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Città del Vaticano - L’Ordine cistercense sta attraversando una delle fasi più oscure della sua storia millenaria. Fondato nel 1098 dall’abate Roberto di Molesme con l’istituzione dell’abbazia di Cîteaux, l’Ordine nacque dal desiderio di alcuni monaci cluniacensi di ritornare a una più rigorosa osservanza della Regola di san Benedetto. Austerità, preghiera e lavoro manuale ne furono i tratti distintivi fin dall’inizio. Tuttavia, oggi quell’identità sembra profondamente incrinata e quelle comunità che si impegnano in tal senso vengono prese di mira.

Dal 2010, l’Ordine è guidato da Mauro Giuseppe Lepori, un monaco svizzero originario di Lugano, noto più per i suoi legami con Comunione e Liberazione che per una concreta testimonianza di vita monastica. La sua figura ha suscitato e continua a suscitare perplessità all’interno e all’esterno dell’Ordine, in particolare per l’approccio gestionale e il suo stile di governo. Lepori risiede stabilmente a Roma, presso la Casa Generalizia all’Aventino, in Piazza del Tempio di Diana: un luogo che è più uno studentato che a un vero monastero, in cui la vita monastica, nella sua forma tradizionale, è quasi del tutto assente.

È noto per i suoi frequenti viaggi, sostenuti economicamente dall’Ordine, e per la difficoltà manifesta nel costruire relazioni autentiche con le comunità monastiche. “Sostiene che la comunità di Heiligenkreuz non sia un vero monastero”, racconta un monaco, segnalando come Lepori tenda a diffidare delle realtà numerose, forse proprio perché non riesce a controllarle. Questa diffidenza non è un caso isolato: riflette una dinamica più ampia che coinvolge molti superiori di ordini religiosi che sono propensi alla manipolazione. Questa situazione è aggravata dalle direttive del Dicastero per la Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica degli ultimi anni. A seguito di tali orientamenti, numerosi superiori generali hanno preso di mira le comunità più piccole, con modalità sempre più aggressive. “Ci sono vere e proprie minacce rivolte a monache e monaci che appartengono a comunità poco numerose”, denuncia una monaca. “Vengono e ti dicono che bisognerà chiudere”, aggiunge un’altra.

Tuttavia, la gestione non è uguale per tutti. È evidente l’esistenza di una logica di favoritismi: chi si adegua alle pretese personali del superiore di turno può persino ottenere la nomina ad abate o badessa, anche in comunità che non hanno nemmeno il numero minimo richiesto dal diritto per averla/o. Una prassi che mina non solo la credibilità, ma anche la legalità canonica della vita religiosa. L'abate generale dell'Ordine Cistercense in questi anni ha preso di mira numerose realtà, soprattutto quelle più floride e numerose. Inoltre, sottolineano alcuni membri dell'ordine, ha portato a chiusura molte comunità.

In alcuni casi Mauro Lepori ha assunto addirittura il ruolo di guida spirituale per alcuni membri dell’Ordine, confondendo pericolosamente foro interno e foro esterno, in aperta violazione della distinzione canonica e spirituale che la Chiesa prescrive da secoli. Il suo stile autoritario, unito a un’intolleranza verso il dissenso, ha generato un clima irrespirabile in molte comunità, dove si moltiplicano segnalazioni di abusi di coscienza e di autorità.

Tra i monasteri colpiti da questo atteggiamento si annoverano quello di San Giacomo di Veglia (Vittorio Veneto), il Monastero di Zirc (Ungheria), quello di Santa Susanna a Roma e il Monastero di Bornem (Belgio). In ciascuna di queste situazioni, l’abate generale ha ottenuto la nomina a commissario pontificio. Un fatto che pone evidenti interrogativi circa un evidente conflitto d’interessi: la funzione di commissario, per natura e per diritto, dovrebbe essere esercitata da soggetti esterni all’ordine, privi di vincoli di amicizia o subordinazione rispetto al superiore dell’ordine. La prassi ecclesiale, infatti, richiede una separazione tra chi esercita il governo e chi viene incaricato di verificare e, se necessario, correggere eventuali abusi. Non meno problematica è la concentrazione di potere che si registra in altri contesti: Lepori, ad esempio, è stato nominato anche pro-presidente della congregazione brasiliana, sommandosi così ai già numerosi incarichi apicali. Una tale sovrapposizione di ruoli rischia di violare i principi basilari di equilibrio e vigilanza che lo stesso diritto canonico tutela (cfr. Codex Iuris Canonici, can. 127 e ss.).

