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Vittorio Veneto - Lo schema degli abusi di potere nella Chiesa si ripete con inquietante regolarità.“Tu sai cosa hai fatto”: con queste parole Suor Simona Brambilla si è rivolta a Madre Aline Pereira Ghammachi, quando quest’ultima ha chiesto spiegazioni circa i provvedimenti adottati in modo evidentemente contrario al diritto. Era il 21 novembre 2024 e in Dicastero qualcuno, non senza timore, commenta: “Ne stiamo vedendo di tutti i colori da quando è arrivata come Segretario, figuratevi quando è diventata Prefetto”.
E le parole utilizzate con la Badessa di San Giacomo di Veglia ricordano la stessa e identica formula ambigua e accusatoria che ha segnato la dolorosa vicenda della Comunità di Bose, contribuendo al suo lento ma inesorabile tracollo.
Eppure, il Diritto Canonico – che non è un’opinione, ma un ordinamento giuridico vero e proprio – non lascia spazio a interpretazioni arbitrarie: non contempla affatto che le persone debbano “intuire” le accuse mosse contro di loro. Al contrario, richiede che ogni addebito sia formulato per iscritto, in modo chiaro e inequivocabile, affinché l’interessato possa esercitare pienamente il proprio diritto alla difesa. Sul piano spirituale, poi – non va dimenticato che il Codice si chiude con l’espressione “salus animarum suprema lex” – l’assenza di un confronto autentico con l’errore impedisce qualsiasi possibilità di redenzione e di cammino di conversione. Tale approccio alle questioni fa emergere un elemento inquietante: anche chi oggi guida il Dicastero – pur trattandosi di figure considerate innovative e madri della psiche – sembra non muoversi affatto in un’ottica di recupero del reo e di reintegrazione ecclesiale. Anzi, in un curioso ribaltamento rispetto a quanto dichiarato da padre Mauro Giuseppe Lepori, accusato da più monasteri di atteggiamenti autoritari e abusivi, in questo caso è stato invece chiesto alla badessa di lasciare il proprio monastero e trasferirsi altrove. Questo modo di procedere riflette un certo stile tossico, incline a piegare il diritto alla logica della morale soggettiva, trasformando la giustizia in giudizio sommario.
Veniamo ai fatti. Come abbiamo già raccontato, la comunità ha subito una serie di abusi, visite apostoliche e commissariamenti imposti in modo discutibile. La prima visita, condotta da Madre Ester Stucchi, aveva già evidenziato l’infondatezza delle accuse contenute in una lettera anonima inviata al Papa. Non solo: la stessa Madre Ester era riuscita a identificare chi aveva sobillato le monache affinché scrivessero quella lettera. In seguito, Mauro Giuseppe Lepori, abate generale dell’ordine cistercense, si è fatto nominare commissario del monastero, violando apertamente ogni principio di opportunità e ignorando evidenti conflitti di interesse. Una nomina che è stata fortunatamente revocata su richiesta della Madre Badessa.
A distanza di poco tempo, nell’aprile 2024, viene nominata una nuova visitatrice apostolica: Donatella Forlani, figura quantomeno discutibile, e non solo per ciò che ha fatto all’interno del Monastero. Una rapida ricerca online rivela che ha ottenuto una Licenza e un Dottorato presso l’Istituto di Psicologia della Pontificia Università Gregoriana di Roma. Siamo, ancora una volta, al punto di partenza.
Si ripete lo stesso copione già visto nella vicenda della comunità di Bose, con Amedeo Cencini al centro della scena. Cencini è stato difeso – anzi, coperto, è bene sottolinearlo – dall’Ordine degli Psicologi del Veneto, che si è affrettato a dichiarare: “non vi sono illeciti deontologici nel suo comportamento e nelle sue parole”. Peccato che gli illeciti erano evidenti e, incalzati dalle domande della stampa, siano stati costretti a ritrattare più volte, fino a rifugiarsi nel comodo alibi della prescrizione, pur di non entrare nel merito delle affermazioni pronunciate da Cencini. Eppure, nei documenti ufficiali, della prescrizione non c’è traccia. Nel frattempo, i video dello stesso Cencini – che ci tocca ancora definire “psicologo”, con tutto il rispetto per una professione che merita ben altra serietà – restano pubblicamente accessibili online. Va poi ricordato che a Bose furono chiamati anche Anna Deodato, smascherata da Silere non possum per aver millantato il titolo di psicologa senza mai esserlo stata, ed Enrico Parolari, tristemente noto in Lombardia per i danni causati dalle sue “convinzioni pseudo-psicologiche”. Proprio queste sue pratiche sono tornate recentemente all’attenzione fra il clero per l’intervento su un presbitero bresciano – ma di questo parleremo prossimamente.
