Nei primi mesi del suo pontificato, Leone XIV ha già, in diverse occasioni, ai giovani ed è interessante notare come in tutte queste circostanze il Papa abbia concentrato la sua riflessione su un punto specifico: la relazione. Non l’organizzazione, non i progetti, non le riforme, ma il modo in cui un io incontra un tu e diventa un noi. Leone XIV ha deciso di prendere sul serio il fatto che la crisi del nostro tempo non è innanzitutto una crisi di idee, ma di legami.

Quando, nella lettera apostolica “Disegnare nuove mappe di speranza”, riconosce che «l’iper-digitalizzazione può frantumare l’attenzione; la crisi delle relazioni può ferire la psiche; l’insicurezza sociale e le disuguaglianze possono spegnere il desiderio», non sta solo elencando problemi sociologici: sta descrivendo una condizione esistenziale. In un mondo in cui le connessioni aumentano e le relazioni diminuiscono, il nostro sguardo di cattolici viene chiamato ad essere «faro», non come rifugio nostalgico, ma come laboratorio di discernimento, innovazione pedagogica e testimonianza profetica. 

In questa scelta di parole si coglie l’idea di fondo: la Chiesa non vuole sottrarre i giovani al mondo, vuole accompagnarli dentro il mondo, perché imparino a leggere la densità dei legami - familiari, affettivi, sociali - senza esserne travolti. È un passaggio sottile ma decisivo: non protezionismo, ma educazione alla relazione.

Se è vero, come ricorda Leone XIV, che al centro di tutto c’è Dio che «è amore», allora la posta in gioco non è semplicemente avere relazioni “più sane”, ma riconoscere che la struttura ultima del reale è relazionale. Dante Alighieri, alla fine del suo viaggio, riesce solo a balbettare che tutto è mosso da un legame d’amore: «l’amor che move il sole e l’altre stelle» (Par. XXXIII, 145). Non è un vezzo poetico: è la dichiarazione che l’universo - e il cuore dell’uomo con esso - sono custoditi dentro una relazione.

In questa prospettiva anche la vita eterna non è solo un “dopo” cronologico rispetto al presente, ma una qualità dell’esistenza che entra nel tempo. Non a caso ogni cantica dantesca si chiude con le stelle: dall’«uscimmo a riveder le stelle» (Inf. XXXIV, 139), dove l’uomo che ha guardato in faccia il proprio male rialza lo sguardo e il suo desiderio (de-sidera) si riaccende, al «puro e disposto a salire le stelle» (Purg. XXXIII, 145), dove il cuore purificato è pronto a fidarsi di un bene più grande, fino all’«Amor che move il sole e l’altre stelle», in cui Dante scopre che quel movimento non è anonimo, ma lo riguarda personalmente.

Ciò che Leone XIV chiede ai giovani - relazioni che mettano il “tu” prima dell’“io”, legami capaci di “per sempre” - non è quindi un semplice aggiustamento morale. È un invito a riconoscere che ogni amicizia vera, ogni amore fedele, ogni legame affidabile è un frammento di questo stesso Amore originario. L’educazione alla relazione, allora, non consiste nel dare qualche regola in più, ma nell’aiutare i ragazzi a scoprire che il loro desiderio di essere amati per sempre non è un’illusione romantica: è la traccia concreta di quell’Amore che, direbbe Dante, muove «il sole e l’altre stelle».

Quando, rivolgendosi ai giovani in Libano, il Papa constata che «le relazioni personali appaiono fragili e si consumano come se fossero oggetti» e che persino parole come amicizia e amore vengono svuotate, ridotte a «soddisfazione egoistica», non fa la morale a una generazione disorientata: le restituisce la dignità della domanda. 

Se «l’amicizia è vera quando dice “tu” prima di “io”» e «un amore a scadenza è un amore scadente», come ha affermato con una chiarezza che ha colpito i giovani nel piazzale antistante il Patriarcato di Antiochia dei Maroniti a Bkerké, allora il punto non è che i ragazzi “non sono capaci di amare”, ma che è stato consegnato loro un vocabolario affettivo deformato, in cui al centro non sta più il bene dell’altro, ma il proprio tornaconto. Quando Blaise Pascal scrive che «il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce affatto», ci indica che l’accesso al vero passa anche attraverso la via affettiva e non soltanto tramite il calcolo logico. Questo non significa che i sentimenti siano arbitrari, né che tutto ciò che si sente sia automaticamente buono.

Quando il Papa parla di desiderio che si spegne, di psiche ferita, di relazioni fragili, sta dicendo proprio questo: non ci salveremo con uno sforzo di coerenza morale o con qualche tecnica motivazionale. Occorre educare il cuore, riaprire le sue ragioni, permettere che l’esperienza dell’altro - di un volto concreto - riaccenda ciò che l’iper-digitalizzazione e l’insicurezza sociale hanno anestetizzato.

Tutto questo ha conseguenze molto concrete per una Chiesa che voglia davvero «disegnare nuove mappe di speranza». Se il cuore del problema è la relazione, allora anche le risposte pastorali devono essere relazionali. Non è sufficiente, per quanto possa essere utile, moltiplicare eventi per giovani, produrre contenuti social curati o mettere in piedi nuove strutture. Una pastorale che prende sul serio le parole del Papa è una pastorale che accetta il tempo lungo della fiducia invece della logica dell’evento, che forma adulti capaci di presenza, non solo di discorsi teorici, e che riconosce come ogni relazione vera possa nascere solo se qualcuno ha il coraggio di dire «tu» a un volto concreto, prima ancora di proporre un percorso.

d.R.A.
Silere non possum