Da tempo assistiamo a uno spettacolo degradante, che con il giornalismo non ha nulla a che vedere e molto, invece, con la manipolazione mediatica e la violazione sistematica della dignità umana. Fabrizio Corona, noto pregiudicato e protagonista di numerosi scandali, ha aperto un canale YouTube attraverso il quale, con il suo abituale stile urlato e sensazionalistico, accusa, diffama e insinua, trasformando ogni vicenda in uno spettacolo grottesco.
E lo fa davanti a centinaia di migliaia di spettatori, in un Paese che sembra aver perso la capacità di distinguere tra informazione e intrattenimento, tra inchiesta e gogna, tra cronaca e diffamazione. Altro che access journalism: qui si tratta piuttosto di accesso illegittimo, e forse sarebbe il caso che certe persone imparassero a “tornare ad accedere” altrove - non, di certo, nelle case private e nella vita delle persone.
Un Ordine dei Giornalisti che tace
Nel totale silenzio dell’Ordine dei Giornalisti, l’Italia conferma ancora una volta l’irrilevanza di un’istituzione che, invece di tutelare la qualità dell’informazione, sembra ormai servire solo a preservare una casta autoreferenziale, alimentata dalle quote annuali di chi è costretto a iscriversi per esercitare una professione che dovrebbe essere libera.
Va ricordato che l’Italia è uno dei pochi Paesi al mondo in cui esiste ancora un albo per i giornalisti: un ordine che non esita a sanzionare chi fa il proprio lavoro con rigore, soprattutto quando tocca fili scomodi o denuncia poteri, ma che rimane muto di fronte a coloro che usano il giornalismo come arma di ricatto, di intimidazione o di estorsione.
Tace anche quando la parola “informazione” viene deformata fino a diventare strumento di aggressione e diffamazione. E così, oggi, davanti a un pregiudicato che ritorna sulla scena proclamandosi “l’unico a fare vera informazione”, mentre offende, calunnia e umilia chiunque - sacerdoti e religiosi compresi - nessuno interviene, nessuno prende posizione, nessuno difende la dignità di un mestiere che dovrebbe fondarsi sulla verità, non sul disprezzo.
L’inerzia della magistratura
Anche la Procura della Repubblica, come troppo spesso accade in Italia, resta immobile. Eppure, i fatti parlano da soli. Nell’ultimo video caricato sul suo canale YouTube, Fabrizio Corona si è introdotto, senza alcuna autorizzazione, all’interno di spazi riservati di una comunità religiosa femminile, dove vivono suore e sacerdoti anziani, accedendo perfino alle loro camere private.
Un’azione di questo tipo non rappresenta soltanto una grave violazione della privacy, ma integra con ogni evidenza diversi reati previsti dal codice penale e dalla normativa vigente: violazione di domicilio (art. 614 c.p.), interferenze illecite nella vita privata (art. 615-bis c.p.), diffusione illecita di immagini o notizie attinenti alla vita privata (art. 167 del Codice della privacy), nonché diffamazione aggravata a mezzo stampa o altro mezzo di pubblicità (art. 595, comma 3 c.p.).
Tutto questo non ha nulla a che vedere con il giornalismo, che deve attenersi a regole precise di verifica, rispetto e responsabilità. Eppure, nessuna misura concreta è stata adottata né per fermare l’accesso illegittimo del soggetto a spazi privati, né per impedire la diffusione dei video registrati illegalmente, nei quali Corona rende pubblici i beni e i documenti personali di un sacerdote, utilizzandoli come pretesto per alimentare una narrazione scandalistica e diffamatoria.
Un’opera di diffamazione sistematica
Da anni è in corso una campagna diffamatoria contro un sacerdote che svolgeva il proprio ministero presso il Santuario della Madonna della Bozzola, nella Diocesi di Vigevano. Una narrazione priva di qualsiasi fondamento probatorio, costruita ad arte per distrarre l’opinione pubblica e coprire interessi ben più rilevanti, che coinvolgono altre autorità, civili e militari. In questo clima, le accuse infondatevengono rilanciate come verità indiscutibili, alimentando un contesto mediatico in cui la giustizia è sostituita dal sospetto e la reputazione delle persone diventa merce da consumo.
E non è tutto. Corona è tornato nella struttura religiosa durante una celebrazione eucaristica officiata dal presbitero per un gruppo di preghiera, disturbando il rito e turbando i presenti. È opportuno ricordarlo: il turbamento di funzioni religiose del culto di una confessione religiosa costituisce reato ai sensi dell’articolo 405 del codice penale. Eppure, anche in questa circostanza, le forze dell’ordine sono rimaste inattive, consentendo che l’autore di tali abusi fosse persino acclamato da un gruppo di adolescenti, in una scena che rappresenta in modo drammatico la deriva culturale di una generazione disorientata, incapace di distinguere la provocazione dal coraggio, lo spettacolo dalla verità.
Il paradosso di un Paese imbambolato
In un Paese normale, un simile comportamento avrebbe suscitato una reazione immediata e ferma da parte delle istituzioni. Ma in Italia, invece, regna il silenzio: tace l’Ordine dei Giornalisti, che da tempo chiude gli occhi di fronte ai molteplici abusi commessi tanto da chi è regolarmente iscritto quanto da chi non lo è affatto; tace l’Ordine degli Avvocati, che continua a tollerare la presenza di un proprio iscritto in video Youtube e trasmissioni televisive dove diffama colleghi e persino i propri clienti; tace infine una magistratura che, come troppo spesso accade, interviene solo quando le conviene.
I cittadini italiani tacciono. I giornalisti pure. Un silenzio che non è solo complicità, ma rinuncia al principio di legalità e alla difesa della dignità delle persone. Il diritto di cronaca non è licenza di diffamare, né il giornalismo può ridursi a una forma di voyeurismo travestito da denuncia. Quando la legge tace e le istituzioni chiudono gli occhi, chi pratica la diffamazione diventa padrone della scena. E chi dovrebbe vigilare, diventa corresponsabile.
G.D. e F.P.
Silere non possum