Ordine spaccato: Lepori rieletto abate generale

Tra l’8 e il 22 ottobre 2022 si è tenuto il Capitolo Generale dell’Ordine Cistercense, un evento che ha messo in piena luce lo stato di profonda insoddisfazione e frammentazione interna che attraversa oggi l’Ordine. In questo contesto, le parole dell’abate di Wettingen-Mehrerau, Vinzenz Wohlwend, si sono distinte per il coraggio con cui ha denunciato le criticità del governo dell’abate generale Mauro Giuseppe Lepori. Wohlwend ha espresso, senza ambiguità, la preoccupazione per uno stile di leadership autoritario, in cui la fedeltà al superiore sembra contare più della fedeltà alla Regola e alla vita monastica. O si fa come dice lui, o si è considerati inadeguati alla vita cistercense: questo, in sintesi, il giudizio. Ma a quale monachesimo autentico può richiamarsi chi ha esercitato, per gran parte del suo percorso, più l’arte della connessione che quella dell’ascesi? Ad Hauterive, abbazia da cui proviene, non descrivono affatto Lepori come un monaco esemplare. La sua ascesa nei ranghi dell’Ordine sembra piuttosto il frutto di solide relazioni, anche in ambito ecclesiale e culturale, con ambienti di potere come quello gravitante attorno a Comunione e Liberazione.

Il Capitolo Generale
, lungi dall’essere un’occasione di comunione e discernimento, ha mostrato tutte le lacerazioni interne. L’abate Johannes Szypulski dell’abbazia di Zwettl aveva chiesto un momento di confronto tra i padri capitolari prima dell’elezione del nuovo abate generale. Ma la proposta fu rigettata dal procuratore generale Lluc Torcal, fedelissimo di Lepori, con la motivazione – piuttosto debole – che “non era possibile perché la votazione non si può interrompere”. La realtà è che molti dei presenti non si conoscevano neppure tra loro: e come può esistere autentico discernimento in assenza di conoscenza reciproca? Il risultato fu un’assemblea spaccata, in cui Lepori venne rieletto solo al quarto scrutinio, con uno scarto minimo (44 voti contro i 43 ricevuti dall’abate Peter Verhalen di Dallas).

Quest’ultimo è da molti ritenuto uomo di maggiore equilibrio, capace di ascolto e lontano da dinamiche divisive. Il confronto, quindi, non era tra un candidato forte e uno debole, ma tra due visioni ecclesiali opposte. La scelta di Lepori, dunque, non sembra derivare da un consenso maturo, bensì da un’impossibilità di orientarsi verso candidati di cui non si aveva una conoscenza adeguata.

Ecco dove si manifesta con più evidenza la questione centrale: la volontà di potere. Il rifiuto di fare un passo indietro davanti a una divisione così evidente non è gesto di forza, ma di debolezza travestita da determinazione. Chi ama davvero la comunità che serve, di fronte a un’elezione così spaccata, si interroga, si ritira, si mette da parte. Ma per chi è abituato a vivere la vita religiosa come un percorso di carriera più che come sequela Christi, la rinuncia è impensabile. Sembra riecheggiare qui la lezione classica di Lord Acton: “Il potere tende a corrompere, e il potere assoluto corrompe in modo assoluto”. Il nome di Mauro Giuseppe Lepori è molte in auge negli ambienti del potere ma è rifiutato da chi vive la vita monastica, da chi vive il proprio sacerdozio fedelmente e da chi vive davvero la Chiesa, la pastorale. Grazie alle sue connessioni Lepori riuscì a farsi inserire fra i vescovi che sarebbero potuti succedere a Mons. Vitus Huonder a Coira ma suscitò le ire dei membri del capitolo della cattedrale di Coira che rifiutarono categoricamente il suo nome. “Per noi cistercensi sarebbe stata una liberazione”, confessa un monaco. Anche per la diocesi di Lugano, la quale è attualmente in una situazione veramente difficile, il nome di Lepori era stato proposto ma i preti hanno immediatamente fatto sentire la loro voce.

