Città del Vaticano - Un presunto episodio antisemita attribuito a un milite della Guardia Svizzera Pontificia durante l’udienza generale del 29 ottobre ha acceso la discussione pubblica nei giorni scorsi ed ha scosso il più piccolo esercito del mondo. Secondo alcune ricostruzioni mediatiche, la guardia si sarebbe espresso con disprezzo verso ospiti ebrei presenti e avrebbe compiuto una mimica di sputo nella loro direzione. La dinamica, però, non risulta supportata da prove; lo stesso Corpo della Guardia Svizzera ha avviato verifiche interne e si è messa in contatto con le persone coinvolte.
La testimonianza di Liska e i fatti accertati
La vicenda è emersa da un resoconto di Gregor Maria Hoff pubblicato dal settimanale austriaco Die Furche e da successive interviste a Vivian Liska, direttrice dell’Institute of Jewish Studies all’Università di Anversa, che si è detta tra le persone offese. Nel dettaglio, riferisce che il milite avrebbe pronunciato a bassa voce “juifs” (“ebrei”) e compiuto un gesto come per sputare, non uno sputo effettivo. Un responsabile della sicurezza si sarebbe scusato sul posto; in seguito, un ufficiale della Guardia ha contattato Liska spiegando che le immagini di una telecamera non consentono di ascoltare eventuali parole pronunciate. Scuse rinnovate e annuncio di conseguenze disciplinari qualora emergessero responsabilità perché per i vertici della Guardia Svizzera Pontificia l’immagine è tutto. Ma dove sta la verità?
Il contesto: Nostra aetate e il richiamo papale
Il presunto episodio è avvenuto a margine di un’udienza generale in cui Papa Leone XIV ha ribadito l’impegno della Chiesa contro ogni forma di antisemitismo, nel quadro delle celebrazioni per i 60 anni di Nostra aetate (28 ottobre 1965), il documento conciliare che ha posto su nuove basi il rapporto con l’ebraismo e le altre religioni. Nelle stesse giornate romane, Liska ha espresso disagio per applausi seguiti a un intervento che criticava “la cecità morale” nella comunità ebraica e per accostamenti impropri tra la guerra a Gaza e il nazismo ascoltati in altra sede: elementi che hanno alimentato il clima di polemica pubblica.
Indagine in corso, nessun riscontro oggettivo
Dai riscontri finora disponibili emerge un elemento centrale: non esiste, al momento, alcuna prova oggettiva — né audio né video — che confermi l’offesa verbale o lo sputo denunciati. Dalla ricostruzione, peraltro, prima viene detto che è stato uno sputo ma poi la testimone parla di un gesto mimato. La Guardia Svizzera Pontificia ha confermato l’apertura di un’istruttoria, secondo le procedure ordinarie, e mantiene un dialogo diretto con le persone coinvolte. Al di là delle misure adottate dai vertici del Corpo per tutelarne il buon nome, occorre ricordare che la formazione — anche spirituale — di questi giovani, che servono con dedizione e sacrificio il Papa, è tale da rendere altamente improbabili comportamenti di questo genere. Si tratta di giovani svizzeri, di lingua francese, tedesca o italiana, che hanno sempre mostrato profondo rispetto verso i chierici e i laici che vivono o visitano lo Stato della Città del Vaticano. Infine, non può passare inosservato il fatto che l’episodio emerga proprio in un momento in cui si tenta di trascinare il Vaticano e la Santa Sede — e con essi il Papa stesso — nella controversia internazionale su sionismo, antisemitismo e Gaza. Un tempismo che rende la vicenda ancora più bizzarra.
Con coraggio e fedeltà
Acriter et fideliter — “Con coraggio e fedeltà”. La Guardia Svizzera Pontificia è il corpo armato della Santa Sede a protezione del Papa e della sua residenza nello Stato della Città del Vaticano. Istituita il 22 gennaio 1506, è la più antica forza in servizio permanente al mondo. Oggi conta circa 135 unità. Reclutamento selettivo (cittadinanza svizzera, fede cattolica, servizio militare con buona condotta, età 19–30 anni, ecc.), addestramento militare, standard comportamentali stringenti e giuramento annuale del 6 maggio delineano una cultura d’arma fondata su disciplina, lealtà e rispetto.
Analisi: quando il simbolo rischia di travolgere i fatti
La vicenda è sensibile per il luogo (Piazza San Pietro), il momento (Nostra aetate), i soggetti coinvolti (delegazione ebraica e la Guardia del Papa). Proprio per questo, la narrazione pubblica richiede proporzione: un’accusa priva di riscontri documentali non può diventare il paradigma dell’“antisemitismo in Vaticano”, né giustifica l’inferenza che un corpo militare storico e altamente selettivo normalizzi atteggiamenti d’odio. La risposta istituzionale — pronta presa in carico, scuse, apertura dell’indagine — è coerente con gli standard attesi. Allo stesso tempo non bisogna dimenticare le singole persone, i singoli uomini che prestano servizio e che potrebbero ricevere ingiuste punizioni per narrazioni che non sono affatto provate. In attesa di esiti formali, le accuse restano non provate. La strumentalizzazione del caso per chiamare in causa la Santa Sede, il Papa e persino la Guardia del Papa rischia di oscurare due esigenze complementari: da un lato, la tutela delle persone che si ritengono offese; dall’altro, la verità sostanziale dei fatti e le persone accusate. La Guardia Svizzera, per storia e prassi, continua a riconoscersi nel suo motto: “Acriter et fideliter”. La misura di questo caso, oggi, sta tutta nella capacità di accertare con rigore e di non trasformare un gesto non dimostrato in un teorema.
d.A.S.
Silere non possum