Il dibattito contemporaneo tende a relegare la religione nel campo del sentimento, ma basta osservare la dinamica elementare dell’esperienza per accorgersi che la questione è più radicale. La domanda sul Mistero non è un moto emotivo: è una esigenza permanente dell’uomo. Da questa esigenza nasce la possibilità della rivelazione come ipotesi razionale.
Nella stagione culturale in cui ogni riferimento al Mistero sembra dissolversi in emozione o impressione privata, vale la pena tornare al punto decisivo: se il cristianesimo è credibile, non lo è perché consola, ma perché corrisponde meglio di ogni altra ipotesi alla struttura dell’uomo. È questo il movimento che don Luigi Giussani ha descritto con precisione nel suo lavoro educativo e teologico: l’uomo, quando rimane fedele a ciò che vive, è sospinto fino alla domanda sul Mistero; ed è lungo questa traiettoria dell’esperienza che la rivelazione cristiana emerge come la risposta più ragionevole all’attesa strutturale dell’io.
La struttura dell’io: esigenze ed evidenze che nessuno si dà da sé
Per Giussani, la natura dell’uomo è un insieme di esigenze ed evidenze originarie, quelle che definisce «esperienza elementare»: il desiderio di verità, giustizia, felicità, amore, significato. Sono fattori che non ci costruiamo da soli, ma ci costituiscono. La persona nasce già immersa in una domanda che non può eludere: «La natura lancia l’uomo nell’universale paragone con sé stesso, con gli altri, con le cose, dotandolo di un complesso di evidenze ed esigenze originali, talmente originali che tutto ciò che l’uomo dice o fa da esse dipende» scrive.
La ragione – intesa non come calcolo, ma come apertura alla totalità – porta l’uomo fino alla soglia dell’Infinito, del Mistero. Giussani è netto: la ragione umana, se è fedele a sé, non può fermarsi prima di questa soglia.
La scoperta del Mistero: ragione, non fantasia
In Il senso religioso Giussani afferma che ogni uso autentico della ragione conduce a riconoscere un livello ultimo della realtà: «La ragione riconosce, se è fedele al suo dinamismo originale di apertura alla totalità della realtà, l’esistenza di questo livello ultimo e misterioso della realtà». Il Mistero non nasce da un sentimento religioso, né da una fuga psicologica: è l’esito razionale di una ricerca onesta. L’uomo, nell’esperienza quotidiana, fa continuamente l’esperienza di qualcosa che lo supera, che pur intuendo non riesce a possedere. Proprio questa sproporzione tra desiderio e capacità è la firma del Mistero nella vita umana.
Il limite della ragione: la domanda su “Chi” sia il Mistero
Giussani mette a tema con chiarezza il punto più delicato: l’uomo può riconoscere il Mistero, ma non può giungere da sé a dire “Chi è”. È un limite strutturale, non psicologico: «Ma non può pretendere con le sue sole forze di conoscere “Chi” il Mistero sia». Ed è proprio in questo punto che nasce la possibilità della rivelazione: non come scorciatoia emotiva, ma come un’ipotesi imposta dalla struttura dell’io.
Perché la rivelazione è ragionevole
Se il Mistero esiste – e la ragione lo riconosce – allora è ragionevole chiedersi se questo Mistero possa volere entrare in rapporto con l’uomo. Giussani lo esprime così: «Il Mistero si fa conoscere solo svelandosi, prendendo l’iniziativa di collocarsi come fattore dell’esperienza umana, come e quando vuole. La ragione, infatti, attende questa “rivelazione”, ma non può farla accadere». Attende: questa parola è decisiva. La ragione giunge fino al desiderio che il Mistero si manifesti. Non può provocarlo, ma può riconoscerlo se accade.
In questo senso, l’ipotesi della rivelazione è la più ragionevole tra tutte: è l’unica che prende sul serio il dinamismo dell’io, la sua domanda di significato e di compimento. Attribuire il cristianesimo a una proiezione psicologica significa non comprendere la natura di questa attesa. L’emotività non può rispondere a una struttura permanente dell’io; solo un avvenimento può farlo.
Gesù come risposta al dinamismo dell’io: la pretesa cristiana
A questo punto si inserisce il dato storico del cristianesimo, che Giussani mette al centro del libro All’origine della pretesa cristiana. Cristo non entra in scena come maestro spirituale o come fondatore di un sistema etico. Entra come risposta al dramma dell’io umano. «In un certo momento storico un uomo, Gesù di Nazareth, non solo ha rivelato il mistero di Dio, ma si è identificato con esso». Ciò che rende credibile questa pretesa non è un’argomentazione astratta, ma la corrispondenza tra la presenza di Cristo e la struttura umana: il modo in cui Egli guarda, giudica, perdona, trasforma l’esperienza. Giussani formula con precisione il criterio ultimo della ragione: «Ho voluto esprimere la ragione per cui un uomo può credere a Cristo: la profonda corrispondenza umana e ragionevole delle sue esigenze con l’avvenimento dell’uomo Gesù di Nazareth». Cristo è credibile perché compie l’umano. La rivelazione non è un’emozione, ma un fatto che soddisfa la ragione.
La fede come vertice della ragionevolezza
Per Giussani, la fede cristiana non è un salto oltre la ragione, ma il suo compimento. La rivelazione diventa così l’ipotesi più ragionevole per un uomo che non tradisce la propria natura. È l’unica risposta che prende sul serio: la domanda umana di significato, l’esperienza del Mistero, l’attesa che il Mistero si comunichi e la verifica concreta di un’umanità più vera nell’incontro con Cristo. Il cristianesimo non è un’emozione sacra: è la possibilità razionale che il Mistero diventi presenza. E che l’uomo possa finalmente dire, senza forzature: «È proprio Lui ciò che stavo cercando».
d.S.A.
Silere non possum