E ora, con Donatella Forlani, ci troviamo di fronte all’ennesima “psicologa” formata alla Gregoriana che va a mettere, in modo del tutto disinteressato e professionale, alla mal capitata comunità religiosa di turno. E sappiamo bene cosa comporta questo: un sistema in cui le convinzioni morali e le pressioni dell’ambiente ecclesiastico (Università e Dicasteri) contano più della scienza, più del confronto con i colleghi, più del rispetto del codice deontologico. Gli esempi sono numerosi, ma gli ordini professionali italiani continuano a consentire a queste figure di esercitare indisturbate. Un fatto che, da solo, è già una prova di colpevolezza.
Insieme a questa donna viene nominato anche il Reverendo padre Salvatore Farì, in qualità di co-visitatore.

Mentre il sacerdote vincenziano, dopo aver osservato la comunità, aveva rilevato che non vi fossero criticità insormontabili, l’approccio di Donatella Forlani è stato di tutt’altro tenore. I colloqui condotti con la comunità, definiti “pseudo-psicologici” da chi li ha subiti, risultavano privi del rispetto dovuto sia alla professione psicologica sia al relativo codice deontologico. Nulla di nuovo, purtroppo: dinamiche simili si erano già verificate a Bose, per mano di altri noti "psicologi" formatisi nelle pontificie facoltà, le cui teorie – spesso discutibili, per non dire dannose – lo Stato italiano continua a legittimare attraverso il riconoscimento accademico.
Nel caso di Donatella Forlani, è emerso chiaramente che la sua presenza in comunità rispondeva a un mandato ben preciso del Dicastero per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica. Nonostante le monache stessero già seguendo – fortunatamente – percorsi psicologici individuali, Forlani, che sembra considerarsi la nuova Freud della Gregoriana, non ha ritenuto opportuno alcun confronto con i colleghi che avevano già in cura le religiose. Ci chiediamo: avete mai visto un cardiologo prendere in carico un paziente senza neppure visionare la cartella clinica o confrontarsi con chi lo ha seguito prima di lui? Noi, sinceramente, no.
Al termine della visita condotta tra aprile e luglio 2024 dai due visitatori incaricati, alle monache è stato comunicato che “è necessario intensificare la formazione, aumentare i momenti di ricreazione e dedicare più tempo all’adorazione eucaristica”. Già questa indicazione presenta una prima evidente discrepanza rispetto alle dichiarazioni rilasciate pochi giorni fa da padre Mauro Giuseppe Lepori a Pomeriggio Cinque. L’abate, infatti, aveva criticato le monache per aver promosso la produzione del vino con modalità da lui ritenute “non molto monastiche”. Tuttavia, qui si chiede esplicitamente alla comunità di aumentare le occasioni di ricreazione.
Tornano alla mente, a questo proposito, le parole di un cardinale noto per la sua bontà e profondità spirituale. Riferendosi al clima nei seminari, soprattutto tra il 2013 e il 2025, affermava con amarezza: “Se sei A, ti dicono che dovresti essere B. Se sei B, devi necessariamente diventare A. Una formazione del genere è pura follia.” Questa tendenza, sempre più evidente negli ultimi anni, è caratteristica di chi sembra determinato a individuare a ogni costo delle problematiche nei consacrati. Certo, ogni uomo o donna ha aspetti da limare e un cammino di santificazione personale da percorrere, ma la ricerca ossessiva di “qualcosa che non va” è tipica di quei formatori narcisisti che vogliono, ad ogni costo, lasciare un segno su chi formano – sia esso un monaco o un sacerdote – per potersi attribuire il merito di un presunto cambiamento (il quale spesso è tutt'altro che positivo!) “Troverebbero da ridire perfino su San Luigi Gonzaga”, ha commentato amaramente il porporato. Nonostante tutto, la Badessa e le monache avevano colto l'invito e si erano iscritte a dei corsi all'Ateneo San Anselmo a Roma e avevano messo in pratica anche le altre richieste.

