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Sin dall’elezione di Leone XIV, abbiamo assistito a una strategia comunicativa che ricalca fedelmente quella messa in atto tra il 2005 e il 2013 nei confronti di Benedetto XVI. Ne abbiamo già scritto, e torniamo a farlo perché si tratta di un’operazione sistematica e ben orchestrata: quella che potremmo definire, senza troppi giri di parole, una vera e propria mafia dell’informazione. Ma dietro la cortina dei media si cela qualcosa di ancora più profondo, un nodo che affonda le radici nel gruppo di cardinali che lavorò per l’elezione di Jorge Mario Bergoglio. È il cosiddetto “gruppo di San Gallo”, formato da porporati che, insieme a una potente lobby diplomatica, spinsero per l’ascesa di Francesco.
Di questa rete fa parte anche Pietro Parolin, richiamato a Roma da Francesco dopo una lunga missione in Venezuela e nominato segretario di Stato. Un incarico che ha ricoperto con una passività disarmante per l’intero pontificato, arrivando perfino a “sacrificare la verità sull’altare dell’ipocrisia”, pur di mantenere saldo il proprio potere. Attorno a questa struttura orbitano nomi noti: Stefania Falasca, il marito Gianni Valente, Andrea Tornielli, Andrea Monda con la sua famiglia piena di soldi, Paolo Ruffini e altri ancora. Non si tratta di semplici figure del panorama para vaticano, ma di una lobby mediatica organizzata, il cui scopo è controllare e manipolare la comunicazione a proprio vantaggio.
La vicenda Bose: un esempio della manipolazione
Negli anni, Silere non possum ha toccato con mano cosa significhi provare a fare informazione libera in un sistema dove le notizie vengono sistematicamente insabbiate dalle redazioni. I casi sarebbero moltissimi, ma tra i più clamorosi possiamo citare quelli che hanno riguardato Mauro Gambetti, il cardinale Becciu, Enzo Bianchi e la Enzo Bianchi.
Al di là delle figure marginali — come Marco Grieco, già collaboratore di un giornale di infima qualità diretto da un discutibile personaggio come Emiliano Fittipaldi — è emblematico il modo in cui si muoveva l’informazione. In queste ore Marco Grieco è rispuntato parlando delle famigerate “scarpe di Prada” indossate da Benedetto XVI — un’affermazione falsa, dal momento che il Papa non si è mai servito di Prada, ma è difficile spiegarlo a chi, come lui, è palesemente analfabeta e ignora le basi della vita della Chiesa. Le sue considerazioni, maturate alla scuola dei gesuiti, la dicono già lunga sul soggetto.
Grieco, infatti, su Bose si limitava a trascrivere pedissequamente sul quotidiano Domani quanto gli veniva dettato da Guido Dotti, figura tristemente nota per aver presentato documenti falsi alla Regione Piemonte al fine di ottenere fondi pubblici. Fondi che, grazie a un’inchiesta di Silere non possum, è stato costretto a restituire. Inutile dire che, nonostante la gravità del fatto, la Procura della Repubblica di Torino non ha ritenuto di dover procedere. Del resto, lo vediamo anche in questi giorni con il caso di Garlasco: il clima che guida magistrati, procure e tribunali è ormai sotto gli occhi di tutti
Tornando alla vicenda di Bose, non si può ignorare l’influenza esercitata dal Segretario di Stato Pietro Parolin, che ha protetto Amedeo Cencini e altri soggetti che hanno agito in palese violazione del diritto canonico e civile.
L’informazione vaticana al collasso
In tutto ciò, non sorprende che Vatican News, ormai denominato in Vaticano “il blog di Andrea Tornielli”, non abbia dedicato neppure una riga a queste vicende. Né lui, né i suoi collaboratori hanno ritenuto opportuno dare notizia dei fatti emersi, come accaduto anche per il caso Rupnik, dove “manine invisibili” hanno lavorato per silenziare la verità.
Non va dimenticato, infine, il clima opaco e autoreferenziale che domina l’Ordine dei Giornalisti in Italia, tanto a livello locale quanto nazionale. Illeciti come la mancata citazione delle fonti o la manipolazione deliberata delle notizie passano sotto silenzio. Del resto, è più conveniente incassare la quota annuale che garantire il rispetto del codice deontologico.
