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Città del Vaticano - In questi giorni in cui la Santa Sede sta celebrando il proprio Giubileo, anche i Rappresentanti Pontifici — gli ambasciatori del Papa nel mondo — stanno vivendo il loro momento giubilare.
Il Santo Padre Leone XIV ha ricevuto questa mattina in Udienza, nella suggestiva cornice della Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, i nunzi apostolici.
Nel suo discorso Papa Leone XIV ha offerto un’immagine luminosa e realistica del ministero diplomatico della Santa Sede, rinnovando con parole personali e biblicamente fondate il senso profondo della missione dei nunzi nel mondo. Il testo, pronunciato all’indomani del Giubileo della Santa Sede, si muove su tre direttrici fondamentali:il ringraziamento per il servizio svolto, la condivisione della visione ecclesiale che anima il pontificato, e una chiamata esplicita a vivere la rappresentanza pontificia come testimonianza evangelica nel nome di Cristo.
Una diplomazia “sub umbra Petri”
Fin dalle prime righe del discorso, Leone XIV ha voluto sottolineare il carattere personale e non formale delle sue parole: «non per suggerimento di qualcuno, ma perché lo credo profondamente», ha affermato con franchezza, riconoscendo l’insostituibilità del ruolo dei Rappresentanti Pontifici, specialmente nel delicato processo di selezione dei candidati all’episcopato.
Il Papa ha poi delineato un ritratto profondo della diplomazia vaticana, definendola “unica al mondo” sia per la sua universalità, sia per la sua unità in Cristo. Non è una coesione funzionale o puramente strategica, ma una comunione sacramentale e missionaria: un corpo che vive la propria attività esterna come emanazione della fede e servizio alla fraternità universale.
Leone XIV ha donato ai nunzi un anello: «Cari fratelli, vi consoli sempre il fatto che il vostro servizio è sub umbra Petri, come troverete inciso sull’anello che riceverete quale mio dono. Sentitevi sempre legati a Pietro, custoditi da Pietro, inviati da Pietro. Solo nell’obbedienza e nella comunione effettiva con il Papa il vostro ministero potrà essere efficace per l’edificazione della Chiesa, in comunione con i Vescovi locali»
Il realismo apostolico di Pietro
Il cuore spirituale del discorso si condensa nell’immagine evangelica scelta dal Pontefice: la guarigione dello storpio alla porta del Tempio (At 3,1-10). In questo passaggio Leone XIV mostra tutto il suo realismo apostolico, ben lontano da visioni trionfalistiche della Chiesa. La Chiesa, come Pietro, non possiede né oro né argento, ma può donare Cristo. E lo fa — dice il Papa — guardando negli occhi un’umanità ferita, stanca, spesso costretta a “elemosinare l’esistenza”.
Qui emerge in modo emblematico il programma spirituale e pastorale del Pontefice: la rappresentanza papale non è anzitutto un’attività diplomatica nel senso secolare del termine, ma un ministero apostolico che deve generare relazioni, costruire ponti, dare speranza a chi non ne ha. Il nunzio è chiamato a essere “lo sguardo di Pietro”, cioè a incarnare la prossimità, la misericordia e la verità della Chiesa nelle periferie politiche, sociali e religiose del mondo.
La carità come criterio dell’efficacia
Papa Leone XIV non propone dunque una diplomazia di potere o di influenza, ma una diplomazia della carità, una presenza capace di dire al mondo — anche nelle arene delle organizzazioni internazionali — che “solo l’amore è degno di fede”. Questa affermazione, tra le più forti del discorso, si impone come criterio di autenticità ecclesiale: non è efficace ciò che conquista, ma ciò che ama.
Il Papa non esita a ricordare ai suoi Rappresentanti che il loro ministero è esercitato “sub umbra Petri”, cioè sotto l’ombra di Pietro: un’espressione che evoca protezione, comunione e obbedienza. Non c’è vera efficacia diplomatica — dice Leone XIV — senza comunione effettiva con il Successore di Pietro, senza fedeltà concreta e spirituale al Papa.
Tra memoria e profezia
Nel concludere, Leone XIV richiama due figure emblematiche: San Giovanni XXIII e San Paolo VI, entrambi con una significativa esperienza diplomatica alle spalle. Sono per lui esempi di santità nel servizio, modelli di una diplomazia che sa coniugare fedeltà alla Chiesa e apertura al mondo.
Infine, il riferimento alla Porta Santa attraversata insieme il giorno prima acquista valore simbolico e profetico: “ci sproni ad essere coraggiosi testimoni di Cristo”, dice il Papa, suggerendo che anche la diplomazia vaticana ha bisogno di un giubileo, di un passaggio di grazia, di un rinnovamento nella verità e nella carità.
In questo discorso al corpo diplomatico, Leone XIV conferma e innova: conferma la missione dei rappresentanti come prolungamento pastorale del ministero di Pietro, ma la rilancia in una chiave biblica e missionaria, chiedendo di essere segni di Cristo più che gestori di relazioni, testimoni più che ambasciatori, costruttori di comunione più che analisti politici.
È un programma esigente, che riflette la profondità spirituale e l’acume ecclesiale di un Papa che, muovendo i suoi primi passi, non rinuncia a indicare la direzione del cuore: quella del Vangelo.
T.L.
Silere non possum