Mentre la Chiesa si prepara a vivere un momento delicatissimo, quello del prossimo conclave, si moltiplicano i segnali di una Curia romana profondamente segnata da anni di tensioni, malumori e decisioni contraddittorie. Il pontificato di Papa Francesco, pur caratterizzato da un forte slancio riformatore, ha finito per incrinare, in più di un’occasione, la fiducia anche dei suoi collaboratori più vicini. 

Un aspetto fondamentale su cui riflettere è il rapporto di fiducia tra il Romano Pontefice e la “macchina” della Curia Romana. Negli ultimi anni si sono susseguite scene imbarazzanti che hanno compromesso non solo l’operato della "Segreteria del Papa", ma anche la credibilità stessa della Chiesa agli occhi della gente, con parole e posizioni che mutavano di giorno in giorno. I collaboratori del Papa, se non venivano direttamente allontanati – come è avvenuto in diversi casi – venivano smentiti pubblicamente, fino a negare la veridicità delle loro dichiarazioni. Questo clima ha generato episodi senza precedenti, alcuni di una gravità inaudita, come la registrazione della telefonata con il Papa da parte del cardinale Becciu. E non furono solo coloro che si ritrovarono improvvisamente nella lista dei “nemici” a prendere precauzioni: molti altri iniziarono a muoversi con crescente timore, nel tentativo di evitare la stessa sorte.

Un episodio emblematico, che rimane inciso nella memoria recente, riguarda la gestione delle benedizioni alle coppie omosessuali. Nel 2021, il Dicastero per la Dottrina della Fede — guidato all’epoca dal Cardinale Luis Francisco Ladaria Ferrer, con monsignor Giacomo Morandi come segretario — pubblicò un Responsum che negava la possibilità di impartire tali benedizioni, chiarendo che «Dio non può benedire il peccato». Quel documento, si ricorda, fu personalmente approvato da Papa Francesco. Eppure, solo qualche anno dopo, con il nuovo prefetto Victor Manuel Fernández, un altro testo, Fiducia Supplicans, sostenne esattamente il contrario, aprendo alla possibilità di benedizioni “pastorali” per le coppie omosessuali.

La sorpresa fu enorme, non solo per il contenuto, ma anche per il modo in cui venne comunicato: per la prima volta nella storia recente della Curia, il prefetto pubblicò il foglio di udienza in cui il Papa approvava formalmente il nuovo documento. Un gesto senza precedenti, che rivelava implicitamente un clima di diffidenza generalizzata: era necessario “mettere agli atti” l’approvazione papale per evitare ogni possibile smentita o imbarazzo successivo.

Questo episodio rappresenta molto più di un semplice scambio di documenti: è la fotografia di un pontificato in cui anche i rapporti personali tra il Papa e i suoi più stretti collaboratori si sono logorati, generando una crescente incertezza nelle alte sfere ecclesiali. Inoltre, molti accedevano a Santa Marta con la chiara consapevolezza che potevano "tirare qua e là" il Papa secondo i loro desideri.

La sfiducia nascosta

A questo clima si sono aggiunte altre vicende, più recenti, che hanno contribuito ad aumentare le tensioni. Uno degli uomini che, più di tutti, ha subito in silenzio le scelte di Jorge Mario Bergoglio, è il cardinale Segretario Pietro Parolin.

Durante il ricovero di Papa Francesco al Policlinico Gemelli, alcuni giornalisti riportarono che il Pontefice aveva accolto in udienza privata il Presidente del Consiglio italiano, Giorgia Meloni, mentre il Cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin era stato ricevuto solo in compagnia del Sostituto per gli Affari Generali, monsignor Edgar Peña Parra. Secondo certa stampa, questo episodio voleva suggerire un raffreddamento nei rapporti tra il Papa e Parolin.

In realtà, la dinamica fu diversa. Fu lo stesso cardinale Parolin a chiedere che alla visita fosse presente un testimone. Una richiesta prudente, figlia dell’esperienza traumatica vissuta da altre personalità della curia romana. Chi avrebbe garantito su quelle "F" messe dal Papa sugli atti che gli venivano sottoposti se nella stanza fossero stati solo lui e il diplomatico?

Quanto accaduto in questi anni dimostra come anche figure centrali del pontificato, scelte personalmente da Bergoglio, abbiano avvertito la necessità di tutelarsi in ogni passaggio delicato. Pur sempre guidati dalla fedeltà alla loro carica, che non ha mai consentito loro di prendere apertamente le distanze dalle scelte del Papa, non hanno nascosto una crescente insofferenza. Tutto questo converge in un quadro che inevitabilmente fa da sfondo al prossimo conclave: un Collegio cardinalizio diviso, preoccupato e in parte sfiduciato. Anche tra coloro che, in pubblico o in aula, continuano a lodare il pontificato, è evidente la consapevolezza della necessità di un cambio di rotta: meno pronunciamenti, un ritorno alla dottrina e alla catechesi, il ricostruire rapporti di fiducia tra la Curia e il Successore di Pietro, e il promuovere una fede radicata nella Chiesa, non nella persona del Papa.


d.T.S.
Silere non possum