In queste ore - in Francia in modo particolare – sta rimbalzando da un cellulare all’altro la notizia che riguarda la condanna del Cardinale Marc Armand Ouellet P.S.S. e dell’Istituto delle Domenicane dello Spirito Santo di Pontcallec a risarcire l’ex religiosa Marie Ferréol per aver subito un allontanamento dalla comunità ingiustificato.

La vicenda è complessa ed ha visto intervenire anche alcuni visitatori canonici che sono stati condannati anch’essi a risarcire l’ex religiosa. Questo episodio, però, ci offre la possibilità di approfondire un tema molto delicato che però è pane quotidiano all’interno delle nostre realtà.

Soprattutto durante questo pontificato il diritto canonico ha perso completamente di credibilità e come giuristi, operatori del diritto e chierici in genere non stiamo facendo alcunché per cambiare rotta. Questo ci sta esponendo e ci esporrà sempre di più a numerosi rischi. Nella vicenda che ha visto coinvolta Marie Ferréol, infatti, emergono le problematiche di un utilizzo malsano del diritto canonico. La giustizia francese non dovrebbe avere alcuna competenza per discernere se una dimissione da un istituto religioso sia stata fatta correttamente oppure no. La giustizia francese non ha alcun titolo per chiedere il fascicolo di un procedimento canonico. La giustizia francese non ha giurisdizione alcuna su quanto avviene all’interno di un procedimento operato da visitatori nominati dalla Santa Sede. Ancora una volta abbiamo una invasione di campo che è molto grave e la riscontriamo spesso anche in altri Paesi. L’ordinamento canonico è come quello di qualunque altro stato e non vi può essere alcun giudice straniero che giudichi l’operato del collega.

Diritto canonico: si torna indietro

Allo stesso tempo, però, l’amministrazione malsana della giustizia in foro canonico ci sta esponendo a forti critiche e ci sono persone che per poter tutelare la loro stessa vita devono ricorrere a qualunque mezzo. Giustamente. Anche in questo caso alla religiosa non sono stati resi noti i motivi del procedimento, non le è stato concesso l’accesso al fascicolo e l’allontanamento è avvenuto con grande scarsità di umanità. Ma il codice di diritto canonico non prevede questo modus agendi. Anzi! Si parla di procedimenti che sono volti al bene delle comunità e dei singoli e poi di assistenza di coloro che lasciano l’istituto. Per quanto riguarda i diritti di difesa è ben chiaro che le persone devono essere messe in condizione di difendersi e quindi conoscere anche le motivazioni per le quali vengono accusate.

Questo è un problema serio che riscontriamo in numerose realtà. Nelle comunità religiose, nei seminari ma anche nei presbiteri diocesani. Quante volte ci sono vescovi che convocano i loro preti e li mettono al corrente del “si dice che”? Quante volte vengono emessi giudizi sul sentito dire? Queste sono tecniche di manipolazione delle coscienze che dovrebbero trovare una ferma condanna in norme specifiche del diritto volte a tutelare i singoli. Più volte abbiamo ribadito come l’atteggiamento dei superiori e dei vescovi deve sempre essere di estrema cautela nei confronti di coloro che si rivolgono a loro per “denunciare” i misfatti dei loro preti. Il presule deve prendere nota di tutto ciò che gli viene detto e al termine del colloquio con “gli accusatori” devono sottoporre il foglio e farlo firmare. Le accuse devono essere circostanziate, devono trovare una precisa norma di riferimento e devono essere firmate. Vi deve essere qualcuno che ci mette la faccia. Non si può pensare di accusare oppure riferire delle cose che però non si è capaci di dimostrare.

Le questioni devono riguardare fatti specifici e non possono essere afferenti alla vita privata dei singoli. Il chiacchiericcio è una cosa, il delitto è un’altra. Quanti sono i vescovi che si comportano in questo modo? Come presbiterio ci comportiamo in modo da tutelare i nostri confratelli oppure facciamo parte di quella sfilza di persone che si lamenta delle chiacchiere ma appena può infangare non perde occasione per farlo?

I seminari: luogo di selezione

Il caso di questa religiosa ci deve far riflettere anche sulla preoccupante situazione dei seminari diocesani, in Italia e non. Il seminario oggi non è più un luogo di formazione ma di selezione. Non vi sono più criteri oggettivi per poter intraprendere il cammino verso il sacerdozio ma vi è solo un placet che viene emesso sulla base delle sensazioni e delle convinzioni del formatore. Quanti sono i casi nei quali i giovani vengono allontanati solo perché non la pensano come il rettore? Lo ha ricordato anche Benedetto XVI nel suo ultimo libro. Il confronto liturgico o teologico è ormai un lontano ricordo. Oggi si tratta di vere e proprie battaglie che hanno già un vincitore: chi ha il potere. In questo modo si formano persone che sono dello stesso pensiero del loro formatore e non sono capaci di portare avanti una ricerca o un confronto. Oppure, ancor peggio, si obbligano i seminaristi a fingere per anni (sempre di più perché siamo incapaci di formare ma gli anni aumentano sempre più) per poi meravigliarci quando in parrocchia dimostrano di essere il contrario di ciò che ci avevano fatto credere durante la formazione. Perché costringere le persone a fingere di amare i tamburelli quando la loro sensibilità liturgica è ben altra?

