Città del Vaticano - Questa mattina si è concluso il CCIII Capitolo Generale dei Frati Minori Conventuali. In tale contesto, è stato confermato per un secondo mandato il Ministro generale Fra Carlos Alberto Trovarelli, 120° successore nella guida dell’Ordine. I padri capitolari sono stati ricevuti da Papa Leone XIV e nell'udienza ha fatto la sua comparsa anche il cardinale Mauro Gambetti, figura sempre più controversa all’interno dello Stato della Città del Vaticano. In Segreteria di Stato il suo nome risuona come quello dei primi che lascerà il più piccolo Stato del mondo per raggiungere località "francescane secondo il suo spirito". Se Francesco aveva venduto la sua nomina come quella di "un uomo francescano", Gambetti si è fatto conoscere all'interno delle mura leonine per il suo amore per le cose costose, rapporti non trasparenti, spese ingiustificate e promozione di amici e persone a lui vicine.
Da Assisi a Roma: un'ascesa tra polemiche e favoritismi
L’ex custode del Sacro Convento ha favorito una gestione personalistica e opaca della Fabbrica di San Pietro. Gambetti ha portato con sé in Vaticano una cerchia di collaboratori assisiati, assunti in ruoli strategici nonostante evidenti conflitti d’interesse. Si parla di regolamenti modificati ad personam, di un Capitolo Vaticano svuotato e riformato in chiave clientelare, con l’allontanamento di canonici anziani e l'inserimento di nuovi “fedelissimi”. Sacerdoti anziani maltrattati e ai quali non è stato garantito alcun diritto nonostante anni di servizio donato alla Chiesa Cattolica.
La Basilica Vaticana, un tempo presidiata con rigore liturgico e spirituale, versa oggi in uno stato che tutti definiscono decadente: turisti lasciati liberi di comportarsi senza regole, una pulizia approssimativa, vigilanza ridotta al minimo e un generale senso di abbandono. Sui social network è pieno di persone provenienti da tutto il mondo che lamentano quanto sta accadendo sui social. Gli unici a non accorgersene sono i giornalisti che Mauro Gambetti paga perchè tacciano. Il loro silenzio costa poco: una visita alla Fabbrica di San Pietro, un accesso in Basilica, ecc... In questo scenario surreale si inseriscono anche altri eventi documentati da Silere non possum: aperitivi sotto il portico della Basilica di San Pietro, milioni di euro spesi per eventi flop, apericena sulla cupola di San Pietro, cene nei musei vaticani con personaggi ricchi e potenti, frati che usano il Papa come un oggetto di marketing, ecc...Di pastorale e francescano il frate di Assisi non ha portato nulla in Vaticano, anzi.
Anche i rapporti di Mauro Gambetti con le istituzioni vaticane sono stati costantemente segnati da tensioni e forzature. Non si possono dimenticare i numerosi contrasti con la Segreteria di Stato, dovuti alla sua tendenza ad agire in modo autonomo, senza condividere decisioni né ascoltare chi, nella Curia, possiede esperienza ben più consolidata della sua. Emblematico è il caso dell’assunzione del suo "compagno di merende" padre Enzo Fortunato: Gambetti lo ha fortemente voluto, ignorando ripetutamente — almeno cinque volte — il parere contrario della Terza Loggia. Pur di imporsi, cercò di bypassare ogni resistenza, arrivando a orchestrare una nomina diretta da parte del Papa. Ma la manovra si è rivelata fallimentare: dopo un breve periodo alla guida della Comunicazione della Basilica di San Pietro, Fortunato è stato costretto a lasciare l’incarico, travolto da errori gestionali e scelte discutibili.
Un parroco tra l’incuria e la mondanità
Mauro Gambetti è oggi uno dei principali interpreti e promotori di quel sistema ipocrita che ancora domina in alcuni settori della Chiesa. Un sistema in cui l'apparenza conta più della sostanza, e in cui il potere viene esercitato con metodi che nulla hanno a che fare con il Vangelo. Emblematica, in tal senso, è stata la maniera con cui ha trattato padre Mauro Bettero OSA al momento del suo arrivo in Vaticano. Nonostante il lungo e fedele servizio del sacerdote agostiniano come parroco della Basilica di San Pietro, Gambetti lo trattò con freddezza e irriverenza, un atteggiamento dettato da convenienze personali e pregiudizi.
