Città del Vaticano - Un dicastero che dovrebbe garantire trasparenza, accessibilità e professionalità, ma che nella realtà si rivela un muro di gomma. Il Dicastero per la Comunicazione, affidato a Paolo Ruffini, Andrea Tornielli e Andrea Monda, rappresenta oggi uno dei paradossi più lampanti della Santa Sede: è il Dicastero che assorbe più risorse, che dispone di un personale numeroso e di un bilancio da capogiro, eppure funziona come il più inefficiente degli uffici pubblici italiani. Un luogo dove non regna né ordine né spirito di servizio, ma soltanto familismo amorale, incompetenza e lassismo istituzionalizzato.

Nessuno risponde alle e-mail. Per ottenere un cenno bisogna telefonare due, tre volte, inviare solleciti su solleciti. Un copione già visto negli uffici pubblici italiani: telefoni a una cancelleria, a un comune, a una regione, e dall’altra parte ti risponde qualcuno svogliato – le origini sono quasi sempre facilmente intuibili – che non ha la minima intenzione di lavorare e ti fa perdere ore preziose del tuo tempo. Persone che sono consapevoli che nessuno le smuoverà da lì perché sono “il posto fisso”, direbbe Zalone.

La stessa identica scena si ripete al Dicastero per la Comunicazione, guidato da Paolo Ruffini e Andrea Tornielli. È il dicastero che drena più risorse della Santa Sede. Eppure, quei milioni finiscono soprattutto in stipendi, perché i dipendenti sono numerosi, ma la voglia di lavorare resta un optional.

Si tratta di un dicastero che si trova spesso a dover gestire una categoria di persone che, per certi aspetti, può risultare persino più problematica di un reparto di psichiatria: i giornalai. A ciò si aggiunge la presenza di individui che giornalisti non sono, ma che millantano titoli e ottengono favori. Quando poi viene fatto notare che la loro presenza non è gradita – non perché sollevino questioni serie, ma perché manifestano disturbi psicologici evidenti – ecco che scattano minacce e insulti personali rivolti alla governance con anche coinvolgimento dei familiari e delle agenzie dello Stato (sic!). Addirittura c'è chi, pur non essendo giornalista, vorrebbe far parte di associazioni di giornalisti. Un po' come se dovessimo iscrivere ad una associazione di avvocati un personaggio che non è avvocato. 

Un ambiente tossico e problematico, dal quale chi conserva ancora un minimo di intelligenza e fede si tiene prudentemente alla larga. Ma è chiaro che l’ego, insieme alla smania di apparire e “essere qualcuno”, corrode certi soggetti. In particolare, quelli che vivono copiando notizie altrui, accumulando processi penali e spacciandosi per giornalisti pur non avendo uno straccio di tesserino. Risultato: l’aria al Dicastero per la Comunicazione, e soprattutto nella Sala Stampa Vaticana, è assolutamente irrespirabile.

C’è però un dato di fatto che non si può ignorare: piazzare figure provenienti dal mondo giornalistico alla guida della comunicazione del Papa e della Chiesa è una scelta del tutto inopportuna. Perché, come ha più volte ricordato Leone XIV, la Chiesa non è chiamata a comunicare secondo le logiche di questi giocolieri delle fake news.

Un viaggio nel magico mondo di "Piazza Pia"

Al telefono, spesso non risponde nessuno. E quando, per puro caso, qualcuno si degna di alzare la cornetta, non è raro che butti giù senza nemmeno dire “pronto”. Se, per disgrazia, ci si imbatte in un impiegato che per un’ora decide di onorare la propria scrivania, la scena è questa: ti chiede l’indirizzo e-mail, apre la tua richiesta inviata due settimane prima, e la legge ad alta voce, mentre tu – dall’altro lato del filo – devi ascoltare in silenzio la tua stessa mail.

In Vaticano, il quale ormai è divenuto il refugium peccatorum di pregiudicati e scartati della società italiana, funziona così: conta solo l’amicizia con il potente di turno. Se sei amico di Andrea Tornielli, puoi scrivergli direttamente, bypassando gli uffici. Una risposta arriverà, certo, ma soltanto se sei “dei suoi”. Vuoi una foto gratuitamente? Sì, che problema c’è, se sei amico tutto ti è concesso. Se non rientri nel club, però, puoi pure sbattere la testa al muro: nessuna risposta arriverà mai.

