Roma - Questa mattina, durante le comunicazioni in vista del Consiglio europeo di giovedì e venerdì prossimi, la Presidente del Consiglio della Repubblica Italiana, Giorgia Meloni, ha pronunciato una frase che lascia perplessi, soprattutto in chi, come lei, si dichiara cattolico. Ha detto infatti: «Io la penso come i romani: si vis pacem, para bellum… Quindi la difesa non per attaccare qualcuno. Anzi, piuttosto se si hanno sistemi di sicurezza e di difesa solidi, si possono più facilmente evitare conflitti».
In estrema sintesi, un ritorno a un antico adagio che vuole la pace garantita – o meglio, assicurata – da una solida preparazione alla guerra. Un ragionamento che può sembrare pragmatico o persino rassicurante nell’attuale contesto geopolitico, ma che è profondamente distante dalla prospettiva cristiana e, ancor più, da quanto il nostro Santo Padre Leone XIV ha dichiarato più volte dal giorno della sua elezione.
Leone XIV, con chiarezza e profondità, ha ricordato che la pace non è mai un prodotto della forza o della minaccia di violenza, ma un dono da costruire dentro e fuori di noi. «Se vuoi la pace, prepara istituzioni di pace», ha detto ai movimenti e alle associazioni, richiamando la necessità di un impegno totale, che coinvolga non solo le istituzioni politiche ma tutte le dimensioni della vita sociale: educative, economiche, culturali. Una pace che nasce da un “noi” capace di fraternità, comunione e unità, sostenuta dall’amore di Dio riversato nei nostri cuori (Rm 5,5).
Poche ore dopo la sua elezione, Leone XIV ha esortato diplomatici e governanti a considerare la pace non come mera assenza di conflitto, ma come un dono attivo, da costruire partendo dal cuore umano, con umiltà e dialogo, «sradicando l’orgoglio e le rivendicazioni». Ha sottolineato la necessità di «ridare respiro alla diplomazia multilaterale» e di «smettere di produrre strumenti di distruzione e di morte», ricordando le parole di Papa Francesco: «Nessuna pace è possibile senza un vero disarmo».
Questa visione di pace “disarmata e disarmante”, come ha magnificamente spiegato lo scrittore Alessandro D’Avenia, è il cuore stesso del messaggio cristiano, che non si limita a un accordo temporaneo o a un equilibrio di forze, ma che esprime una nuova condizione dell’essere umano in relazione armonica con Dio, con sé stesso e con gli altri. La pace di Cristo non è mai “pax romana”, un patto fragile imposto dal più forte; è invece la “eirene”, la pace profonda e duratura, radicata nell’amore divino, che si manifesta nel perdono, nell’amore per il nemico, nella rinuncia alla violenza (Mt 5,38-48).
Il messaggio di Leone XIV non è un sogno irrealizzabile né una sterile utopia: è la chiamata a tutti noi, cristiani e non, a impegnarci per una pace vera, che si costruisce ogni giorno con gesti di umiltà, dialogo, e disarmo reale. In un’epoca in cui la retorica della “difesa forte” rischia di giustificare nuovi armamenti e conflitti, ignorando le tragedie delle guerre che pagano sempre i più deboli, è indispensabile tornare a questa prospettiva.
Non possiamo accettare che parole come quelle di Giorgia Meloni diventino l’alibi per una corsa al riarmo o per legittimare politiche di forza che, lungi dal prevenire guerre, ne seminano le radici. Chi ha davvero a cuore la Pace deve ribadire con forza che la difesa più efficace è quella della pace costruita con il cuore, non con le armi.
Ai diplomatici Leone XIV ha offerto un discorso significativo: «La prima parola è pace». E questa parola, se è vera, esige il coraggio di disarmare i cuori, le parole, le menti, le istituzioni, perché solo così il mondo potrà sperare in un futuro di fraternità e non di conflitto. Pace disarmata e disarmante, umile e perseverante: è la pace di Cristo, il dono che siamo chiamati a ricevere e a testimoniare.
Marco Felipe Perfetti
Silere non possum