Padre Bettero era già stato identificato da Gambetti come "uomo vicino al cardinale Angelo Comastri", ex arciprete della basilica, bersaglio per anni di accuse e insinuazioni da parte dello stesso Gambetti. Eppure, sotto la guida di Comastri, la basilica era un luogo di preghiera autentica, non di eventi mondani o iniziative ambigue mascherate da pastorale. Da quando ha messo piede in San Pietro, Mauro Gambetti si è distinto per un atteggiamento tipicamente narcisistico, convinto che chiunque intorno a lui stia tramando nell’ombra. Ha costruito le sue relazioni — e di conseguenza le sue scelte — su uno schema semplicistico e divisivo: o si è "con lui e contro Comastri", oppure "con Comastri e contro di lui". Una visione manichea che ha avvelenato il clima e compromesso ogni forma di collaborazione autentica. Ma ci si può davvero aspettare questo da un religioso, per di più figlio spirituale di San Francesco? È lecito domandarsi che tipo di spiritualità possa abitare chi ragiona in termini così faziosi e persecutori.
L'avversione a padre Bettero era motivata, il suo intento era chiaro: liberare il campo per collocare uno dei "suoi" come nuovo parroco. Quel posto fu affidato ad Agnello Stoia, il quale ha progressivamente snaturato l’identità della parrocchia. Il suo abbigliamento dimostra una confusione tra povertà e sciatteria, e la sua condotta si allontana da quella di un vero parroco. Non manca di tecnologia all’avanguardia, né di risorse economiche, ma nella liturgia e nell'abbigliamento regna la trascuratezza. Quando però si tratta di escursioni e attività con ragazzini dispendiose, ogni riserva svanisce. Intanto, sui social, pubblica foto che suscitano più imbarazzo che edificazione.
Tutto questo era ben noto all'allora Robert Francis Prevost, oggi Leone XIV, che ha condiviso per anni anche il pasto in refettorio con padre Mauro e gli agostiniani della Curia Generalizia. Gambetti ne è pienamente consapevole, e non sorprende che oggi cerchi, con una fretta quasi ansiosa, di allacciare rapporti con il nuovo Pontefice. Si è persino presentato all’udienza del Capitolo Generale con il Papa, pur non avendo alcun titolo per essere lì, dal momento che non è padre capitolare. Una presenza forzata, fuori luogo, ma perfettamente coerente con il suo stile: fatto di apparenze, calcolo opportunistico e una ipocrisia ormai evidente a molti.
Leone XIV, però, conosce bene le azioni compiute da Gambetti negli anni: dall’utilizzo improprio della gendarmeria vaticana per sorvegliare e arrestare dipendenti, alle intercettazioni, fino alle denunce pretestuose mosse contro collaboratori innocenti. Un uso strumentale del potere che ha infangato non solo singole persone, ma anche la credibilità stessa delle istituzioni vaticane.
Il futuro della Basilica di San Pietro
In un momento in cui la Chiesa sta riscoprendo con coraggio la centralità di Gesù Cristo, liberandosi da derive ideologiche e apparenze mondane, si apre anche la speranza che la Basilica di San Pietro possa finalmente tornare ad essere ciò che realmente è: una casa di preghiera. Un luogo sacro, dove si venerano le spoglie dell’Apostolo Pietro, dove si respira un clima di silenzio, di raccoglimento e di fraternità autentica tra coloro che vi lavorano.
Purtroppo, sotto la guida di Mauro Gambetti, tutto questo è andato perduto. La Basilica è divenuta sempre più un teatro di scontri di potere e poltrone da dividere. Persino le celebrazioni eucaristiche personali per i sacerdoti — che in San Pietro avevano un valore profondo e intimo — sono state di fatto proibite. La logica pastorale è stata soffocata da quella gestionale, e la cura delle anime ha lasciato spazio a una visione aziendale e autocelebrativa.
Leone XIV, con le sue parole nella Cappella Sistina, ha mostrato con chiarezza la rotta: «Sparire perché rimanga Cristo». È una chiamata alla purificazione della Chiesa da ogni forma di carrierismo, clientelismo e mondanità spirituale. È anche un invito a restituire a San Pietro la sua vera identità: non vetrina di potere, ma luogo di fede viva. Per questo molti in Vaticano e nel mondo sono certi che il Santo Padre affiderà presto la Basilica a un nuovo Arciprete, capace non di circondarsi di amici o trasformare il cuore della cristianità in un centro affaristico, ma di restituire a questo luogo la sua anima. Un pastore che custodisca il silenzio, la liturgia ben celebrata, l’accoglienza fraterna, il decoro e la preghiera. San Pietro non è un palco, né un ufficio, né un’azienda. È il luogo in cui la Chiesa respira la sua fede e riconosce la sua origine. È il sepolcro di un pescatore divenuto martire. E da lì, ancora oggi, deve ripartire una Chiesa che si inginocchia, non che calcola. Che serve, non che domina. Che annuncia, non che tratta.
p.E.L.
Silere non possum