Il narcisismo di Mauro Giuseppe Lepori
Nei giorni scorsi, Mauro Giuseppe Lepori si è fatto intervistare da Pomeriggio Cinque, scegliendo come scenografia il chiostro della casa generalizia sull’Aventino. Un’intervista, naturalmente, concordata nei minimi dettagli: la giornalista – visibilmente asservita – si è limitata a porre le domande che Lepori stesso aveva chiesto venissero poste. Nessuna contraddizione, nessuna vera domanda, nessun approfondimento. Sarebbe stato lecito, invece, chiedere all'Abate generale come mai non abbia ritenuto opportuno astenersi dal giudicare e intervenire in questa vicenda, considerato il suo rapporto personale con la badessa. La giornalista non ha nemmeno sfiorato il tema dei messaggi e delle email pubblicati da Silere non possum (e che lei ha detto di aver letto), che hanno indotto il Dicastero per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica a revocare la sua nomina a Commissario Pontificio. Nulla. Silenzio assoluto. Eppure, anche dall’abbazia svizzera da cui proviene Lepori, c’è chi osserva che questo modo di agire gli è tristemente abituale. Non a caso, dicono in molti, lì hanno trovato il modo di liberarsene quando è andato a Roma.
Nel novembre 2024, suor Simona Brambilla – celebrata da certa stampa come una sorta di “nuova pentecoste” unicamente per il fatto di essere donna, quasi che la competenza dipendesse dal sesso biologico – contattò la badessa Aline Pereira Ghammachi, informandola che Donatella Forlani si sarebbe recata in visita per un incontro privato. Forlani desiderava incontrare la badessa in segreto, lontano dagli occhi della comunità. Tuttavia, la madre si rifiutò con fermezza, ribadendo che non aveva mai lasciato il monastero senza un valido motivo né senza informare le sue consorelle. Un atteggiamento che, seguendo la stessa logica di padre Mauro Giuseppe Lepori, dovrebbe essere considerato “molto monastico”. Ma evidentemente, in questo caso, neppure questo andava più bene. “Se sei A, devi essere B” – ricordiamolo – è la dinamica tipica dell’abuso di coscienza. Alla fine, Forlani accettò di incontrare la badessa in una zona riservata del monastero. Lì, senza preamboli, le comunicò: “Devi lasciare il monastero.” La madre chiese spiegazioni, facendo notare di non aver mai ricevuto alcuna contestazione, nessun atto formale, né prova di presunte mancanze. Solo l’ordine, perentorio, di lasciare il monastero.
È importante ricordare che, contrariamente a quanto affermato pubblicamente – e falsamente – da Mauro Giuseppe Lepori, madre Aline Pereira Ghammachi era stata regolarmente eletta dalla comunità, e il suo mandato era scaduto naturalmente. In base a questo, si sarebbe dovuto procedere con una nuova elezione in Capitolo. Considerato che solo quattro monache si erano dichiarate insoddisfatte del suo operato, la possibilità di una riconferma era più che concreta.
Probabilmente, era proprio questo a preoccupare Lepori. Non così, invece, il Dicastero, che – come dimostrano i documenti in nostro possesso – aveva invece prorogato tutte le cariche, compresa quella di badessa, per poter approfondire meglio la situazione. Dalle stesse fonti interne al Dicastero in piazza Pio XII si apprende che “di chiaro c’era ben poco, perché Lepori mostrava una fretta sospetta, quasi una smania che tutto venisse deciso in tempi rapidissimi.” Un’ulteriore conferma del fatto che le dichiarazioni rilasciate in questi giorni da Lepori ai media contengono elementi oggettivamente falsi.