Il caos a Piazza Pio XII

Nel frattempo, il Dicastero per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, a cui spetta il compito di vigilanza e discernimento, sembra non comprendere appieno l’autonomia giuridica e spirituale dei monasteri sui iuris. Come ben chiarisce san Benedetto nella sua Regola, a capo del monastero vi è sempre un abate o una badessa, e la comunità deve vivere nella stabilitas loci, non sotto il controllo di abati generali, religiosi esterni o di funzionari romani. L’articolo pubblicato ieri da Silere non possum ha contribuito ad accendere i riflettori su una piaga profonda e sistemica: gli abusi spirituali e psicologici esercitati da autorità ecclesiastiche nei confronti di membri di istituti religiosi. Una denuncia che si inserisce nel quadro più ampio degli scandali che negli ultimi anni hanno interessato anche il Dicastero stesso.

Nonostante l’entusiasmo mediatico che ha accompagnato la nomina di suor Simona Brambilla a prefetto del Dicastero (6 gennaio 2025), molti religiosi hanno espresso fin da subito forti perplessità. Le critiche, in particolare, sono arrivate da chi conosce da vicino l’operato della religiosa, appartenente alle Missionarie della Consolata, già segretario dello stesso Dicastero. Alcune suore, anche tra quelle a lei più vicine, avevano lanciato un allarme: “Qui i problemi si moltiplicheranno”. Il punto non è il genere del prefetto, ma la competenza e l’ascolto. In un dicastero tanto delicato, serve una reale capacità di discernimento, un ascolto non giudicante, e una conoscenza diretta della vita monastica. Invece, ciò che spesso si osserva è una gestione influenzata da modelli pseudopsicologici appresi in ambienti come la Pontificia Università Gregoriana, dove autori come Amedeo Cencini hanno proposto visioni della psicologia profondamente distorte rispetto alla sua vocazione umanistica originaria. Come già denunciato da più parti, quella che dovrebbe essere una scienza dell’accompagnamento e dell’accoglienza, viene trasformata in uno strumento di controllo, giudizio e intrusione nei vissuti interiori dei religiosi. Si tratta di un utilizzo manipolatorio e abusante delle scienze psicologiche che abbiamo ritrovato spesso anche nelle case di formazione e nei seminari.

Si pensi, ad esempio, a coloro che vengono incaricati dal Prefetto, dal Vescovo o dal Rettore del Seminario per condurre colloqui o valutazioni su monaci, monache, sacerdoti o seminaristi. Questi incarichi ricadono quasi sempre su persone legate all’ambiente ecclesiale, spesso formatesi in contesti accademicamente discutibili, che utilizzano la psicologia e la spiritualità non come strumenti di autentico discernimento, ma come mezzi per “etichettare”, “giudicare” e “diagnosticare” secondo criteri soggettivi e orientati dalle aspettative di chi ha commissionato la valutazione, piuttosto che da parametri realmente scientifici e oggettivi. Si assiste così a vicende dolorose che vanno a colpire uomini e donne che hanno donato alla Chiesa la loro vita ma vengono trattate senza alcuna carità cristiana e vengono emessi giudizi senza alcuna oggettività.

La questione, tuttavia, va oltre la persona del Prefetto, la quale ama farsi chiamare Prefetta e questo dovrebbe già dare l'idea di quali sono le sue reali preoccupazioni. Il Dicastero appare da tempo immerso in una rete di relazioni di potere, favoritismi e familismo clericale, come ha rivelato Silere non possum nel caso di San Anselmo, con i gravi abusi contro l’abate polacco.

A dominare è un clima in cui l’influenza personale ha più peso della giustizia e del diritto. Il problema di fondo resta l’incompetenza rispetto alla vita monastica: cosa può comprendere una suora missionaria o un salesiano del silenzio, della clausura, della stabilità di un monastero? Nulla. E questa ignoranza si riflette nelle decisioni spesso sconcertanti che continuano a uscire dagli uffici di piazza Pio XII, di cui a breve parleremo, e che creano gravi scandali anche agli occhi del Popolo di Dio.


p.M.A. 
Silere non possum