In quella che è definita la “Repubblica delle banane”, è sempre più evidente perché negli ultimi anni siano nati numerosi blog e siti d’informazione indipendenti, spesso guidati da persone non iscritte all’albo ma capaci di offrire un lavoro serio e professionale. D’altra parte, occorre dirlo con chiarezza: l’albo dei giornalisti è uno strumento di controllo dell’informazione, accettato con sorprendente passività, quando invece l’informazione dovrebbe essere davvero libera, a prescindere da qualsiasi iscrizione o autorizzazione formale.
Anche perché la domanda sorge spontanea: a cosa serve l’albo dei giornalisti, se non a garantire professionalità e rispetto della deontologia? A quanto pare, serve solo al controllo. Avrebbe senso se fosse un organo realmente operativo nel perseguire chi pubblica notizie false, storpia la realtà, non cita le fonti, ruba contenuti altrui spacciandoli per propri, ecc. Ma, come ben sappiamo, l’Ordine dei Giornalisti italiano non fa nulla di tutto questo. Anzi, abbiamo visto casi ben noti in cui alcuni giornalisti sono stati perseguitati solo per motivi “politico-ideologici”, mentre altri, responsabili di illeciti ben più gravi, non hanno subito alcun provvedimento.
Vale la pena aprire questa parentesi per dire chiaramente che Andrea Tornielli & company fanno parte di quelle lobby che trasmettono solo le notizie che decidono di far passare, magari perché rispondono a interessi terzi, e si adoperano in tutti i modi per bloccare quelle che non gradiscono. Pensiamo, ad esempio, a pratiche scorrette come le segnalazioni anonime sui social o su piattaforme come YouTube, nel tentativo di cancellare contenuti che li infastidiscono. È successo anche con un nostro articolo che metteva a nudo proprio queste dinamiche: a Piazza Pia hanno tentato con ogni mezzo di farlo censurare. Ma il risultato, come accade sempre con Silere, è semplicemente che questo testo ha avuto ancora più risonanza e sta girando ovunque anche in diverse lingue.
Alla luce di tutto questo, è evidente: se questo è il sistema, Silere non possum è diventato il nemico numero uno. Non per qualche motivo oscuro, ma semplicemente perché ha avuto il coraggio di dire la verità, mettendo in luce incompetenza, accordi sottobanco, gaffe imbarazzanti e molto altro. Diciamolo chiaramente, anche per quanto riguarda le piccole realtà, se qualcuno ha paura di Silere non possum è perché ha qualcosa da nascondere, altrimenti non avrebbe paura.
E questo fa ancora più effetto se si considera che, nei giorni scorsi, alcuni giornalai del copia-incolla si sono illusi di cambiare le cose al Dicastero con un loro articolo pieno di piagnistei, solo perché non erano stati messi in prima fila all’incontro con il Papa. Ha fatto sorridere il commento laconico e tagliente di un noto prelato curiale: “Non li leggono neanche per sbaglio!”
E in effetti, perché non li leggono? Perché sono ideologici, scrivono solo quando l’interesse è personale, e pretendono di fare la morale al clero, quando in realtà si comportano esattamente come — se non peggio di — quelli che accusano.

Le false narrazioni
Silere non possum è nato proprio da una constatazione concreta: il diverso trattamento riservato a Benedetto XVI e a Papa Francesco. Nel primo caso si montavano ad arte problemi inesistenti, nel secondo si nascondevano persino quelli più evidenti e macroscopici
Proprio per questo motivo, oggi merita di essere approfondito quanto accaduto con l’elezione di Leone XIV. Da quando è stato eletto, si è dato il via a una strategia ben precisa: censurare il più possibile tutto ciò che di positivo lo riguarda e metterlo in contrapposizione con Francesco. Basti pensare alla visita del Papa alla curia degli agostiniani: Vatican News non ha pubblicato nemmeno una foto, né ha dato rilievo alla notizia. Tutto viene riportato in modo asettico, anonimo, privo di enfasi. Eppure, basta rileggere ciò che scriveva Andrea Tornielli nei suoi blog all’epoca dell’elezione di Francesco: ogni singolo passo di Bergoglio veniva amplificato, celebrato, persino mitizzato. Da anni la comunicazione vaticana è: "Il Papa sulla guerra ha detto" o "Papa Francesco". Esempio recente: dell'udienza generale di questa mattina hanno scritto: appello riguardo a Gaza e il ricordo di Papa Francesco fatto da Leone XIV.