Brambilla, gli abusi delle donne, non diversi da quelli degli uomini
Il 21 novembre 2024, Madre Ghammachi varca le soglie del Dicastero per la Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, in Piazza Pio XII, per un colloquio con la Prefetto, suor Simona Brambilla, al fine di ottenere chiarimenti sulla decisione che la riguardava. Alla sua legittima richiesta di spiegazioni, si è vista rispondere con un laconico e allusivo: «Tu sai perché. Tu sai cosa hai fatto». Una risposta di questo tipo, priva di elementi oggettivi e di qualunque riferimento a norme canoniche o fatti concreti, richiama purtroppo dinamiche tipiche di contesti in cui il potere è esercitato in modo abusivo, in assenza di trasparenza e in aperta violazione non solo del diritto canonico, ma anche dei principi di fraternità evangelica. Questa modalità di gestione relazionale appare ancor più grave se si considera che suor Simona Brambilla ha più volte dichiarato una particolare competenza nelle dinamiche psicologiche e nella guida della vita consacrata. Tuttavia, in questa circostanza – come in altre precedenti – il suo comportamento risulta tutt’altro che esemplare e suscita seria preoccupazione. Un precedente significativo riguarda il Caso Sant'Anselmo sull’Aventino. Anche in quell’occasione, nonostante le numerose segnalazioni relative a gravi abusi di autorità e a comportamenti vessatori nei confronti di un abate e docente proveniente dalla Polonia, il Dicastero non è intervenuto in alcun modo. È documentato, infatti, che effetti personali dell’abate siano stati gettati nel corridoio e in un parlatorio, in un gesto palesemente intimidatorio e umiliante. A fronte di tali fatti, la Prefetto non ha assunto alcuna iniziativa pubblica di condanna o di tutela, offrendo così, di fatto, una forma di avallo silenzioso a prassi che nulla hanno a che fare con la giustizia e la carità cristiana. Una simile gestione, che evita sistematicamente il confronto trasparente e il rispetto delle norme ecclesiali, mina la credibilità dell’istituzione e mortifica la fiducia di tanti consacrati e consacrate che si affidano alla Santa Sede nella speranza di trovare giustizia e ascolto.
L’incontro non produsse alcun risultato concreto e, nel giorno del Venerdì Santo, 18 aprile 2025, è stato notificato alla Madre il nuovo decreto con cui viene nominata “Commissaria Pontificia” la Reverenda Suor Martha Elisabeth Driscoll O.C.S.O, appartenente all’Ordine delle Monache Cistercensi della Stretta Osservanza. Con lei due "consigliere": la Reverenda Suor Luciana Pellegatta e Donatella Forlani. C'è da chiedersi, come mai tutti coloro che hanno dato giudizio positivo - Abate Zanolini, Madre Stucchi, Sig. Testa e Padre Farì - sono stati esautorati dai loro incarichi e fatti fuori?
È opportuno precisare sin da subito che Suor Driscoll, pur stimata anche da Silere non possum per alcuni suoi interventi in materia di vita sacerdotale, ha oggi 81 anni e non appare in possesso delle energie fisiche né della lucidità necessaria per assumere la guida di una comunità monastica profondamente segnata da tensioni interne, lacerazioni e divisioni. Inoltre, fatto tutt’altro che irrilevante, la religiosa intrattiene un rapporto di stretta vicinanza (più che di stretta osservanza!) con Mauro Giuseppe Lepori, condizione che ne compromette l’imparzialità e la capacità di agire con equidistanza.
