Non è la giovinezza a mancare nel mondo, ma la misura. Quando Zohran Mamdani, trentquattrenne, è stato eletto sindaco di New York, molti hanno parlato di “rivoluzione”. Ma la sua storia sembra dire altro: non un rovesciamento, bensì un ritorno. Ritorno al limite, al gesto che Albert Camus avrebbe chiamato rivolta.
Perché la rivolta, diversamente dalla rivoluzione, non distrugge: custodisce. È il “no” che difende un valore, il rifiuto che non diventa negazione.

La vittoria di Mamdani, figlio di due mondi e di nessuna appartenenza assoluta, è allora il segno di un tempo che cerca autenticità senza più fidarsi dell’esperienza, che crede nella sincerità più che nella saggezza.
In lui, l’America non vede soltanto un politico giovane, ma la possibilità di credere che si possa ancora cominciare — senza dover cancellare tutto.

Albert Camus, ne L’uomo in rivolta, distingueva con chiarezza la rivolta dalla rivoluzione: la prima nasce dal bisogno di senso, la seconda dal desiderio di potenza. “L’uomo, rivoltandosi, pone un limite alla storia: a questo limite nasce la promessa di un valore”, scriveva.
Il ribelle, per Camus, è colui che si oppone all’assoluto proprio per salvare l’umano: non vuole rifare il mondo, ma impedirne la disumanizzazione. È la differenza tra chi cerca la purezza e chi cerca la giustizia.

La rivolta misurata, la pensée de midi che Camus contrapponeva al fanatismo ideologico, diventa allora una forma morale della giovinezza: riconoscere che ogni valore ha un limite, e che oltre il limite inizia la violenza. La vittoria di Mamdani può essere letta così: come il segno di una generazione che non chiede di abbattere il potere, ma di abitarlo diversamente, di piegarlo alla misura dell’esperienza umana. Non l’utopia della tabula rasa, ma il tentativo di ritrovare nel potere una traccia di sincerità. Camus direbbe che in questo gesto abita una “colpevolezza ragionevole”: la consapevolezza che nessuno è puro, ma che si può restare fedeli a un valore senza idolatrarlo.
In un’epoca che confonde la giovinezza con la salvezza, questo è forse il punto più fragile e più fecondo: la giovinezza come limite, non come diritto. Ma proprio in quel limite, forse, si nasconde una forza ancora più profonda. Perché la misura non è negazione della vita: è la forma attraverso cui la vita può esprimersi senza distruggersi.
E allora la giovinezza, lungi dall’essere una minaccia, diventa la sorgente stessa della rinascita morale. È la forza che riporta nel mondo la coscienza che tutto può essere ricominciato.

Benedetto Croce, in pagine di straordinaria attualità, scriveva che la storia è «sempre storia della vitalità che sorge e si diffonde impetuosa» e che, senza di essa, «alla civiltà e alla moralità mancherebbe la premessa necessaria, la materia vitale da plasmare e indirizzare moralmente e civilmente». La vitalità, dunque, non è l’opposto della misura, ma la sua condizione: la materia viva che l’intelligenza e la responsabilità devono educare, non reprimere.

Croce non temeva la forza irruente della vita; ne riconosceva anzi la necessità: «Ravvisare la necessità e comprendere l’ufficio della vitalità irrompente e prepotente, estimarne e altresì ammirarne il vigore e la coerenza, considerarla come una forza poderosa che è da educare e non già da fiaccare e da sopprimere». Questa è, forse, la definizione più alta e non retorica della giovinezza al potere: una forza che la storia non deve soffocare, ma comprendere.
Perché ogni volta che il mondo diventa vecchio, è solo la giovinezza che può restituirgli la sua energia morale. Camus avrebbe detto che questa vitalità deve trovare la sua mesure, la sua pensée de midi, perché solo così resta umana. Croce la chiama libertà. La libertà, per lui, non è una teoria o un diritto astratto, ma «forza continua e costante», una forma morale che trasfigura la materia senza abolirla. «La libertà – scrive – accetta i contrasti che la realtà le porge, per affermare sé stessa nelle condizioni date, che dall’opera sua non sono abolite ma ben trasfigurate».

In questo senso, la giovinezza al potere non è un’anomalia, ma la forma visibile di questa libertà in azione. È la vitalità che irrompe nel mondo per costringerlo a non spegnersi nel cinismo o nella stanchezza. Non c’è vera civiltà senza questa tensione tra forza e forma, tra entusiasmo e responsabilità, tra la materia giovane della vita e la disciplina morale che la orienta. Senza di essa, la politica diventa amministrazione; con essa, torna a essere atto creativo, rischio, speranza.

E allora, forse, il compito della nuova generazione non è quello di cambiare tutto, ma di non lasciare morire nulla. Mamdani, nella sua vittoria, non rappresenta una rottura, ma un ricordo: che ogni società, per restare viva, deve continuamente rinascere. Che la libertà, come la giovinezza, non è mai conquistata una volta per tutte, ma continuamente da ritrovare — come quella «forza spirituale ed etica» che, dice Croce, «prorompe da ogni parte della storia». Forse è proprio questo, oggi, il segno dei tempi: che la giovinezza non è solo un’età, ma una responsabilità. E che, nelle mani di chi la abita con misura, essa può ancora diventare il volto più credibile della libertà.

d.F.G.
Silere non possum