Tra le vie più dirette che l’uomo possiede per toccare il mistero, la musica resta una delle più universali e immediate. I testi del Magistero e i discorsi dei Pontefici mostrano con chiarezza che la musica non è un semplice ornamento: è un luogo teologico, una via che educa, che purifica, che eleva. È un linguaggio che parla a ogni cultura e a ogni tempo, perché - come ricordava Giovanni Paolo II citando Haydn - «la mia lingua è la musica; tutti la comprendono».
Armonia come dono di Dio
Pio XII, nella grande enciclica Musicae Sacrae Disciplina, afferma che tra i doni con cui Dio ha arricchito l’uomo «deve annoverarsi la musica», capace di dare «gaudio spirituale e diletto dell’animo» e di elevare la mente al Creatore. Già sant’Agostino aveva intuito che il canto apre nell’uomo una feritoia verso l’infinito: la voce modulata «accende la pietà» e ispira un fervore che le sole parole non riuscirebbero a suscitare.
Per questo la Scrittura stessa è intessuta di musica. Israele canta dopo la liberazione del Mar Rosso, Davide organizza il culto attraverso cori e strumenti, la Chiesa delle origini si raduna «cantando inni a Cristo come a Dio». La musica è sempre stata risposta all’iniziativa di Dio: laddove Dio si rivela, nasce un canto.
Quando la musica diventa liturgia
La tradizione cristiana non si limita ad apprezzare la musica come arte: la riconosce come parte essenziale del culto. Il Concilio Vaticano II, nella Sacrosanctum Concilium, afferma che il canto sacro «è parte necessaria ed integrante della Liturgia solenne» (SC 112). Benedetto XVI lo ribadì nel discorso a Ratisbona, ricordando che la musica non è un accessorio estetico ma un modo del tutto proprio di partecipare all’azione sacra: «non un abbellimento… ma essa stessa Liturgia».L’organo, definito «il re degli strumenti musicali», non è solo un accompagnamento: raccoglie «tutti i suoni della creazione» e li restituisce come lode, diventando così un segno della grandezza divina. Le sue molteplici possibilità, dice il Papa, «trascendono la sfera semplicemente umana e rimandano al divino».
In questa prospettiva, la musica liturgica non è musica “religiosa” qualsiasi: deve essere santa, arte vera e universale, come ricorda Benedetto XVI citando le tre caratteristiche fondamentali richiamate da Giovanni Paolo II. Per questo la Chiesa custodisce il canto gregoriano, la polifonia, e accoglie ciò che rispetta la natura della liturgia, permettendo al popolo di partecipare attivamente.
L’istruzione Musicam Sacram precisa che la liturgia raggiunge una forma più nobile quando è celebrata in canto, perché esso «innalza più facilmente gli animi alle cose celesti» e manifesta l’unità della comunità orante.
La musica come via di contemplazione
Se la liturgia è il luogo privilegiato dell’incontro con Dio, la musica diventa allora un ponte tra ciò che l’uomo è e ciò che è chiamato a contemplare. Giovanni Paolo II, dopo aver ascoltato La Creazione di Haydn, parlò di una «sublime elevazione» e di un «atto di fede in Dio, Creatore dell’Universo» che nessuno dei presenti avrebbe dimenticato facilmente. La musica, quando è vera, apre alla dimensione del trascendente.
Nel linguaggio di Benedetto XVI, ogni autentica arte musicale custodisce un dinamismo di ascesa: nasce dall’uomo, ma tende a superarlo. Percorrendo le sfumature della voce e degli strumenti, essa diventa una finestra aperta sull’infinito. Per questo i grandi compositori sentivano il bisogno di affidare le loro opere a Dio: Bach con la sigla Soli Deo Gloria, Bruckner con il suo «Dedicato al buon Dio».
Non si tratta di devozione individuale: la musica è in sé un atto di offerta. Quando diventa preghiera, plasma la comunità. Benedetto XVI paragona l’organo alla Chiesa stessa: molte canne, molte voci, che però devono essere accordate da una mano sapiente, altrimenti si generano dissonanze. Così la liturgia, quando è custodita nella sua verità, armonizza i cuori e li unisce nella lode.
La missione della musica: gloria di Dio e santificazione dei fedeli
La musica sacra ha due fini inseparabili, la gloria di Dio e la santificazione dei fedeli. È un ministero, non un intrattenimento. Per questo Pio XII afferma che chi compone o dirige musica sacra esercita un vero e proprio apostolato e riceverà la sua ricompensa dal Signore che legge nei cuori.
Quando il fedele canta, non sta colmando un silenzio: sta compiendo un atto sacerdotale, facendo risuonare la Parola dentro la propria esistenza. È un modo concreto per conformarsi a Cristo, il cui mistero la liturgia rende presente.
E quando la musica è elevata, reverente, interiormente pura, allora accade ciò che la Chiesa ha sempre desiderato: la lode si fonde con la bellezza, la fede si fa esperienza sensibile, e Dio diventa vicino. La musica, più di ogni altra arte, ci avvicina a Lui perché ci educa alla misura del cielo, dilata il cuore, lo purifica, lo rende capace di desiderare ciò che non vede.
Contemplare l’invisibile attraverso il suono
L’arte dei suoni è forse la più immateriale delle arti: non lascia tracce, non si può trattenere, esiste solo mentre vibra. Proprio per questo la tradizione cristiana l’ha percepita come icona dell’azione dello Spirito, che si fa sentire ma non si lascia possedere. La musica è un’epifania: rivela qualcosa che supera l’uomo, ma lo raggiunge nel profondo.
E così, dall’antico salmo che invita «tutto ciò che respira» a lodare il Signore, fino alle celebrazioni nelle nostre chiese, la musica resta uno strumento privilegiato per scoprire che il mondo è stato creato per diventare canto e che l’uomo, toccato dalla grazia, trova nella bellezza un’anticipazione del Regno.
In questa prospettiva, avvicinarsi alla musica sacra significa avvicinarsi a Dio: lasciarsi accordare da Lui, diventare parte di quella sinfonia che è la Chiesa, e scoprire che ogni nota autentica è già una scintilla di eternità.
d.G.V
Silere non possum