Città del Vaticano – Le pagine del libro León XIV: ciudadano del mundo, misionero del siglo XXI custodiscono un documento prezioso: la lunga intervista che la giornalista americana Elise Ann Allen ha realizzato con Papa Leone XIV tra Castel Gandolfo e il Palazzo del Sant’Uffizio, lo scorso luglio.
Al centro della conversazione emergono anche due temi che attraversano la storia recente della Chiesa e restano oggi più che mai decisivi: l’ecumenismo e il dialogo interreligioso. Due piste di lavoro che Leone XIV interpreta con chiarezza, richiamando direttamente l’insegnamento del Concilio Vaticano II. Non a caso il Papa cita e rilegge alla luce del presente il decreto Unitatis redintegratio e la dichiarazione Nostra aetate, testi che dettarono la strada al confronto con le altre confessioni cristiane e con le religioni non cristiane, indicando però al contempo un limite invalicabile: il dialogo non può mai equivalere a rinunciare alla propria fede.
Leone XIV sembra muoversi lungo questa direttrice, riprendendo un’intuizione già presente nelle parole di figure eccellenti come il cardinale Giacomo Biffi, che metteva in guardia dal rischio di annacquare la verità in nome di una falsa tolleranza. Per il Papa, il dialogo è necessario, ma sempre restando fermi nella propria posizione di verità.
È in questo quadro che va letta la sua affermazione netta e priva di ambiguità: «Io credo fermamente in Gesù Cristo e questa è la mia priorità, perché sono il vescovo di Roma e successore di Pietro, e il papa deve aiutare le persone a capire, soprattutto i cristiani, i cattolici, che questo è ciò che siamo. (…) Dirlo non significa mancare di rispetto, offendere o avviare una crociata contro persone di altre religioni, perché quella semplicemente non è la risposta: lo abbiamo imparato dalla storia».
Nelle sue parole si riconosce una visione missionaria, lontana da ogni ideologia e capace di distinguere tra il rispetto delle convinzioni altrui e la rinuncia al cuore del Vangelo. Accanto a questa chiarezza dottrinale, l’intervista tocca nodi concreti dell’attualità ecclesiale: dalla preparazione al 1700° anniversario del Concilio di Nicea, occasione che il Papa vorrebbe trasformare in un incontro ecumenico tra Chiese e comunità cristiane, fino alla ricerca di una data comune per la Pasqua, simbolo di una unità ancora ferita ma desiderata.
Sul fronte interreligioso, Leone XIV racconta i suoi primi passi: incontri con rappresentanti ebrei, musulmani e buddhisti, con la convinzione che “per il bene della pace mondiale, non c’è altra strada” se non quella del dialogo, fondato sul rispetto reciproco e sulla consapevolezza delle differenze. Anche sul dialogo con gli ebrei, il Papa è molto chiaro: «È importante fare alcune distinzioni che loro stessi fanno tra ciò che sta facendo il Governo di Israele e chi sono i membri della comunità ebraica. Fortunatamente, ci sono stati anche un paio di incontri che ho già avuto, un piccolo avvicinamento. Penso che le radici del nostro cristianesimo si trovino nella religione ebraica, e non possiamo chiudere gli occhi davanti a questo. C’è molto da dire e molto da fare».
L’intervista, dunque, non offre formule immediate ma un orizzonte: quello di una Chiesa che vuole costruire ponti senza smarrire la propria identità. Un equilibrio difficile, che esige lucidità, coraggio e fede incrollabile.
Domanda: Un’altra sfida potenziale – che tutti i suoi recenti predecessori hanno considerato una priorità, e che papa Francesco ha certamente portato avanti con nuovo slancio – è il tema dell’ecumenismo. Quale sarà il suo approccio? Sarà anche per lei una priorità simile come papa?
Papa Leone XIV: Assolutamente. Credo che, fin dal Concilio Vaticano II, il riconoscimento della necessità di lavorare per una vera unità di tutti i cristiani debba essere uno degli obiettivi centrali della Chiesa oggi. Una delle ferite più profonde nella vita ecclesiale è proprio il fatto che, come cristiani, siamo divisi. Ecco perché parlo di costruire ponti: a volte è persino più facile costruirli con persone che non sono cristiane che con i nostri stessi vicini cristiani. Ci sono cose che ci separano, ostacoli che ci impediscono di vivere tutti insieme una comunione autentica nella fede che professiamo.