E lo stesso trattamento è riservato anche da molti altri “importantissimi laici” del Dicastero. Questa è la realtà con cui devono fare i conti ogni giorno coloro che cercano di raccontare le attività del Papa e della Santa Sede. Realtà editoriali, professionisti e fedeli. Una realtà che, in occasione del Giubileo, diventa un ostacolo ancora più insormontabile: testate e realtà giornalistiche vorrebbero collaborare con il Dicastero, ma si trovano davanti a un muro di gomma. Una corsa ad ostacoli, dove il primo ostacolo è proprio chi dovrebbe facilitare il lavoro e invece lo rende impossibile.

Gli accrediti stampa: un circo

l portale riservato a testate giornalistiche e giornalisti è, senza mezzi termini, più imbarazzante perfino di Vatican.va. Un sito vecchio, desueto, graficamente inaccettabile e, soprattutto, del tutto inutile. L’iscrizione è un calvario, l’accesso talmente macchinoso da scoraggiare chiunque abbia ancora la voglia di lavorare. Non a caso, lì dentro molti hanno rinunciato da tempo.

Si tratta infatti di una piattaforma che già di per sé è quasi inaccessibile, tanto che non la si trova nemmeno sul sito istituzionale della Santa Sede. Si aprono pagine a caso solo nel cercare di accedervi. Mentre il mondo corre dietro all’intelligenza artificiale, il Dicastero per la Comunicazione resta fermo alle tavole della legge e allo Jobel.Per accreditarsi occorre inviare un’infinità di documenti, che puntualmente verranno richiesti di nuovo ad ogni riaccredito per il singolo evento. Pensare di creare un account o una pagina che conservi i dati dell’utente è, a quanto pare, un’operazione troppo complessa oltre Tevere.

Non dimentichiamo, poi, che stiamo parlando di quel dicastero che – sempre attraverso gli immancabili giornalisti “amici”, buoni solo a copiare e incollare comunicati stampa – diffuse il grande annuncio del rifacimento della grafica di Vatican.va. In realtà si trattò di un’operazione degna di un imbianchino chiamato a dare una mano di bianco a un casolare diroccato.

E proprio come negli uffici pubblici italiani – cancellerie, comuni, regioni – quando invii una richiesta, la risposta è quasi sempre la stessa: “No, così non va bene”, “Nella lettera non c’è scritto che…”, “Guardi che bisogna scrivere così”, “Mi spiace, sono le 12.59, ormai è tardi. Ne riparliamo domani. Ah no, domani è sabato. Allora ci sentiamo lunedì”.

Un’esperienza che l’italiano medio, avvocati in testa, deglutisce in silenzio ogni giorno nelle cancellerie di tribunali e procure disastrate. Ma lo straniero, di fronte a simili inefficienze, prova una volta sola e poi getta la spugna. E ciò che racconterà in giro è semplice e devastante: “La comunicazione del Papa? Uno schifo”.

Tra nepotismi e divieti

Se sei un operatore di un media diocesano e provi ad accreditarti per il Giubileo della tua diocesi, ti attende un vero e proprio calvario. Sulla piattaforma preistorica 0.0 del Dicastero per la Comunicazione non troverai alcuna traccia dell’evento: non essendo “mondiale”, semplicemente non esiste. Lavorare in comunione? Resta solo uno slogan, relegato nelle Costituzioni Apostoliche piene di errori e assurdità partorite da Gianfranco Ghirlanda e scritte malamente da Marco Mellino. Nella pratica, in Vaticano non si riesce nemmeno a coordinare un’unica iniziativa. Così, il sito del Dicastero per l’Evangelizzazione, che raccoglie gli eventi del Giubileo e che è costato non poco, non può certo comunicare con quello del Dicastero per la Comunicazione. Non sia mai.

E basta guardare alla questione delle grafiche per rendersi conto del livello del disastro. Negli ultimi anni si sono moltiplicati all’infinito grafici e presunti tali, “pagicchiati” nelle varie istituzioni della Santa Sede per lavorare ognuno nel proprio orticello. Esiste un intero Dicastero per la Comunicazione, eppure non riesce a garantire un servizio coordinato a tutte le istituzioni. Qualcuno, giustamente, osserva: “Beh, guarda come lavorano… dovrei davvero affidarmi a loro?”. E non si può che dargli ragione. Ma il problema resta uno: chi è incompetente, chi non è in grado di svolgere il proprio mandato, non deve rimanere al suo posto.