In queste ore, infatti, Suor Driscoll sembra agire secondo modalità che da tempo vengono denunciate da numerose monache nei monasteri femminili: atteggiamenti marcatamente autoritari e punitivi che si traducono in una vera e propria pressione psicologica ai danni delle consorelle. In particolare, sta esercitando forti pressioni su Madre Aline Pereira Ghammachi affinché chieda la dispensa dai voti religiosi, inducendola così ad abbandonare la vita monastica. È stata sempre Driscoll a chiedere all'oblata intervistata dalla televisione italiana di lasciare il monastero. Inoltre, sempre la monaca statunitense, sta agendo di concerto con p. Lluc Torcal, procuratore generale dell'Ordine Cistercense e fedelissimo di Mauro Giuseppe Lepori, al fine di fare "continue conferenze alla comunità monastica al fine di fare un lavaggio del cervello sull'unità". L'unità predicata da queste persone, però, è proprio quella che p. Dysmas De Lassus nel suo libro sugli abusi nella vita religiosa definisce: "uniformità". Ritornando sempre alla vicenda di Bose, il quale schema viene ripetuto qui, anche lì iniziarono a fare delle conferenze alla comunità guidate da Amedeo Cencini, Enrico Parolari e Anna Deodato. I monaci commentavano così: "Ci trattano come deficienti, ci facevano fare dei giochini che, a loro parere, avrebbero rivelato grandi cose sulla nostra personalità".
Del resto, questo è il modo in cui la cerchia di Amedeo Cencini e di coloro che lo hanno appoggiato per anni, ha utilizzato la psicologia nella Chiesa: "Se sbatti le palpebre sei pazza, se muovi i piedi sei pedofilo, se ti tocchi il naso sei aggressiva, se ti gratti la spalla sei lesbica". Gli ordini professionali ovviamente tacciono e le monache e i monaci, i seminaristi e le religiose, continuano a restare vittime di questi psicopatici che si definiscono "psicologi".
Tornando a San Giacomo, Madre Driscol contesta alla Badessa anche la decisione di essersi temporaneamente trasferita presso un’abitazione a Vittorio Veneto, scelta motivata unicamente dalla vicinanza e dal sostegno dei suoi familiari, a seguito del trattamento subito. Una circostanza che richiama alla mente numerosi altri casi, riguardanti sacerdoti, seminaristi, religiosi e religiose, i quali vengono sistematicamente emarginati o sottoposti a vessazioni fino a costringerli all’allontanamento dalla comunità, senza che venga offerta loro alcuna forma di sostegno o accompagnamento, nonostante ciò sia espressamente previsto dal Codice di Diritto Canonico.
Le pressioni esercitate da Suor Driscoll configurano una forma evidente di mobbing nei confronti di una monaca già fortemente provata e visibilmente impaurita, in un momento di profondo turbamento personale e spirituale. È bene ricordare che anche per quanto riguarda questo ci sono atti incontestabili firmati dai Carabinieri della Stazione di Vittorio Veneto che il 26 aprile 2025 hanno raccolto la "denuncia-querela" di Madre Ghammachi.
Come accadde nel caso di Bose, si assiste all’imposizione forzata di una distanza fra le monache, andando ben oltre il compito di guida che spetta alla Chiesa, e sfociando invece in una chiara manipolazione delle coscienze. A ciò si aggiunge l’atteggiamento sprezzante con cui la stessa Driscoll ha accolto la decisione di Madre Ghammachi di ricorrere per vie legali, sia civili sia canoniche. “Vuoi continuare un conflitto solo per dimostrare che la Chiesa ha agito ingiustamente nei tuoi confronti, non perché tu voglia essere reintegrata, ma solo per dimostrare di avere ragione”, ha affermato Driscoll. Una dichiarazione che non solo travisa le reali intenzioni della monaca, ma rivela anche una preoccupante tendenza ad identificare sé stessa con la Chiesa istituzionale, legittimando così un comportamento abusivo e autoriferito. In realtà, le religiose coinvolte non intendono affermare che “la Chiesa” abbia agito ingiustamente, bensì denunciare le responsabilità specifiche di figure ben determinate: Mauro Giuseppe Lepori, Donatella Forlani e ora Elisabetta Driscoll. Anche perchè altrimenti si sarebbero rivolte altrove e non alla Segnatura Apostolica, che è espressione della Chiesa.
Il tutto avviene, infine, nel contesto di una evidente volontà di proteggere le quattro suore che hanno calunniato la Badessa e le sue consorelle: un’accusa gravissima, quella formulata dalla quattro religiose, che non ha tuttavia comportato alcuna conseguenza per le autrici, evidentemente tutelate da Mauro Giuseppe Lepori, il quale, va ricordato, è direttore spirituale di alcune di loro.
Ma la vicenda non termina qua.
p.M.A.
Silere non possum