Il Papa è stato a Genazzano, ha visitato il Dicastero per i Vescovi, ha persino dormito nel suo appartamento presso il Santo Uffizio… Eppure, Vatican News ha trattato tutto con la freddezza di una cronaca d’agenzia. Nessuna enfasi, nessuna attenzione particolare. La notizia sull’appartamento, addirittura, non è stata nemmeno riportata, ma quando Francesco scelse Santa Marta quali erano i titoli di tutti i giornali del mondo?
E pensare che Salvatore Cernuzio, finché Francesco era in vita, sfornava anche venti articoli al giorno, spesso copiati qua e là, tra un copia e incolla e l’altro, sempre pronti a esaltare qualsiasi gesto facesse il Pontefice, anche il più banale. Andrea Tornielli, poi, era immancabile con i suoi editoriali inutili e letti da nessuno, pronti ad accompagnare ogni respiro di Bergoglio. Ma con la morte di Francesco, tutto si è bloccato. I nervi erano tesi, perché tutti questi avvoltoi speravano nell’elezione di Pietro Parolin.
Quando Tornielli ha annunciato su YouTube la trasmissione in diretta dell’elezione di Pio XIV, forse pensava davvero che quel nome fosse stato assunto da Parolin? Si è perso un “Pio” per strada? Questo non lo sapremo mai. Ma una cosa è certa: è stata questa lobby a spingere una narrazione ben precisa sui media in quelle ore. Pochissimi cardinali hanno parlato del porporato veneto ma loro passavano queste informazioni ai colleghi vaticanisti come “verità assoluta”.
E siccome Parolin non ce l’ha fatta, i suoi sostenitori hanno subito diffuso l’idea che fosse stato proprio lui, nientemeno, a fare un passo indietro durante il conclave. Classica mossa da manuale: “Non l’hanno eletto? Beh, almeno salviamogli la faccia. Evitiamo che Leone XIV lo percepisca come un avversario, sennò ce lo spedisce via anche dalla Terza Loggia…”
In queste ore Pietro Parolin è andato a farsi leccare le ferite dal suo grande amico Gabriele Giordano Caccia, anche lui rimasto scottato: era infatti pronto a prendere in mano la Segreteria di Stato qualora Parolin fosse stato eletto. Ma questa era una narrazione alimentata solo da Tornielli & co. sui giornali, dietro le quinte e senza mai esporsi in prima persona, ovviamente. Perché, la verità è che – fatta eccezione per qualche sprovveduto – i cardinali non hanno mai seriamente considerato l’elezione di Parolin.
E questo nonostante qualche “finto giornalista” si sia prestato a farsi megafono di queste invenzioni, amplificato da viscidi giornalisti ottuagenari che lo ospitavano in prima serata sulla TV di Stato italiana. Lo ripetiamo da tempo: il mondo vaticano attira le menti peggiori. Gente che millanta credito, che va in giro a raccontare cose palesemente false, che però – chissà perché – nessuno smentisce, anzi: vengono fatte passare per vere.
Come si può ben vedere, l’informazione è completamente manipolata. E soprattutto quando si parla di Chiesa, la si riduce a categorie che non le appartengono, quelle della politica. Si dimentica che la Chiesa non è e non può essere trattata come un partito o un ministero. Ma, come sappiamo bene, certa gente non entra nei palazzi della politica solo perché ha più scheletri nell’armadio che camicie. Ma naturalmente a noi non mancano i “cardinaloni” sempre pronti ad accogliere certi personaggi “in nome della carità”. Una carità molto selettiva, molto comoda, a quanto pare. Anzi, molto cieca.
La difesa del burattino è finita
Un altro aspetto che merita di essere approfondito, sempre in linea con quanto detto finora, è la reazione scomposta di certa gente all’elezione di Leone XIV. Basti pensare che, nei dodici anni passati, si elevava a magistero pontificio persino il gesto di Francesco che si grattava il naso. Oggi, invece, sulle pagine Facebook degli urlatori professionisti, leggiamo commenti del tipo: “Vedremo, è presto per giudicare”, “A me sembra distante”, “Sta mozzetta, poteva evitarla”, “Non è buono come Francesco”, “Francesco arrivava alla gente”, “Mi ha già deluso”, e così via.
