza: lo misura sulla dignità, sulla giustizia, sulla capacità di servire il bene comune». È una linea rossa: l’educazione è autentica quando custodisce l'interezza della persona, non la sua prestazione.
Perché questa deriva è così pericolosa?
La riduzione utilitaristica non è soltanto un errore pedagogico: è una ferita antropologica. Trasforma l’essere umano in ciò che produce; svuota il sapere del suo legame con la verità; rompe l’unità della persona. Proprio Newman, nei suoi sermoni e nelle sue opere, denuncia il rischio di una ragione che funziona ma non comprende, di una conoscenza che misura ma non illumina. Quando si perde il senso della verità, osserva Newman, si perde anche il senso della libertà. Quando l’università sacrifica l’integrità del sapere in nome dell’utilità, smette di essere luogo di formazione e diventa corso accelerato di competenze. Leone XIV, in continuità con questa diagnosi, afferma che l’educazione cattolica deve opporsi a ogni «approccio prettamente mercantilistico» (n. 4.2) perché questo tradisce la visione cristiana dell’uomo, che non coincide con la sua funzione sociale. L’educazione, ricorda il Papa, è invece «una delle espressioni più alte della carità cristiana» (n. 1.3) — un atto di libertà che rende liberi.
Una prospettiva che restituisce profondità
Richiamare Newman e Leone XIV non significa mettere due testi a confronto, ma mostrare come una tradizione viva e coerente attraversi i secoli per custodia dell’umano. Il principio che emerge è semplice e profondo: l’educazione non può essere misurata solo per ciò che produce, ma per ciò che genera. Genera pensiero, responsabilità, libertà, consapevolezza morale. Il sapere come fine; la persona come mistero irriducibile; la scuola come luogo di crescita e non di addestramento: questo è il cuore della battaglia contro la riduzione utilitaristica della formazione. Una battaglia che Newman ha combattuto in un’Inghilterra segnata dal benthamismo, e che Leone XIV combatte oggi in un mondo attraversato da logiche tecnocratiche e algoritmiche. La posta in gioco è la stessa: la dignità dell’intelligenza e la grandezza della persona.
d.I.S.
Silere non possum