La Santa Sede è – o dovrebbe essere – un’istituzione di altissimo livello al servizio del Papa. Non un dopolavoro, e nemmeno una filiale della Caritas.

Qualcuno potrebbe pensare: “Ma chissenefrega, quando sono lì faccio il mio lavoro e pace”. Eh no, non funziona così. È sempre la stessa storia che si ripete e che è sconosciuta a quei personaggi che si sono fatti ordinare circuendo questo o quel vescovo in giro per l’Italia e a forza di dare aria alla bocca finiscono poi per dimostrare di non avere la minima idea di cosa sia realmente il Vaticano e di come funzionino le cose qui dentro.

All’interno dello Stato e delle sue pertinenze non è possibile riprendere senza autorizzazione. Punto. La stampa, peraltro, può fare riprese solo davanti a Piazza Pio XII. E solo se accreditata. Stop. Certo, esistono le eccezioni: quelli che fanno come vogliono, che spalancano le porte agli amici e agli amichetti grazie alla complicità – guarda caso mai disinteressata – del solito religioso attempato, ormai noto persino ai gendarmi. Se ti appiccichi a lui, non solo entri dove vuoi, ma il book fotografico te lo fa direttamente lui con il suo IPhone ultimo modello, perfino nei luoghi più sacri del Palazzo Apostolico. Ma di questo parleremo nelle prossime puntate.

Se invece sei una di quelle persone che preferisce stare al proprio posto, senza cercare favoritismi da ricambiare, allora ti tocca seguire le regole “come il Signore comanda”. Solo che, in questo caso, il “Signore” non è quello dei cieli. Altrimenti troverai il tipico gendarme medio – assunto per raccomandazione dell’amichetto del monsignore – pronto a ripeterti che non puoi fare riprese, non puoi scattare foto, non puoi neppure respirare.

Del resto, se ti arrampichi sull’altare della Basilica di San Pietro e spacchi i candelieri profanando il luogo, i gendarmi ti rispondono con un applauso scrosciante. Se entri in Vaticano in auto a tutta velocità, tranquillo: nel Cortile del Belvedere troverai pronto un bel tappeto bianco steso solo per te. E se ti viene in mente di proiettare video contro Leone XIV e la corrida sul Palazzo Apostolico, nessun problema: timbro e carta intestata ti arriveranno subito, con tanto di auguri di buon lavoro.

Ma se osi semplicemente fare il tuo mestiere, raccontare un evento del Papa o della tua diocesi, esercitare il servizio ecclesiale a cui sei chiamato… beh, allora scordatelo: lì sì che ti ricordano che non puoi fare “come ti pare”. E se anche hai qualche autorizzazione, non pensare non troveranno qualcosa da dirti.

Vuoi parlare del Papa? Paghi!

«Il ritiro degli accrediti è possibile dalle 11 alle 13», ti dicono in Sala Stampa con aria burocratica. Se arrivi dalla Sicilia e il tuo aereo atterra dopo? Problema tuo, arrangiati. Ma la beffa non finisce qui: gli accrediti nella Sala Stampa della Santa Sede si pagano. Tradotto: se vuoi raccontare il Papa, devi mettere mano al portafogli. Una decina di euro, ad esempio, per il Giubileo dei Giovani.

Naturalmente non vale per tutti. Per gli amici si fa un’eccezione, lo si sa: lì gli occhi si chiudono volentieri. Un meccanismo già rodato, lo stesso che regola foto e video. Se sei amico di qualcuno, puoi usare le tue foto senza che nessuno ti dica nulla; anzi, guai a toccare chi da lunga data è “vaticanologo”. Ma se non sei della cerchia, o peggio ancora hai l’ardire di denunciare queste storture, allora sì che scatta l’agguato: pagare, pagare! Perché, alla fine, il messaggio: se vuoi fare cronaca sul Papa, devi passare alla cassa.

Eppure, ovunque nel mondo la stampa viene accolta con ben altri criteri. In qualunque altro contesto, il fatto che ci sia ancora qualcuno disposto a raccontare la Chiesa e il Papa, nonostante queste dinamiche assurde, sarebbe motivo per inginocchiarsi a ringraziare il cielo e accendere un cero a San Gennaro. Altro che storie.

To be continued...

F.G.
Silere non possum