Tutto ciò dimostra chiaramente come costoro non abbiano mai capito nulla del papato e del successore di Pietro. Sono gli stessi che attaccavano Silere non possum, che criticavano i cardinali per i dubia, che si ergevano a paladini del magistero ogni volta che qualcuno osava, con rispetto e devozione, porre delle considerazioni — verso il Papa, sì, ma distinguendo l’uomo dalla funzione.
Chi ama davvero il Papa, infatti, non fa dipendere la sua figura dal carattere, dai selfie, dagli abbracci a favore di camera, ma, piuttosto, si preoccupa di ben altro: dell’amore del Pontefice per la Chiesa, del suo affetto per i preti, della sua capacità di sorridere nel nascondimento e non solo in pubblico, della sua reale attitudine all’ascolto, della sua fedeltà al magistero dei predecessori e alla dottrina della Chiesa. Sono queste le vere preoccupazioni che hanno mosso migliaia di preti, vescovi e cardinali in questi anni. E ci si è sempre chiesti come fosse possibile che l’opinione pubblica percepisse come “buono e simpatico” un uomo che appariva quasi sempre corrucciato, con lo sguardo incattivito persino durante la celebrazione eucaristica. Mentre Benedetto XVI — che pure veniva aspramente criticato e definito “pastore tedesco” — non è mai stato visto con il broncio o con lo sguardo rabbioso.
Oggi potremmo fare un parallelismo tutto italiano con il caso Garlasco: l’opinione pubblica completamente manipolata da ciò che dice la stampa. E la stampa, spesso, è gestita da ignoranti e analfabeti funzionali, che si affidano alle loro sensazioni, non leggono i documenti, non parlano con le persone interessate, non frequentano i luoghi dove accadono i fatti. Eppure, si permettono di pontificare per ore nei salotti televisivi e sugli editoriali dei giornali.
Così, se la giornalistina analfabeta ha l’impressione che una persona sia “fredda, glaciale, distante”, allora la trasforma in un colpevole — anche di omicidio, se serve — senza prove, basandosi solo su un’impressione soggettiva. E lo stesso meccanismo scatta quando il Papa è tedesco, timido, riservato: allora ecco che diventa il “cattivo cane da guardia della dottrina della fede”.
Ma davvero volete un’informazione del genere? Davvero, da cattolici, possiamo ancora accettare che anche la narrazione ecclesiale venga gestita da simili soggetti?

Le marchette ai giornalisti
È evidente che, oggi, sono partiti all’attacco con ogni mezzo, tirando fuori le cose più impensabili su Leone XIV — lo abbiamo già raccontato. Nessuno però si domanda come mai, il giorno in cui Papa Francesco tornò alla Domus Paolo VI per recuperare i suoi effetti personali, un giornalista riuscì a scattare una foto in altissima risoluzione, ancora oggi disponibile gratuitamente online. Nessuno si chiede perché, quando il Papa andò al negozio di dischi, l’analfabeta spagnolo Javier Martínez-Brocal fosse lì, pronto con la macchina fotografica.
Lo stesso Brocal che, guarda caso, poco tempo dopo ha avuto l’esclusiva di un’intervista con Bergoglio, per scrivere un libro che era una chiara risposta velenosa al segretario di Benedetto XVI. Un libro che, di fatto, lo infamava. Ma ovviamente, nessuno ha fiatato.
Per quanto alcune affermazioni contenute nel libro “Nient’altro che la Verità” di mons. Georg Gänswein possano essere state inopportune nei modi e nei tempi, in quelle pagine non è stato scritto nulla di falso. E Silere non possum ha potuto verificarlo personalmente. Ben diversa è la situazione del testo firmato da Javier Martínez-Brocal, dove si leggono considerazioni che mai ci si aspetterebbe di sentire pronunciare da un Papa. Non solo: vi si trovano anche affermazioni oggettivamente false.