In particolare, una delle iniziative che sto cercando di promuovere quest’anno, come sai, è il 1700° anniversario del Concilio di Nicea. Papa Francesco aveva già programmato di andare a Nicea, poi si è ammalato, la data è stata rinviata due volte e infine abbiamo dovuto fissarne una nuova. Io sono molto interessato a questo evento e, con ogni probabilità, andrò a Nicea alla fine di novembre. Alcuni avevano inizialmente immaginato che fosse un incontro tra me e Bartolomeo, il Patriarca di Costantinopoli. Io ho invece chiesto che diventasse un’occasione ecumenica per invitare i leader di molte diverse Chiese e comunità cristiane, affinché partecipino a questo incontro a Nicea. Perché Nicea significa Credo: è uno dei momenti in cui, prima delle divisioni, tutti potevamo ancora ritrovarci in una professione di fede comune. In questo senso, simbolicamente, questa è già una risposta alla tua domanda: sì, è una priorità. Ho già incontrato diversi patriarchi, compreso il rappresentante del Patriarca Kirill di Mosca. Dopo la Chiesa cattolica, i russi ortodossi rappresentano la comunità cristiana più grande al mondo; ma a causa della guerra e di certe dichiarazioni, la distanza si è allargata invece che ridursi. Un altro aspetto del mio servizio alla Chiesa e ai credenti è dunque anche quello di costruire ponti in questa direzione. Ovviamente ci sono delle difficoltà, ed è ben nota quella che esiste tra il Patriarca di Mosca e il Patriarca di Costantinopoli, così come le decisioni che sono state prese all’interno del mondo ortodosso. Se il Vescovo di Roma può aiutare a costruire ponti tra persone diverse, a unire la gente – pur con tutte le sfide che questo comporta – si tratta di un grande servizio da offrire, perché, in ultima analisi, tutti crediamo in Gesù Cristo, Figlio di Dio e nostro salvatore. Nella storia del mondo ci sono stati molti elementi che hanno continuato a dividerci: chi crede in questo, chi crede in quello, quale sia il ruolo del Vescovo di Roma nel mondo dei credenti. Ma dobbiamo continuare a lavorare su questo. Un tema molto concreto è quello di trovare una data comune per la Pasqua. È ancora nell’agenda. Abbiamo fatto alcuni passi: non posso dire che abbiamo raggiunto progressi significativi, ma certamente abbiamo mosso i primi passi per cercare diverse modalità di affrontare la questione. Anche questo è molto complesso, a partire dalla differenza tra il calendario gregoriano e quello giuliano, fino a chi dovrebbe fare il primo passo e a come possiamo realizzarlo. Stiamo studiando, stiamo lavorando su questo. È un obiettivo, un tema importante.
Domanda: Dall’altro lato, c’è anche la questione del dialogo interreligioso. Papa Francesco ha fatto del dialogo con l’islam una priorità importante. Alcuni direbbero, forse, che la comunità ebraica si sia sentita trascurata negli ultimi anni, soprattutto alla luce della guerra più recente a Gaza. Per lei, personalmente, quale considera essere oggi la priorità maggiore – o l’ambito di maggiore opportunità – per la Santa Sede in termini di dialogo e di relazioni interreligiose?
Papa Leone XIV: Forse potrà sembrare troppo presuntuoso, ma oso dire che, già nei primi due mesi, la relazione con la comunità ebraica in quanto tale è migliorata un po’. È importante fare alcune distinzioni che loro stessi fanno tra ciò che sta facendo il Governo di Israele e chi sono i membri della comunità ebraica. Fortunatamente, ci sono stati anche un paio di incontri che ho già avuto, un piccolo avvicinamento. Penso che le radici del nostro cristianesimo si trovino nella religione ebraica, e non possiamo chiudere gli occhi davanti a questo. C’è molto da dire e molto da fare. Con l’islam ho già avuto un paio di incontri. Naturalmente, anche l’islam non è una realtà unica: puoi incontrarti con un gruppo, ma ne esistono altri, e non è facile. Francesco, in particolare con l’islam, ha compiuto grandi progressi per superare alcune barriere che erano esistite a causa di questioni storiche, sia recenti che più remote. Ma, per il bene della pace mondiale, non c’è altra strada in questo senso. Cercare modalità per promuovere occasioni di dialogo, rispetto reciproco e comprensione è davvero molto, molto importante. Ovviamente, è un altro tema nell’agenda e spero di continuare su questa via, ma non solo con l’islam. Ho avuto un incontro molto cordiale con un gruppo di buddisti che erano venuti a Roma. Ancora una volta, per mostrare rispetto reciproco e comprendere che persone diverse hanno credenze diverse. Io credo fermamente in Gesù Cristo e questa è la mia priorità, perché sono il vescovo di Roma e successore di Pietro, e il papa deve aiutare le persone a capire, soprattutto i cristiani, i cattolici, che questo è ciò che siamo. E credo che sia una missione meravigliosa.Quando però questa missione viene distorta, ridotta a ideologie, fraintesa, allora le cose si complicano. Ma non ho paura di dire che credo in Gesù Cristo, che è morto sulla croce ed è risorto dai morti, e che insieme siamo chiamati a condividere questo messaggio. Dirlo non significa mancare di rispetto, offendere o avviare una crociata contro persone di altre religioni, perché quella semplicemente non è la risposta: lo abbiamo imparato dalla storia.
p.R.A.
Silere non possum