Le lotte avvengono su queste questioni che alla Chiesa non hanno mai arrecato alcun problema. Se un sacerdote sente di essere più portato alla predicazione piuttosto che all’oratorio ed un altro alla preghiera piuttosto che allo studio, dov’è il problema? Se uno preferisce celebrare in latino e l’altro in aramaico, dov’è il problema? La Chiesa ha sempre goduto di grande varietà e diversità. Il terreno sul quale non si riflette mai, invece, è proprio la formazione umana, sentimentale, affettiva, sessuale. Tematiche che – lo abbiamo visto e lo vediamo in questi anni – non ci fanno sconti nella vita di tutti i giorni. Se non insegniamo ai futuri preti a vivere relazioni sane, veritiere, senza paure, costruttive e volte alla scoperta dell’altro piuttosto che ad un suo uso, non avremo mai sacerdoti felici e sereni. Tutte le problematiche che emergono in questi anni (abusi, denaro, scandali) sono legate a questa lacuna. Ma nei seminari preferiamo procedere ad una selezione piuttosto che ad una formazione. “Tu sei come me, tu la pensi come me”, bene puoi procedere. Altrimenti torni a casa.

Anche in questi casi c’è da chiedersi: quale criterio oggettivo viene utilizzato? La Ratio? Pastores dabo vobis? Non sembra proprio. E quali tutele offriamo a queste persone che magari hanno speso anni della loro vita per formarsi? Certo, è necessario anche ricordare che non esiste un “diritto ad essere ordinati” ma è altrettanto vero che la Chiesa ha un tempo ben preciso e strumenti validi per comprendere se un candidato è adatto oppure no alla vita presbiterale. Questi strumenti permettono alla Chiesa di fare una valutazione in un tempo che è sufficientemente breve per permettere ai singoli di fare le loro scelte. Oggi, invece, abbiamo molti soggetti (spesso narcisisti patologici) a capo delle strutture formative che tengono i candidati in un eterno limbo. Ti ordiniamo, forse no. Chissà. Tutto questo non giova né alla Chiesa né alle persone coinvolte. Non faremo altro che spedire a casa persone arrabbiate che magari non metteranno più piede in Chiesa e lavoreranno solo per danneggiarla (pensiamo ai famosi soggetti si mettono a fare i moralizzatori sulla vita privata dei chierici).

Presbiterio: quando l’obbedienza diventa una colpa

Il diritto canonico dovrebbe essere a tutela anche di quei sacerdoti che ogni giorno svolgono il loro ministero con dedizione ed oggi vengono accusati dal Papa di essere “clericali, mondani, legati alla forma, ecc”. Oggi ci ritroviamo a vivere delle situazioni paradossali dove non vi è alcuna tutela per il sacerdote neppure dal punto di vista canonistico. Sono molti i casi in cui questi vescovi di nuova nomina, spesso troppo giovani, convocano il prete giovane e gli dicono: “In obbedienza devi andare lì”. E non vi è alcuna possibilità di fiatare. Tu sei il prete giovane che deve obbedire perché sennò dimostri di essere contro il tuo vescovo. Non sia mai.

Qualcuno potrebbe dire: “Beh, avete promesso obbedienza”. Certo, ma in quella che è la Chiesa sinodale non ci si aspetta un atto di imperio di questo tipo, no? Anche perché la maggior parte delle volte questi vescovi non chiedono mai “come stai, come ti trovi lì, quali sono le tue prospettive, i tuoi sogni?”. Nulla. Ci sono buchi da tappare e quindi bisogna camminare. La stessa verve, però, viene meno quando si ritrovano di fronte al clero sessantottino. La maggior parte delle volte si tratta di preti più anziani dello stesso vescovo e che in forza della loro età hanno pretese, e che pretese. Vogliono essere trattati con i guanti d’oro. Se sono parroci non si vogliono spostare se non per ricoprire ruoli più prestigiosi. Vogliono titoli onorifici, canonicati, ecc… Quando si ritrovano a colloquio con questi “preti rivoluzionari” i vescovi sembrano perdere le braghe. Allora ci si domanda: l’obbedienza è una colpa? L’obbedienza dipende dall’età?

Tutti siamo chiamati ad obbedire allo stesso modo e nessuno deve avere trattamenti di favore per l’uno o l’altro motivo. Altrimenti si favoriranno sentimenti di ripicca, rancore, ecc… I preti saranno portati a dire: “Perché io sì e loro no?”. Essere vescovo non è semplice, ci sono difficoltà non indifferenti ma soprattutto bisogna saper governare. Questa è una caratteristica che purtroppo manca alla maggior parte di coloro che sono stati nominati dal 2013 in poi. Governare significa saper dire dei no. Allo stesso tempo bisogna saper guardare ed ascoltare. Non i fatti altrui, dei quali molti sembrano essere interessati più dell’andamento della diocesi. Bisogna ascoltare e guardare le necessità delle parrocchie ma anche quelle dei singoli preti, i loro talenti e i loro progetti. Non si può pensare di fare i forti con i deboli e i deboli con i forti. Da questo punto di vista bisogna constatare che il clero giovane è molto più disponibile di quello sessantottino. I vescovi hanno molta più collaborazione da parte del clero giovane, quello che il Papa critica sempre per esser chiari.

Salus animarum suprema lex, quindi. Forse è il momento che i canonisti (soprattutto chierici) inizino a battere i pugni e a chiedere che chi di dovere riscopra la ricchezza di questo strumento e ad utilizzarlo a tutela delle persone e non contro di esse.

d.S.L.

Silere non possum