Ma che cosa vi avevamo già raccontato in questo articolo? Il classico do ut des: “Tu scatti la foto fingendo di passare di lì per caso, l’immagine finisce su tutti i tabloid internazionali, e io poi so come ricambiare”. Così è stato. La foto — quella del Papa al negozio di dischi — ha fatto il giro del mondo, con titoloni tipo “Il Papa visita un negozio di musica”. Poco tempo dopo, Martínez-Brocal ha ottenuto accessi riservati a Santa Marta per confezionare il suo libro “esclusivo” sul rapporto tra Francesco e Benedetto XVI.
E allora ci si chiede: perché Silere non possum dà così fastidio a certi ambienti? La risposta è semplice: perché dice la verità. Perché mette a nudo meccanismi e accordi sottobanco che da anni vengono gestiti nel silenzio. Perché, soprattutto, non ha mai accettato compromessi con costoro, nemmeno quando alcuni di loro ci hanno contattato per ottenere “un trattamento speciale”.
Oggi, questi stessi personaggi affermano di dover ancora “valutare” il nuovo Papa. Ma valutare in base a cosa? Chi pensano di essere per arrogarsi questo diritto? Il Papa dovrebbe piacere a loro? E se non li convince, allora via con i post su Facebook dove lo insultano perché non ordina le donne, oppure con insinuazioni infondate su presunte coperture di abusi?
Forse, allora, il problema non eravamo noi. Perché noi non abbiamo mai messo in discussione la legittimità di Papa Francesco, non abbiamo mai scritto cose false. Non abbiamo mai detto “non è il Papa” o “non lo accettiamo perché non ci piace”. Abbiamo criticato — sì — ma con rispetto, e sempre sul piano delle sue scelte umane, spesso segnate dal carattere, da una certa impulsività o dall’influenza di consiglieri notoriamente ambigui. Ma mai abbiamo pensato di sottrarci alla sua autorità. Anzi, proprio perché riconoscevamo quella autorità, ci preoccupava il modo in cui veniva esercitata. Perché le sue decisioni — anche quelle sbagliate — ricadevano su tutti noi.
Noi non abbiamo mai idolatrato il Papa. Non lo abbiamo fatto ieri e non lo faremo oggi. Perché sappiamo bene che il Papa è una figura centrale, chiamata a custodire l’unità della Chiesa — o almeno dovrebbe esserlo —, ma ciò che è davvero essenziale è Gesù Cristo. Ed è a Lui che vogliamo arrivare. Non ci interessa compiacere le redazioni dei giornali, ma che il Papa ci conduca a Cristo.
In queste ore qualcuno si è chiesto: com’è possibile che certi cattolici si entusiasmavano per un Papa che rifiutava il Palazzo Apostolico, mentre ora restano impassibili di fronte alle lacrime sincere di Leone XIV, che si commuove guardando l’anello piscatorio, consapevole del peso del ministero che ha ricevuto?
Non dimentichiamo tutto il lavoro certosino fatto da Tornielli & co. per insabbiare, minimizzare o far dimenticare certe uscite di Papa Francesco che erano oggettivamente imbarazzanti: lo schiaffo alla pellegrina cinese, l’uso disinvolto di espressioni volgari come “frociaggine”, le frasi sessiste rivolte alle donne e ai preti… Tutto insabbiato, relativizzato, fatto evaporare come una bolla di sapone.
A noi commuove altro. Ci commuovono gli uomini che, con umiltà, si sottomettono alla volontà della Chiesa e non si mettono a giocare con le cose di Dio. Uomini che non confondono la propria volontà con quella della Chiesa, che non piegano il Vangelo ai propri gusti, ma si lasciano piegare dal Vangelo.

Il trattamento riservato a Benedetto XVI
Oggi, a un mese dalla morte di Francesco, Papa Leone XIV lo ha ricordato durante l’udienza generale. Un gesto di rispetto e di carità. Eppure, ci torna alla mente un fatto: nel febbraio 2023, durante il suo viaggio nella Repubblica Democratica del Congo, Papa Francesco non citò mai Benedetto XVI, nemmeno di fronte a vescovi che a Ratzinger erano profondamente legati. Anche i silenzi, a volte, parlano.
Non serve nemmeno ricordare tutto ciò che Silere non possum ha già documentato nei giorni successivi alla morte di Benedetto XVI. L’udienza generale mantenuta come se nulla fosse, mentre il Papa giaceva morto in Basilica; il trattamento irriguardoso riservatogli; le scenate di Francesco a Santa Marta; e soprattutto il fatto che Bergoglio non è mai sceso a pregare sulla tomba del suo predecessore, né ha voluto essere presente alla tumulazione. Un silenzio eloquente.
Ben diverso lo stile di Papa Leone XIV. Il giorno in cui si è recato in pellegrinaggio a Genazzano, rientrando a Roma si è fermato a Santa Maria Maggiore per portare un mazzo di fiori alla Madonna Salus Populi Romani. E subito Andrea Tornielli ha titolato: “Il Papa in preghiera sulla tomba di Papa Francesco”.
Da quando Leone XIV è stato eletto, Tornielli era piombato in un silenzio quasi totale. L’unica cosa che ha ritenuto di scrivere è stata questa notizia — peraltro imprecisa, se non strumentalizzata. Perché è evidente che la destinazione del pellegrinaggio era la Vergine Maria, non la tomba del predecessore. Leone XIV, da signore qual è, ha posato una rosa sulla tomba di Francesco, semplicemente perché era lì, prelevandola dallo stesso mazzo portato alla Madonna e ha pregato anche sulla sua tomba.
Ma siccome la lobby degli sciacalli aveva già iniziato la sua narrazione interessata, Leone XIV ha deciso di recarsi subito dopo sulla tomba dell’apostolo Pietro, dove ha celebrato l’Eucaristia e ha pregato anche presso le sepolture di tutti i suoi predecessori nelle Grotte Vaticane.

Il messaggio è stato chiaro, sobrio, ma fermo: “Non ho feticismi personali. Tutti i miei predecessori meritano rispetto perché sono parte della storia della Chiesa. La mia devozione? Solo a Dio e ai santi. Il resto è culto della personalità, e io non lo pratico.”
I fuori programma di Papa Leone XIV
Se osserviamo con attenzione, uno degli aspetti che più caratterizzano Papa Leone XIV è la centralità della preghiera. In tutti i cosiddetti “fuori programma” compiuti da Prevost, si nota sì un’attenzione autentica alle persone – incontri reali, non costruiti – ma soprattutto emerge con forza la dimensione spirituale: la preghiera viene sempre prima. Lo abbiamo visto a Genazzano con gli agostiniani, lo abbiamo visto nella curia generalizia dello stesso ordine dove ha celebrato l’Eucaristia, e lo abbiamo visto anche al Dicastero per i Vescovi, dove si è recato per celebrare la Messa con i suoi ex collaboratori.
Purtroppo, non si può dire lo stesso del passato recente. In quegli anni, i “fuori programma” sembravano più che altro eventi coreografati per la stampa, con schiere di giornalisti e pochi sacerdoti, e quasi mai la preghiera o la celebrazione eucaristica erano presenti.
In queste ore sta circolando un video emblematico: il cardinale Matteo Maria Zuppi, altro volto noto della comunità di Sant’Egidio, fa visita a una donna (non meglio identificata) che abita di fronte alla porta di un perugino. Non è chiaro chi sia questa signora – il suo stato d’animo appare instabile – ma le sue parole, così come quelle dello stesso Zuppi, sono significative. Il presidente della CEI afferma che “al Papa si obbedisce sempre”, ma lascia trasparire un tono tiepido, se non velatamente critico. L’entusiasmo che lo animava in passato è visibilmente affievolito.
A questo punto, la domanda è inevitabile – e la rivolgiamo anche al cardinale Zuppi: “Cosa è cambiato, davvero? Sono forse venuti meno certi legami sotterranei, certe dinamiche informali di potere? Oppure il problema è un altro?” Perché sì, al Papa si obbedisce sempre – e lo abbiamo sempre detto anche noi – ma esiste una differenza profonda tra l’obbedienza vissuta con entusiasmo e convinzione, e quella fredda, formale, dettata solo dal dovere istituzionale. Crediamo che oggi sia urgente riflettere su questo. E invitiamo soprattutto i chierici a farlo, con serietà e profondità. Perché capire chi è davvero fedele alla Chiesa e al Papa – non alla persona, ma all’istituzione e alla figura del Successore di Pietro – è una responsabilità che non si può più rimandare.
d.P.T.
Silere non possum